Il massacro nel centro commerciale Westgate: riflessioni di Di Richard Falk
Di Richard Falk
28 settembre 2013
L’attacco pianificato con cura da al-Shabab (un gruppo insurrezionale somalo, n.d.t.) contro i civili nel centro commerciale Westgate di Nairobi, ha portato la patologia della rabbia e la logica del fanatismo a estremi indicibili. Immaginate di decidere della vita o della morte di qualsiasi persona, ma specialmente di un bambino, in base al fatto che essi sappiano dire il nome della madre di Maometto o recitare un verso del Corano. Il fanatismo islamico dovrebbe essere condannato con il fervore morale adatto a una tale violazione delle più fondamentali norme del rispetto per l’innocenza e la dignità umana. Fare fuori con un’arma a casaccio chiunque si trovasse a fare spese al centro commerciale Westgate il fatidico giorno 21 settembre vuol dire portare la violenza politica oltre un punto di non ritorno.
Naturalmente anche i fanatici hanno una certa logica di giustificazione che rende i loro atti coerenti con una moralità distorta. In questa circostanza, il caso di al-Shabab poggia su una risposta vendicativa alla partecipazione delle unità dell’esercito keniota a un’operazione militare multinazionale dell’Unione Africana nella vicina Somalia. Questa operazione dell’Unione Africana, rafforzata da attacchi di droni delle forze speciali degli Stati Uniti, ha causato il grave indebolimento dell’influenza politica dello Shabab in Somalia, provocando un evidente senso di disperazione e di acuto risentimento, e anche la tattica di far sì che coloro che interferiscono nelle politiche interne della Somalia abbiano degli effetti contrari di ricaduta. Se però ci si aspetta che una spiegazione di questo tipo giustifichi le azioni demoniache nel Westgate, in alcune sacche ugualmente depravate di consapevolezza alienata, ci si sbaglia molto. Ciò che può essere la cosa più spaventosa, forse, dell’intera serie di circostanze, è il grado in cui gli specialisti di contro insurrezione si sono presentati per dichiarare un ‘successo’ il massacro del Westgate in base a una prospettiva terrorista o estremista, che potrebbe produrre reclute perf al-Shabab tra le grandi minoranze che vivono a Nairobi e in alcune parti degli Stati Uniti.
Come succede di solito in occasione di questi eventi penosi, ci sono delle ironie. La catastrofe si è verificata il giorno scelto in Kenya per la Giornata internazionale della Pace. Cosa anche più strana, Osama Bin Laden era stato apertamente critico dell’eccessiva crudeltà verso i Musulmani dell’emiro di al-Shabab, Ahmed Abdi Godane. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che questo spiega il motivo per cui c’è stato un tale sforzo di risparmiare i Musulmani che erano al Westgate al momento dell’attacco. In altri precedenti attacchi violenti di al-Shabab in Somalia e in Uganda (2010), non si sono fatte queste distinzioni, per cui sia i Musulmani che i non-Musulmani sono state vittime degli attacchi.
E’ stato un sincronismo inquietante che il giorno successivo al massacro, davanti a una chiesa anglicana di Peshawar, in Pakistan, due attentatori suicidi si siano fatti esplodere uccidendo più di 80 persone che stavano uscendo dalla chiesa dopo le funzioni religiose. Un’organizzazione estremista pachistana, la TTP (Tehrik e-Taliban) ha dichiarato spudoratamente la propria responsabilità, offrendo una giustificazione sfacciatamente fanatica: “Sono nemici dell’Islam e per questo li prendiamo di mira. Continueremo gli attacchi contro i non-musulmani in Pakistan.” In questa dichiarazione c’è l’assolutismo di un mandato di eliminare gli infedeli, unito a un’insistenza ultra nazionalista che i musulmani e gli stranieri in Pakistan sono condannati a morte e che dovrebbero lasciare il paese se vogliono sopravvivere. Sullo sfondo c’è una reazione furiosa di estranei, sia del Kenya, dell’Etiopia, dell’Uganda, o, ancora più lontano, degli Stati Uniti, come se cercassero di negare alla Somalia il risultato di una lotta interna, e quindi di fatto invadessero il diritto inalienabile all’autodeterminazione insito nel popolo della Somalia, Anche così, non ci sono affatto scuse per tali crimini contro l’umanità, ma, dati i sistemi di convinzioni religiose che occupano la mente dei fanatici, possiamo aspettarci ancora altri incidenti così orrendi.
