Aeyal Gross : Israele. La libertà di espressione alla prova del boicottaggio
Israele. La libertà di espressione alla prova del boicottaggio
“Il
boicottaggio può dare fastidio a molti, ma bisogna ricordare al governo
che è ancor più necessario proteggere la libertà di espressione proprio
quando è impopolare o ostile.” Intervista ad Aeyal Gross, docente di
diritto internazionale e membro dell’Associazione per i diritti civili
in Israele.
Raramente il BDS (Boycott, Divestment and Santcions),
movimento nato da un’iniziativa della società civile palestinese nel
2005 ed estesosi poi a livello internazionale, aveva avuto tutta l’attenzione che
sta ricevendo in Israele nelle ultime settimane. Sulla carta stampata,
in prima serata in tv, o durante i telegiornali: interviste a
economisti, imprenditori ed opinionisti non fanno altro che ripetersi. E
la domanda principale che viene rivolta loro è: come è possibile
difendersi dal boicottaggio?
Il governo e le istituzioni, da parte sua, non stanno di
certo a guardare. Mentre si materializzavano due altri importanti segni
evidenti dell’avanzata del movimento – la decisione della più grande
banca danese di inserire nella ‘lista nera’ l’omologa israeliana, la Bank Hapolaim, e l’esclusione di due compagnie israeliane
da un fondo pensione norvegese – il primo ministro Benyamin Netanyahu
convocava un Consiglio dei ministri straordinario per discutere delle
strategie da adottare per contrastare il boicottaggio.
L’obiettivo è quello di rafforzare e migliorare la hasbara war,
ovvero una guerra contro il BDS da combattere con una serie di
iniziative mirate alla promozione di Israele nel mondo lanciata dal
ministero degli Esteri circa un anno fa.
Oltre a ribadire che, nelle parole di Netanyahu, “i
fondatori del BDS non sono altro che ‘classici anti-semiti’ che vogliono
la fine dello stato ebraico”, una delle proposte uscite da questo
incontro consiste nel cercare di allargare gli orizzonti commerciali ed
economici di Israele al fine di ridurre la dipendenza dal mercato
dell’Unione Europea.
E non è un caso che lo scorso 12 febbraio Tel Aviv abbia ricevuto lo
status di osservatore all’interno del gruppo regionale dell’Alleanza
Pacifica in America Latina in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite. Ma non è solo sul piano economico che le istituzioni stanno
agendo.
La settimana scorsa il ministero per gli Affari
Strategici ha infatti richiesto al governo un investimento di 100
milioni di shekel per creare un’unità speciale che riunisca non solo
personale accademico, ma anche militare e agenti dei servizi segreti,
affinché si occupino esclusivamente del boicottaggio.
Per quanto riguarda invece il piano interno il governo ha
già da tempo adottato uno strumento in funzione anti-BDS. Tre anni fa la
Knessett approvava una legge di cui basterebbe il nome con il quale è
stata ribattezzata per percepirne i contenuti: la legge Anti-Boicottaggio.
In realtà non c’è nulla di scontato, perché aldilà del titolo il testo
della legge è abbastanza impreciso. Il problema, tuttavia, non riguarda
solo la chiarezza o meno dei contenuti, bensì la sua legittimità.
Non appena fu approvata diverse organizzazioni a difesa
dei diritti umani hanno subito criticato il governo perché, a detta
loro, soltanto “l’idea di punire chi promuove il boicottaggio viola il
principio basilare della libertà di espressione”.
Presentata immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge, la petizione è stata discussa domenica scorsa di fronte alla Corte Suprema in un’udienza pubblica. E’ attesa per i prossimi mesi una sentenza definitiva.
Per approfondire i problemi che ruotano attorno a questa
legge, Osservatorio Iraq ha contattato il professore di diritto
costituzionale e internazionale all’università di Tel Aviv, Aeyal Gross,
che tra l’altro è un membro del comitato direttivo dell’ACRI
(Association for Civil Rights in Israel), una delle organizzazioni
protagoniste della petizione.
In cosa consiste la legge “Anti-Boicottaggio”?
E’ difficile dirlo con esattezza. Il testo della legge è
alquanto vago. Quello che tuttavia è molto chiaro è che questa legge
crea delle possibilità di citare in giudizio chiunque supporti il
boicottaggio in Israele, definito come “qualunque atto che mira ad
evitare qualsiasi rapporto economico, culturale o accademico con
un’altra persona soltanto perché quest’ultima ha dei legami con Israele,
una delle sue istituzioni o un’area sotto il suo controllo in modo da
creare danni economici, culturali o accademici”. Particolare attenzione è
stata data, domenica scorsa durante l’udienza alla Corte Suprema,
all’espressione “un’area sotto il suo controllo”, perché ovviamente si
riferisce ai Territori Occupati, e quindi rende ancora più problematica
la questione perché, come è stato già argomentato, la costituzionalità
potrebbe venire meno solo per una parte della legge.
