Palestina. Quel “lessico deviante” che travolge anche l’Italia

Palestina. Quel “lessico deviante” che travolge anche l’Italia

Comunicazione, informazione, democrazia, diritti. Questo (e molto altro) in poche pagine fondamentali per comprendere l’importanza delle parole, e l’uso strumentale che se ne può fare. E’ “Lessico deviante”, piccolo vademecum di cultura democratica.

“Le parole sono importanti”, sosteneva Nanni Moretti in uno dei suoi film più popolari. Non solo perché “chi parla male pensa male”, ma perché quando si entra nel campo dei diritti, delle violazioni e della giustizia, anche il lessico diventa politico.
La Palestina sembra lontana, e invece “può essere fuori dall’uscio di casa”, diceva Vittorio Arrigoni.
Lo spiega magistralmente Patrizia Cecconi, attivista per i diritti umani di lunghissimo corso e oggi presidente dell’associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, che nella difesa di quei diritti ha speso gran parte della vita, nel suo “Lessico deviante. Riflessioni sul legame tra manipolazione lessicale pro-Israele e graduale dissoluzione dei principi democratici in Italia”. 
Un lavoro che, nonostante il background della sua autrice, non intende leggere la realtà attraverso la lente della militanza, ma “esaminare le interrelazioni tra la copertura mediatica che facilita l’indifferenza verso i crimini dello Stato di Israele e il ridursi della sensibilità collettiva verso le violazioni del Diritto universale, con il conseguente assottigliarsi delle basi su cui poggia la democrazia italiana”.
Un saggio, un’attenta e stimolante riflessione, una sorta di vademecum che si riallaccia alla lunga tradizione degli studi sulla comunicazione e sul linguaggio, che ogni giornalista e operatore del settore dovrebbe leggere con umile onestà per rendersi conto di quanto semplice sia distorcere completamente un messaggio se la scelta delle parole è mossa da distrazione o, peggio, guidata da malafede e scarsa conoscenza.
Perché creare una notizia è cosa semplice, farla sparire dal panorama massmediatico ancora di più. 
Sovrapponendovene altre, ignorandola, deformandola ad arte. Calandosi insomma in quell’insieme di “detto, non detto e detto male”, che l’autrice definisce “un alveo narrativo predeterminato”, con l’intento più o meno esplicito di “costruire per l’utente una precisa opinione, piuttosto che fornirgli un’obiettiva comunicazione”.
Potremmo dibattere, a questo punto, sul concetto stesso di obiettività dell’informazione, che forse possibile non è mai.
Eppure questo è un libro che interroga la coerenza, e chiama in causa il linguaggio ed il suo uso strumentale collegandolo direttamente al senso stretto, e più profondo, della cultura democratica.
Ed il legame con l’Italia, per quanto forzato possa sembrare, non è casuale.
“Se si finisce per accettare come normale che diritti sociali, civili o politici non siano patrimonio di ogni persona umana, di fatto si sta estinguendo quel sentire democratico che è alla base, ma anche alla vetta, della nostra Costituzione”, scrive l’autrice. E questo vale anche quando la violazione costante di un diritto avviene in un paese che consideriamo ‘altro’, e lontano. 
Il libro non prende in esame i ‘partigiani’ di un’informazione che trascende inevitabilmente in posizione politica, con le disastrose conseguenze che questo comporta –  fu questo il caso dell’indimenticato “Israele ha fatto bene a sparare”, titolo di prima pagina scelto da “Il Giornale” all’indomani dell’aggressione contro la Mavi Marmara, nel corso della quale 9 passeggeri vennero uccisi a freddo dai soldati israeliani.
Piuttosto quell’innumerevole insieme di messaggi subliminali (e deviati) che arrivano all’ascoltare distratto di un telegiornale attraverso un lessico (deviante) che “al pari di un abile ipnotizzatore riesce ad indirizzare il sentire comune verso strade in cui la luce della ragione sembra spegnersi, senza averne coscienza”. 
Accade ogni volta che in Palestina “il muro, l’occupazione, gli insediamenti illegali e la violazione del Diritto universale scompaiono nella nebbia delle parole scelte dall’opinion maker” o dal giornalista, che racconta di una manifestazione senza spiegarne le cause.
E accade in Italia, quando si ripete come una mantra che “la Costituzione è vecchia, è ora di cambiarla” per perseguirne la manipolazione piuttosto che l’innovazione, abbattendo diritti e spazi di democrazia.
Perché se nella Teoria della Comunicazione la relazione tra mittente e destinatario è sempre bilaterale, quando si entra nel campo del ‘fare informazione’ è chi controlla il messaggio a creare, sottolineare o far sparire un fatto
E’ l’essenza stessa di quella 'strategia della distrazione e del differimento' che da anni ci insegna Noam Chomsky, e che ancor prima aveva esaminato Vance Packard ne “I persuasori occulti”, svelando l’esistenza di messaggi subliminali che oggi ormai travalicano i confini dell’ambito pubblicitario.
E’ ciò che accade ogni volta che viene scelto un verbo o un aggettivo che spegne la capacità critica dell’ascoltatore nel raccontare di un “omicidio mirato” commesso da Israele, che quando “è mirato male comporta una strage, detta però ‘effetto collaterale’”, ricorda Cecconi.
Termini politici, e devianti, che addormentano la coscienza collettiva: per il loro significato intrinseco, e per i molti significati che in modo subliminale implicano.
Basta un participio passato utilizzato ad arte per stravolgere il senso di un intero contesto logico – e soprattutto politico - rendendolo accettabile.
“E’ qui – scrive Cecconi – che sta il segreto che rende ‘normale’ l’azione criminale commessa da uno Stato amico”. Ed è così che si svuota di senso quell’articolo 27 della Costituzione italiana che considera inammissibile il ricorso alla pena di morte, ovunque venga praticata.
Accade ancora quando una delle tante navi dirette a Gaza per rompere un assedio illegale secondo il Diritto internazionale non viene sequestrata in acque internazionali dalla marina militare israeliana per impedirne l’approdo, ma scortata nel porto di Ashdod, invertendo la logica, i fatti, ed in ultima analisi la realtà.
Fatti, notizie e manipolazioni che ci interrogano in modo diretto.
“Che senso ha infatti - si domanda Cecconi - l’art. 3 della Costituzione che riconosce l’uguaglianza di ognuno a prescindere da lingua, razza, religione se poi le massime istituzioni italiane ammirano ed elogiano pubblicamente uno Stato che queste garanzie non solo non le dichiara, ma le impedisce attraverso le proprie leggi?”.
Lo afferma con chiarezza l’autrice: la negazione dei diritti da parte di uno Stato amico del nostro paese non può essere confinato ad un problema di opinioni divergenti o di coscienza. E’ una questione politica, che travalica i confini nazionali e chiama in causa anche la nostra percezione individuale e collettiva della cultura democratica.
Perché a prescindere dalle notizie esistono i fatti, e anche questo fa la differenza. 
Una storia conosciuta, in fondo. Quella che racconta del come opporsi alle violazioni dei diritti commessa altrove non significhi soltanto difendere gli oppressi – sua virtuosa conseguenza.
Ma prima di tutto assumere consapevolezza e difendere i nostri, riportando alla corretta lettura di ciò che è abuso, illegalità, ingiustizia.
E, in ultima analisi, restituendo significato alle parole.

Patrizia Cecconi
"Lessico Deviante. Riflessioni sul legame tra manipolazione lessicale pro-Israele e graduale dissoluzione dei principi democratici in Italia".
Edizioni Città del Sole 2013, pp. 64, euro 5,00.

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