Il fanatismo portato a questi estremi, avvelena i rapporti umani, sia che poggi la sua struttura di convinzioni su fondamenti laici come nel caso dei nazisti, o che poggi le sue affermazioni su un credo religioso. Non è più utile incolpare la religione in quanto tale, per il massacro del Westgate di quanto sarebbe insistere che il laicismo senza Dio era stato responsabile dell’ascesa di Hitler o delle devastazioni dello stalinismo. Quello che possiamo dire con sicurezza è che c’è un pericolo di genocidio collegato a qualsiasi sistema di convinzioni religiose che rivendica la verità unicamente a se stessa e che tratta coloro che non accettano questa rivendicazione come totalmente indegni, se non completamente malvagi. Ciò che avviene quando un modello di questo tipo è situato agli estremi della consapevolezza politica, è una propensione verso il massacro e il genocidio, dove il terrorismo è la forma dei fanatici di ‘guerra giusta’.
Viviamo in un tempo in cui tali modelli di comportamento spaventoso sembrano principalmente, anche se per nulla esclusivamente associati all’estremismo islamico. Bisogna opporsi e ripudiare tale comportamento patologico in qualsiasi modo possibile, ma senza peggiorare la situazione ritenendo in generale una religione specifica o la religione in generale, responsabile del ricorso al fanatismo. L’Occidente deve solo ricordarsi dell’Inquisizione, delle Crociate e di molti decenni di guerre religiose barbariche, per rendersi conto della sua propria predisposizione ad ascoltare i richiami da sirena dei fanatici, che sembrano quasi irresistibili in periodi di crisi della società. Il virus del fanatismo è dormiente nell’organismo politico di ogni società e può trovare appoggio consolante nel travisare il significato e la rilevanza pratica delle scritture religiose. Spiegare il fanatismo deplorando l’Islam e i suoi seguaci moltiplica le sfide che affronta la società invece di ridurle ponendo in esso la fonte dei problemi. L’islamofobia come reazione all’11settembre o a questi orribili incidenti in Kenya e in Pakistan versa aceto sulle ferite sperimentate ugualmente dai Musulmani e dai non-Musulmani, e tuttavia sembra un riflesso inevitabile che, se viene portato al limite dagli opportunisti provoca una parodia del fanatismo da cui ha origine. Nelle sue razionalizzazioni moralizzanti sulla violenza contro gli innocenti, il presunto anti-fanatico opera nello stesso ambito di consapevolezza estranea in cui opera il fanatico. L’uno è simile all’altro nella mentalità e nelle azioni, sebbene il fanatico è probabile che sia più sincero dell’anti-fanatico che spesso agisce per ambizione invece che per convinzione.
Ci sono dei motivi per capire che il fanatismo di questo tipo è in gran parte un prodotto della religione e del pensiero monoteistico, specificamente delle idee di dualismo che separano il bene e il male, e l’insistenza che la mente umana ha accesso alla ‘verità’ che si può applicare alle relazioni sociali e politiche. A questo proposito, le tradizioni filosofiche e religiose dell’Est non sembrano, a prima vista, nutrire tali mentalità fanatiche come appare in Occidente: c’è un rifiuto del dualismo e una generale accettazione dell’opinione che ci sono una varietà di modi per trovare la propria realizzazione e salvezza e non un’unica verità che sia universalmente applicabile. Ciò nonostante le tensioni comunitarie, religiose, etniche, politiche e di classe possono generare e di fatto generano un comportamento genocida abituale. Tragicamente, la terra di Gandhi è anche la terra cui appartiene lo stato del Gujarat, dove le impennate di violenza contro i Musulmani si sono verificate ripetutamente, con un picco notevole nel 2002. Il nazionalismo indù nelle sue manifestazioni estreme è in grado di attuare politiche di fanatismo tanto quanto gli esponenti estremisti dell’Islam politico. Si possono fare delle distinzioni anche all’interno della tradizione hindu tra coloro che appoggiano e coloro che ripudiano le distinzioni indiane di casta portate ai loro estremi insiti in idee e pratiche legate alla ‘intoccabilità’ e alla tradizione di ‘bruciare la sposa’. *Perfino il buddismo, la religione più ammirata per il valore che dà alla compassione, può essere attirato con lusinghe nei campi situazionali del fanatismo come è stato chiaramente evidente nelle fasi finali della guerra santa portata a estremi genocidi a Sri Lanka o nelle persecuzioni delle minoranze musulmane del popolo Rohingya in Myanmar, specialmente nello stato di Rakhine.
