Smascherare Rohani: la missione impossibile di Netanyahu all’Onu di di Umberto De Giovannangeli



[Carta di Laura Canali]
“Mission impossible a New York”: non è il titolo di un nuovo triller, ma ciò che attende Benjamin Netanyahu in trasferta al Palazzo di Vetro.

“Bibi l’americano” prova a riconquistare la scena, quella della 68ma Assemblea generale delle Nazioni Unite: una scena politica e mediatica che ha visto come indiscusso protagonista Hassan Rohani.

Le aperture - non solo dialettiche - del presidente iraniano hanno spiazzato Israele. Spiazzato e indispettito. Come, e per certi versi ancor più, ha irritato il primo ministro dello Stato ebraico il credito che Barack Obama ha offerto a Rohani.

Di certo, Israele non può più vivere di rendita. La rendita fornita dalle “sparate” del predecessore di Rohani, Mahmud Ahmadi-Nejad. Per Netanyahu, Rohani non è un interlocutore credibile, è un avversario più insidioso. Dalla tribuna del Palazzo di Vetro, il premier espliciterà il suo avvertimento al presidente Usa: a Israele non basta che il programma nucleare sia posto sotto tutela internazionale: dovrà essere completamente smantellato.

In caso contrario, Israele abbandonerà la strada diplomatica. Ossia, procederà a un attacco unilaterale. D’altro canto, già nei giorni scorsi, Netanyahu aveva ripetutamente esortato gli Usa e la comunità internazionale a non fidarsi del neopresidente iraniano. Per il primo ministro d’Israele, le aperture di Teheran sono solo una tattica dilatoria per guadagnare tempo per dotarsi dell'atomica.

"Non deve essere concesso all'Iran di ripetere lo stratagemma della Corea del Nord per ottenere le armi nucleari", dirà il premier davanti all'Assemblea generale, stando alla bozza di discorso anticipata al Jerusalem Post da un alto funzionario israeliano. Netanyahu dovrebbe quindi ammonire le Nazioni Unite sul fatto che "proprio come la Corea del Nord in passato, anche l'Iran sembra esprimere intenzioni pacifiche. Parla di non proliferazione per allentare le sanzioni e guadagnare tempo per il suo programma nucleare".

Alla vigilia della partenza del premier per New York, il ministro delle Relazioni internazionali Gilad Erdan, riproponendone la posizione, ha ribadito di "temere che le centrifughe continuino a girare lontano da sguardi 'indiscreti', mentre quello che si vede è il “volto umano” di Rohani e le parole piacevoli con le quali si è rivolto al "popolo americano". Erdan non ha poi fatto mistero che le carte che Netanyahu intende usare nel suo intervento sono appunto "dati dell'intelligence" non conosciuti e in contrasto con il quadro presentato da Rohani a New York.

Sono quindi - ha aggiunto il ministro - non le "parole", ma le "azioni" di Teheran a dover dimostrare il cambio di politica del regime. Ma più che alla platea del Palazzo di Vetro, Netanyahu esporrà senza mezzi termini la sua “verità” nell’incontro bilaterale più atteso: quello con il presidente Usa. Un incontro tra alleati che non si sono mai presi tanto meno stimati reciprocamente.

"Rappresenterò i cittadini di Israele, i nostri interessi nazionali e la nostra determinazione nel difendere noi stessi e la nostra speranza di pace", ha anticipato in una nota Bibi. Per Netanyahu, le aperture di Rohani, altro non sono che un tentativo di "prendere in giro" l'Occidente. La memoria ritorna indietro nel tempo, a un anno fa, al discorso della redline.

“Sta diventando tardi, molto tardi - aveva scandito il premier israeliano - per fermare la minaccia nucleare iraniana. Il mondo con un Iran che avesse a disposizione armi nucleari sarebbe come un mondo con al Qaeda con armi nucleari”, ha detto il premier israeliano. ”Ora sono arrivati alla seconda tappa. La prossima primavera, al più tardi in estate, arriveranno alla tappa finale: l’arricchimento dell’uranio. Dopo di che sarà solo questione di mesi, o di settimane, prima che possano raggiungere un livello di arricchimento sufficiente a fabbricare una bomba nucleare”.

Netanyahu aveva continuato: “Nel nostro giorno più sacro, il giorno del Kippur, il tiranno iraniano ha invocato la nostra scomparsa. Ma la Storia ha dimostrato che quanti hanno cercato di cancellarci hanno fallito e che il popolo ebraico è riuscito a superare tutti gli ostacoli”. Un anno dopo, resta questa la convinzione di Bibi. Una convinzione che Netanyahu ha riproposto, con irata determinazione, nel suo faccia a faccia con l’inquilino della Casa Bianca. Nessuna apertura, dunque, al nuovo corso iraniano.

Nuovo corso cui Netanyahu non crede, bollandolo come “ipocrita”, “cinico”, “inaffidabile”. Va controcorrente, Bibi, scontrandosi con una comunità internazionale che, per convinzione o necessità, dà credito alle affermazioni di Rohani e vede nel “nuovo Iran” un soggetto in grado di stabilizzare il tormentato scenario mediorientale, a cominciare dalla Siria.

Cercando di conquistare consensi alla sua “verità”, il premier israeliano alzerà l’asticella delle sanzioni, ventilando, nemmeno troppo larvatamente, la possibilità che Israele agisca da sola sul terreno militare.

Ma più che un argomento convincente, questo avvertimento appare oggi come un’arma spuntata nelle mani di Benjamin Netanyahu.

Per approfondire: Una certa idea d'Israele

da
Limes

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