Netanyahu crea un nuovo sbarramento sulla strada della pace




NetanyahuKerrydi Jonathan Cook  – 20 gennaio 2014

 Prendendo di sorpresa gli osservatori, e dati i molti problemi che  intralciano il progresso dei negoziati di pace in Medio Oriente, Israele e gli Stati Uniti sembrano considerare il rifiuto palestinese di riconoscere Israele come uno stato ebraico l’ostacolo chiave al raggiungimento di qualsiasi accordo.
Questa richiesta è relativamente nuova nel processo di pace iniziato nel 2007 – 14 anni dopo che gli Accordi di Oslo avevano originariamente gettato le basi di un cammino che doveva portare all’instaurazione di uno stato palestinese.
Nel 1993, nel periodo precedente la firma degli accordi, Yasser Arafat, il deceduto leader palestinese, scrisse una lettera a Yitzak Rabin, primo ministro di Israele di quel tempo, in cui riconosceva ufficialmente Israele. In cambio, Rabin riconobbe l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), quale rappresentante del popolo palestinese.
Tuttavia, questo riconoscimento non sembra più essere sufficiente per Israele.
Mentre Ehud Olmert, l’ex primo ministro israeliano, aveva solo accennato per la prima volta alla questione del riconoscimento palestinese di Israele quale stato ebraico, alla ripresa, peraltro di breve durata, dei negoziati di pace di Annapolis di sette anni orsono, la stessa questione è adesso diventata una pietra angolare della diplomazia di Israele, e questo da quando Benjamin Netanyahu è stato eletto primo ministro.
Negli ultimi mesi, Netanyahu ha reiterato che il riconoscimento palestinese di Israele come “lo stato nazione del popolo ebreo” è “la vera chiave verso la pace” e una “condizione essenziale” per un accordo. In un video messaggio al Saban Forum tenutosi a Washington il mese scorso, Netanyahu ha dichiarato che l’essenza del conflitto “ruota intorno a una sola cosa: il rifiuto ostinato [dei palestinesi] di accettare uno stato ebraico all’interno di qualsiasi confine”.
Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas ha rifiutato ripetutamente l’inclusione di questa clausola in un accordo finale. [Abbas] il mese scorso ha inviato lettere sia al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama che al Segretario di Stato John Kerry in cui esponeva le sue obiezioni.
Questo mese, Hanan Ashrawi, un alto esponente dell’OLP, ha definito la richiesta di Israele un tentativo di “legalizzare il razzismo”. Ha poi aggiunto che Israele vuole “creare una narrazione che neghi la presenza palestinese, i suoi diritti e continuità sugli storici territori palestinesi.”

Una richiesta impossibile

Molti palestinesi sospettano che Netanyahu, a lungo identificato come un falco di destra, abbia sollevato questa nuova condizione per ostacolare la possibilità che i negoziati avanzino ulteriormente.
Yaron Ezrahi, professore di scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme, concorda, e dice che Netanyahu ha introdotto questa richiesta come un “cinico elemento di disturbo”. Aggiunge che “è una richiesta ridicola anche perché gli stessi Israeliani non sono d’accordo su cosa significhi essere uno stato ebraico, e chi sia incluso nella definizione di popolo ebreo.”
Come molti altri osservatori, Ezrahi crede che Netanyahu abbia imposto una tale condizione per mettere Abbas in una “posizione impossibile” su molti fronti.
La clausola richiederebbe ad Abbas di sacrificare i diritti dei rifugiati palestinesi di ritornare nelle loro terre che vennero lasciate quando furono espulsi nel 1948 al momento della fondazione dello stato di Israele, e danneggerebbe la lotta per l’eguaglianza della minorità palestinese in Israele. Conferirebbe inoltre il consenso palestinese alla cancellazione della narrazione storica degli eventi del 1948.
“Per tutte queste ragioni” dice Jamal Zamalka, un membro del Parlamento di Israele e un rappresentante della minorità palestinese del paese, “nessun leader palestinese potrà mai essere d’accordo con questa richiesta [di Netanyahu]”.
Tuttavia, e con grande costernazione della dirigenza palestinese, il team dei diplomatici statunitensi guidato da Kerry, e che sta soprintendendo ai negoziati di pace in corso, sembra aver preso a cuore la condizione posta da Netanyahu.
Funzionari Israeliani hanno detto che l’intenzione di Kerry è di includere il riconoscimento palestinese di Israele come stato ebraico nella così detta “proposta quadro” che si pensa possa gettare le basi per un accordo di pace definitivo.
Israele ha messo pressione sui leader europei affinché riconoscano Israele come uno stato ebraico. Zahalka dice che in riunioni con dirigenti governativi europei ha riscontrato una volontà crescente a farlo.
Si ritiene che Kerry renderà noto il suo piano di pace sia agli israeliani che ai palestinesi nelle prossime settimane con i negoziati che dovrebbero concludersi alla fine di aprile di questo anno. Tuttavia, si dice che Israele abbia chiesto che i negoziati vadano avanti per un altro anno.
A dimostrazione di come la questione del riconoscimento [da parte palestinese] sia diventata importante e di come sia salita rapidamente all’apice dell’ordine del giorno, si dice che Kerry abbia cercato l’appoggio degli stati arabi, durante una riunione dei loro ministri degli esteri a Parigi il 12 gennaio scorso, al fine di includere tale clausola nell’accordo finale.