In altre parole, la cultura e le tensioni politiche possono dare origine a forme radicali di negazione dell’identità di specie come imperativo essenziale di persone che vivono insieme in pace e uguaglianza. Ci sono tre dimensioni di queste perfette tempeste morali che si manifestano in varie forme di fanatismo: (1) le frammentazioni di identità tali da elevare lo status del frammento in modo tale da denigrare l’intero, cioè, l’umanità condivisa è scavalcata dalla presunta superiorità dell’identità frammentaria in quanto Musulmano, indù, Cristiano, nazista, comunista e così via; (2) le rivendicazioni di avere la verità espresse per conto di un particolare sistema di convinzioni, sia religiose che laiche, che è presentata in termini assolutistici e che non lascia alcuno spazio politico per qualsiasi esaltazione della diversità, o anche della tolleranza dell’altro; è biologicamente e politicamente accettabile avere fede nella ‘verità’ e nella correttezza di una data strada, come argomento di scelta personale fino a quando le stesse opportunità di fede sono concesse agli altri; (3) non riuscire a essere sensibile alle caratteristiche comuni associate con il primato bio-politico della condizione umana; è soltanto un senso di umanità condivisa che può dotare le persone del pianeta della volontà politica di rispondere efficacemente a sfide globali come quella dei cambiamenti climatici e degli armamenti di distruzione di massa dalle quali dipendono la sopravvivenza collettiva e il benessere della specie.
*Non si capisce se qui l’autore si riferisca alla vecchia pratica del sati: la vedova decide di farsi bruciare viva sulla stessa pira del marito, oppure a alla forma di violenza domestica nell’India rurale che è diventata un problema fin dai primi anni ’90: la sposa viene uccisa dal marito o dalla famiglia di questo, dopo il matrimonio, se non si ritengono soddisfatti dell’entità della dote che lei ha portato.
(n.d.t.).
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/the-westgate-mall-massacre-reflections-by-richard-falk
Originale: Richardfalk.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0
28 settembre 2013
L’attacco pianificato con cura da al-Shabab (un gruppo insurrezionale somalo, n.d.t.) contro i civili nel centro commerciale Westgate di Nairobi, ha portato la patologia della rabbia e la logica del fanatismo a estremi indicibili. Immaginate di decidere della vita o della morte di qualsiasi persona, ma specialmente di un bambino, in base al fatto che essi sappiano dire il nome della madre di Maometto o recitare un verso del Corano. Il fanatismo islamico dovrebbe essere condannato con il fervore morale adatto a una tale violazione delle più fondamentali norme del rispetto per l’innocenza e la dignità umana. Fare fuori con un’arma a casaccio chiunque si trovasse a fare spese al centro commerciale Westgate il fatidico giorno 21 settembre vuol dire portare la violenza politica oltre un punto di non ritorno.
Naturalmente anche i fanatici hanno una certa logica di giustificazione che rende i loro atti coerenti con una moralità distorta. In questa circostanza, il caso di al-Shabab poggia su una risposta vendicativa alla partecipazione delle unità dell’esercito keniota a un’operazione militare multinazionale dell’Unione Africana nella vicina Somalia. Questa operazione dell’Unione Africana, rafforzata da attacchi di droni delle forze speciali degli Stati Uniti, ha causato il grave indebolimento dell’influenza politica dello Shabab in Somalia, provocando un evidente senso di disperazione e di acuto risentimento, e anche la tattica di far sì che coloro che interferiscono nelle politiche interne della Somalia abbiano degli effetti contrari di ricaduta. Se però ci si aspetta che una spiegazione di questo tipo giustifichi le azioni demoniache nel Westgate, in alcune sacche ugualmente depravate di consapevolezza alienata, ci si sbaglia molto. Ciò che può essere la cosa più spaventosa, forse, dell’intera serie di circostanze, è il grado in cui gli specialisti di contro insurrezione si sono presentati per dichiarare un ‘successo’ il massacro del Westgate in base a una prospettiva terrorista o estremista, che potrebbe produrre reclute perf al-Shabab tra le grandi minoranze che vivono a Nairobi e in alcune parti degli Stati Uniti.