Un altro aspetto poco preciso è la definizione dell’
“atto”, perché può riguardare un qualsiasi appello pubblico intenzionale
di boicottaggio contro lo Stato di Israele, e che viene automaticamente
considerato un illecito civile comportante risarcimento. E’
fondamentale sottolineare inoltre che, secondo la legge, non c’è bisogno
di provare il danno effettivo ma è sufficiente la sola intenzionalità.
In che modo è stata applicata la legge fino ad oggi?
Non c’è stato alcun caso di risarcimento richiesto o comunque di controversia, fino ad ora, in base ai termini della legge.
Ma questo non significa che non vi siano state delle
ripercussioni. Si può parlare infatti di un effetto intimidatorio,
perché da quando è entrata in vigore la legge quelle organizzazioni che
erano solite pubblicare le liste dei prodotti delle colonie, anche senza
fare appello al boicottaggio, hanno smesso di farlo perché si sono
sentite costrette, per paura di violare la legge. Questo può essere
considerato una conseguenza indiretta a tutti gli effetti. D’altro
canto, se oggi qualcuno richiedesse un risarcimento appellandosi alla
legge sono quasi certo che il tribunale risponderà che bisogna attendere
il verdetto della Corte Suprema sulla sua costituzionalità.
Tornando alla scarsa specificità del testo
della legge, pare che essa sia applicabile anche nei confronti di
cittadini israeliani residenti all’estero…
In teoria sì, ma credo che in pratica si applichi solo a
livello interno. Comunque questa rimane una domanda importante perché
non c’è alcun riferimento ai cittadini israeliani che vivono fuori da
Israele. Ma proprio per questo potrebbero esserci diversi tipi di
interpretazione…
Come crede che il governo proverà a sostenere
la validità della legge di fronte alla Corte? Nel 2011, quando fu
approvata in Parlamento, il consigliere legale della Knesset disse che
sarebbe stato molto difficile difenderla…
Bisognerà aspettare e leggere la posizione del governo,
considerando anche che il consigliere legale è cambiato. Ma posso
immaginare che gli argomenti che porteranno avanti riguarderanno il
fatto che ora ci sono molte più “minacce” provenienti dal boicottaggio
rispetto a tre anni fa, quando la legge era stata giustificata in questo
modo. E non a caso il suo nome originale è “Legge di Prevenzione del
Danno allo Stato attraverso il Boicottaggio”.
Insistere tuttavia sul fatto che oggi, soprattutto in
questo periodo, ci sono più azioni connesse al movimento BDS non
modifica la natura draconiana della legge.
In un suo recente articolo per
il quotidiano israeliano Haaretz lei dice che ad essere in gioco, nel
dibattito sulla legge Anti-Boicottaggio, c’è ben altro…
Questa legge viola il diritto di esprimere la propria
opinione, per quanto dura e critica essa possa essere. Ma il
boicottaggio non che è una forma di protesta politica che in uno stato
democratico è assolutamente legittima. Con questo strumento il governo
vuole punire chi protesta e farne un trasgressore della legge. E non
bisogna dimenticare che inizialmente l’intenzione era quella di inserire
fare della legge materia di diritto penale, e non civile…
Il boicottaggio può dare fastidio a molti, è vero, ma qui
sembra che si debba ricordare un principio fondamentale, cioé che è
ancor più necessario proteggere la libertà di espressione proprio quando
un certo tipo di espressione è impopolare o ostile.
Secondo lei c’è un filo conduttore tra questa
ed altre leggi, come ad esempio la cosiddetta Nakba Law o la legge
Anti-Diffamazione dell’esercito?
Certamente. In Israele esistono diversi provvedimenti, che io definisco “killing the messenger laws” (leggi che colpiscono il messaggero, ndr),
hanno in comune una cosa: non affrontano la sostanza, il contenuto di
una questione, ma si limitano a criminalizzare chi ne vuole parlare. Ci
sono tante altre leggi oltre a quella contro il Boicottaggio o quelle da
lei citate. Nel 2011 si sfiorò il culmine con la formazione di
una commissione parlamentare speciale di indagine sulle organizzazioni
per i diritti umani per combattere il fenomeno di “delegittimazione”
delle IDF (Israeli Defence Forces, ndr).
Tutto questo fa parte di una serie di tentativi per mettere a tacere
le critiche e le proteste, dal momento che queste vengono interpretate
come parte di una continua e ingiusta persecuzione a danno di Israele.
Siamo di fronte dunque a un processo ben più ampio che ha a che fare con
una “vecchia” domanda: Israele può davvero definirsi una democrazia?Osservatorioiraq.it
21 Febbraio 2014
di:
Stefano Nanni
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