Pressione internazionale

Prima [della riunione di Parigi] Kerry aveva visitato Amman e Riyadh, per quello che gli israeliani hanno definito uno sforzo fatto per convincere Re Abdullah di Giordania e Re Abdullah dell’Arabia Saudita [a sostenere la posizione israeliana].
Secondo molti reportage, Kerry sta cercando di aggiungere il riconoscimento di Israele come stato ebraico nell’Iniziativa di pace araba, annunciata dall’Arabia Saudita nel 2002.  Il piano, che Israele ha ignorato per oltre dieci anni, offre ad Israele una pace con tutto il mondo arabo in cambio dell’accordo [di Israele] a creare uno stato palestinese.
Il quotidiano The Times of Israel riporta che Kerry spera che Abbas possa concedere il riconoscimento se messo sotto pressione da altri leader arabi.
Senza riconoscimento da parte dei palestinesi, e secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz, Kerry ritiene “di avere grandi difficoltà a convincere Netanyahu sia a continuare il negoziato sulla base delle linee stabilite nel 1967 sia ad essere più flessibile sulla questione delle disposizioni riguardanti la sicurezza di Israele”.
Malgrado questi sforzi, e secondo quanto riportato dal Ministro degli Affari Esteri palestinese Riad Al-Maliki, Kerry ha ricevuto un secco diniego da parte della Lega Araba sulla questione del riconoscimento [di Israele da parte della Palestina]. “I paesi arabi non riconosceranno mai uno stato ebraico” ha detto [Al-Maliki] a Radio Palestina dopo la riunione di Parigi.
Cosa è in gioco per ambedue le parti se i palestinesi riconoscessero Israele come uno stato ebraico?
Per Netanyahu, dice Ezrahi, ciò che era cominciato come un cinico piano, è diventata, ai suoi occhi,  una questione di importanza strategica. “Adesso sembra che [Netanyahu] creda realmente a questa condizione”.
“[La questione del riconoscimento] aiuta Netanyahu e lo rende ancora più popolare con il pubblico israeliano”, aggiunge Amal Jamal, un professore di scienze politiche presso l’università di Tel Aviv.
Da una parte, fornisce una base ideologica a Netanyahu per affermare il diritto [israeliano] su ulteriori aree della Cisgiordania, aree che peraltro erano già destinate ad esser parte del futuro stato palestinese.
La settimana scorsa, si è venuto a sapere come Netanyahu abbia richiesto a Kerry di aggiungere un ulteriore insediamento, Beit El, vicino Ramallah, ai tre blocchi già da tempo richiesti da Israele -Ariel, Gush Etzion, e Maale Adumin. Netanyahu ha dichiarato recentemente che gli insediamenti i Beit El e Hebron, in cui si trovano solo un centinaio di coloni israeliani nel mezzo di una grande città palestinese, sono “importanti per il popolo ebreo” a causa della loro importanza biblica. Netanyahu ha aggiunto che un “accordo non può cancellare i diritti dello stato di Israele o i diritti del popolo ebreo”.
L’altro importante vantaggio [dal punto di vista di Netanyahu] è che solidifica i diritti inferiori  del milione e mezzo di palestinesi che vivono in Israele e che rappresentano un quinto di tutta la sua popolazione.