Come succede di solito in occasione di questi eventi penosi, ci sono delle ironie. La catastrofe si è verificata il giorno scelto in Kenya per la Giornata internazionale della Pace. Cosa anche più strana, Osama Bin Laden era stato apertamente critico dell’eccessiva crudeltà verso i Musulmani dell’emiro di al-Shabab, Ahmed Abdi Godane. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che questo spiega il motivo per cui c’è stato un tale sforzo di risparmiare i Musulmani che erano al Westgate al momento dell’attacco. In altri precedenti attacchi violenti di al-Shabab in Somalia e in Uganda (2010), non si sono fatte queste distinzioni, per cui sia i Musulmani che i non-Musulmani sono state vittime degli attacchi.
E’ stato un sincronismo inquietante che il giorno successivo al massacro, davanti a una chiesa anglicana di Peshawar, in Pakistan, due attentatori suicidi si siano fatti esplodere uccidendo più di 80 persone che stavano uscendo dalla chiesa dopo le funzioni religiose. Un’organizzazione estremista pachistana, la TTP (Tehrik e-Taliban) ha dichiarato spudoratamente la propria responsabilità, offrendo una giustificazione sfacciatamente fanatica: “Sono nemici dell’Islam e per questo li prendiamo di mira. Continueremo gli attacchi contro i non-musulmani in Pakistan.” In questa dichiarazione c’è l’assolutismo di un mandato di eliminare gli infedeli, unito a un’insistenza ultra nazionalista che i musulmani e gli stranieri in Pakistan sono condannati a morte e che dovrebbero lasciare il paese se vogliono sopravvivere. Sullo sfondo c’è una reazione furiosa di estranei, sia del Kenya, dell’Etiopia, dell’Uganda, o, ancora più lontano, degli Stati Uniti, come se cercassero di negare alla Somalia il risultato di una lotta interna, e quindi di fatto invadessero il diritto inalienabile all’autodeterminazione insito nel popolo della Somalia, Anche così, non ci sono affatto scuse per tali crimini contro l’umanità, ma, dati i sistemi di convinzioni religiose che occupano la mente dei fanatici, possiamo aspettarci ancora altri incidenti così orrendi.
Il fanatismo portato a questi estremi, avvelena i rapporti umani, sia che poggi la sua struttura di convinzioni su fondamenti laici come nel caso dei nazisti, o che poggi le sue affermazioni su un credo religioso. Non è più utile incolpare la religione in quanto tale, per il massacro del Westgate di quanto sarebbe insistere che il laicismo senza Dio era stato responsabile dell’ascesa di Hitler o delle devastazioni dello stalinismo. Quello che possiamo dire con sicurezza è che c’è un pericolo di genocidio collegato a qualsiasi sistema di convinzioni religiose che rivendica la verità unicamente a se stessa e che tratta coloro che non accettano questa rivendicazione come totalmente indegni, se non completamente malvagi. Ciò che avviene quando un modello di questo tipo è situato agli estremi della consapevolezza politica, è una propensione verso il massacro e il genocidio, dove il terrorismo è la forma dei fanatici di ‘guerra giusta’.
Viviamo in un tempo in cui tali modelli di comportamento spaventoso sembrano principalmente, anche se per nulla esclusivamente associati all’estremismo islamico. Bisogna opporsi e ripudiare tale comportamento patologico in qualsiasi modo possibile, ma senza peggiorare la situazione ritenendo in generale una religione specifica o la religione in generale, responsabile del ricorso al fanatismo. L’Occidente deve solo ricordarsi dell’Inquisizione, delle Crociate e di molti decenni di guerre religiose barbariche, per rendersi conto della sua propria predisposizione ad ascoltare i richiami da sirena dei fanatici, che sembrano quasi irresistibili in periodi di crisi della società. Il virus del fanatismo è dormiente nell’organismo politico di ogni società e può trovare appoggio consolante nel travisare il significato e la rilevanza pratica delle scritture religiose. Spiegare il fanatismo deplorando l’Islam e i suoi seguaci moltiplica le sfide che affronta la società invece di ridurle ponendo in esso la fonte dei problemi. L’islamofobia come reazione all’11settembre o a questi orribili incidenti in Kenya e in Pakistan versa aceto sulle ferite sperimentate ugualmente dai Musulmani e dai non-Musulmani, e tuttavia sembra un riflesso inevitabile che, se viene portato al limite dagli opportunisti provoca una parodia del fanatismo da cui ha origine. Nelle sue razionalizzazioni moralizzanti sulla violenza contro gli innocenti, il presunto anti-fanatico opera nello stesso ambito di consapevolezza estranea in cui opera il fanatico. L’uno è simile all’altro nella mentalità e nelle azioni, sebbene il fanatico è probabile che sia più sincero dell’anti-fanatico che spesso agisce per ambizione invece che per convinzione.
Ci sono dei motivi per capire che il fanatismo di questo tipo è in gran parte un prodotto della religione e del pensiero monoteistico, specificamente delle idee di dualismo che separano il bene e il male, e l’insistenza che la mente umana ha accesso alla ‘verità’ che si può applicare alle relazioni sociali e politiche. A questo proposito, le tradizioni filosofiche e religiose dell’Est non sembrano, a prima vista, nutrire tali mentalità fanatiche come appare in Occidente: c’è un rifiuto del dualismo e una generale accettazione dell’opinione che ci sono una varietà di modi per trovare la propria realizzazione e salvezza e non un’unica verità che sia universalmente applicabile. Ciò nonostante le tensioni comunitarie, religiose, etniche, politiche e di classe possono generare e di fatto generano un comportamento genocida abituale. Tragicamente, la terra di Gandhi è anche la terra cui appartiene lo stato del Gujarat, dove le impennate di violenza contro i Musulmani si sono verificate ripetutamente, con un picco notevole nel 2002. Il nazionalismo indù nelle sue manifestazioni estreme è in grado di attuare politiche di fanatismo tanto quanto gli esponenti estremisti dell’Islam politico. Si possono fare delle distinzioni anche all’interno della tradizione hindu tra coloro che appoggiano e coloro che ripudiano le distinzioni indiane di casta portate ai loro estremi insiti in idee e pratiche legate alla ‘intoccabilità’ e alla tradizione di ‘bruciare la sposa’. *Perfino il buddismo, la religione più ammirata per il valore che dà alla compassione, può essere attirato con lusinghe nei campi situazionali del fanatismo come è stato chiaramente evidente nelle fasi finali della guerra santa portata a estremi genocidi a Sri Lanka o nelle persecuzioni delle minoranze musulmane del popolo Rohingya in Myanmar, specialmente nello stato di Rakhine.
In altre parole, la cultura e le tensioni politiche possono dare origine a forme radicali di negazione dell’identità di specie come imperativo essenziale di persone che vivono insieme in pace e uguaglianza. Ci sono tre dimensioni di queste perfette tempeste morali che si manifestano in varie forme di fanatismo: (1) le frammentazioni di identità tali da elevare lo status del frammento in modo tale da denigrare l’intero, cioè, l’umanità condivisa è scavalcata dalla presunta superiorità dell’identità frammentaria in quanto Musulmano, indù, Cristiano, nazista, comunista e così via; (2) le rivendicazioni di avere la verità espresse per conto di un particolare sistema di convinzioni, sia religiose che laiche, che è presentata in termini assolutistici e che non lascia alcuno spazio politico per qualsiasi esaltazione della diversità, o anche della tolleranza dell’altro; è biologicamente e politicamente accettabile avere fede nella ‘verità’ e nella correttezza di una data strada, come argomento di scelta personale fino a quando le stesse opportunità di fede sono concesse agli altri; (3) non riuscire a essere sensibile alle caratteristiche comuni associate con il primato bio-politico della condizione umana; è soltanto un senso di umanità condivisa che può dotare le persone del pianeta della volontà politica di rispondere efficacemente a sfide globali come quella dei cambiamenti climatici e degli armamenti di distruzione di massa dalle quali dipendono la sopravvivenza collettiva e il benessere della specie.
*Non si capisce se qui l’autore si riferisca alla vecchia pratica del sati: la vedova decide di farsi bruciare viva sulla stessa pira del marito, oppure a alla forma di violenza domestica nell’India rurale che è diventata un problema fin dai primi anni ’90: la sposa viene uccisa dal marito o dalla famiglia di questo, dopo il matrimonio, se non si ritengono soddisfatti dell’entità della dote che lei ha portato.
(n.d.t.).
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/the-westgate-mall-massacre-reflections-by-richard-falk
Originale: Richardfalk.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0
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