Consacrazione della discriminazione

Ezrahi fa notare che Ehud Barak, che era primo ministro quando Israele e i palestinesi cercarono di negoziare un accordo sullo stato finale a Camp David nel 2000, aveva insistito affinché i palestinesi firmassero un clausola che mettesse fine ad ogni ulteriore rivendicazione. “Netanyahu ha fatto qualche cosa di ancora più astuto ma anche più problematico. La sua richiesta di riconoscimento implica l’istituzionalizzazione della discriminazione verso la minoranza palestinese che vive in Israele.
Come Moshe Machover, un filosofo Israeliano-Britannico, ha fatto notare, questo è dovuto in parte alla definizione data da Israele stessa alla parola ebraico, definizione che consacra Israele come lo “stato dell’intera ‘nazione’ ebraica: non solo dei suoi cittadini ebrei ma di tutti gli ebrei dovunque essi siano”.
Questa definizione darebbe accesso a maggiori diritti agli ebrei di qualsiasi parte del mondo, anche quelli che non hanno la cittadinanza, quando si trovino nei confini di Israele, nei confronti dei cittadini appartenenti alla minoranza palestinese.
Zahalka ha una posizione dura sulla questione del riconoscimento. “Alcuni [dirigenti] dell’Autorità Palestinese si contentano di non interferire sulla questione di come Israele definisce se stessa. Pensano che Israele possa chiamarsi come voglia. Io non sono d’accordo con questa posizione”.
Continua dicendo che la condizione attuale di Israele come uno stato ebraico di fatto significa che molti diritti della minorità palestinese sono stati abrogati. “Molte leggi e norme discriminatorie [nei confronti della minoranza palestinese] derivano dall’ebraismo dello stato di Israele. La dirigenza palestinese non ha nessun diritto di squalificare la nostra lotta per l’eguaglianza”.
Si dice che Kerry, per dissipare le paure dei cittadini palestinesi di Israele, stia considerando una formulazione [particolare dell’accordo di pace].  Il quotidiano Al-Ayyam riporta che una clausola potrebbe essere inserita nell’accordo, riconoscendo Israele “come lo stato nazione del popolo ebraico, senza pregiudizio dei diritti civili degli arabi israeliani”. Ma ciò non basta a placare Zahalka. “La Dichiarazione di Indipendenza di Israele dice che i diritti dei cittadini non ebrei saranno protetti, ma noi ben sappiamo che in realtà questa promessa è priva di significato.”
Ezrahi aggiunge che Kerry è sotto l’impressione che Israele sia pronta a legiferare per garantire l’eguaglianza dei suoi cittadini palestinesi. “In realtà non vi sono indicazioni che Netanyahu e la destra siano pronti a farlo”.
A dimostrazione delle priorità di Netanyahu, Zahalka indica un provvedimento annunciato il mese scorso dal primo ministro israeliano di aumentare la soglia di sbarramento, di cui avranno bisogno i partiti per entrare al Knesset, dal 2 al 3,25 percento.  Molti osservatori sono dell’opinione che uno dei motivi di Netanyahu sta nel rendere ancora più difficile ai piccoli partiti antisionisti, che sono molto popolari tra la minoranza palestinese, di essere eletti in parlamento.
Jamal dice che Netanyahu ha poco da perdere nel continuare a spingere sulla questione del riconoscimento. “Mette la palla decisamente nel campo palestinese. Se i palestinesi rifiutano, Netanyahu potrà sostenere che sono stati loro a sabotare il processo di pace. Saranno poi loro, [i Palestinesi], a dover sostenere le pressioni che gli USA e l’Europa gli metteranno”.
Come altri analisti, Jamal non pensa che i negoziati abbiano molte possibilità di andare avanti data la distanza delle posizioni delle due parti.
Aggiunge che Netanyahu, anche volendo arrivare ad un accordo, non ha i sostegni politici necessari per farlo. “Anche se i partiti di estrema destra dovessero lasciare e i partiti Laburista e Meretz entrassero a far parte della coalizione, Netanyahu deve preoccuparsi delle posizioni del suo stesso partito, il Likud. In parole povere, Netanyahu non ha il più che minimo spazio politico da concedere alle richieste dei palestinesi.”
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