Khadama in vendita: la manna dello sfruttamento dei bambini di Ramzy Baroud


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giornata_mondiale_contro_lavoro_minorileKhadama in vendita:  la manna dello sfruttamento dei bambini
Di Ramzy Baroud
21 giugno 2013
Ieri sera nell’ingresso dell’albergo in un paese del Golfo Arabo, una famiglia camminava puntando a un bar occidentalizzato che vende tutto tranne che il caffé arabo. La madre sembrava distaccata mentre spingeva i tasti del suo smart phone. Il padre sembrava stanco mentre faceva uscire nuvolette di fumo dalla sua sigaretta, e tutta una banda di bambini correva intorno con un disordine piacevole che rompeva la monotonia dell’albergo  lussuoso ma impersonale.
Dietro i bambini veniva, con il solo scopo di essere costantemente all’erta in caso di qualunque guaio inaspettato un’adolescente indonesiana molto magra che indossava un foulard strettamente legato in testa, dei jeans logori e una gonna lunga. Era la domestica, o khadama, come le domestiche vengono chiamate qui, cioè una donna di servizio.
La ragazza era soltanto una bambina, della stessa  corporatura e l’apparenza  complessiva  di mia figlia di 14 anni che è impegnata negli studi e che prevede di avere un’estate molto eccitante. Se è fortunata, la ragazza indonesiana può soltanto aspettarsi un giorno libero ogni due settimane, dato che passa tutto il tempo faticando per molte ore, non ha diritti, ha una paga scarsa o anche nulla, e non può scappare. Nella maggior parte dei paesi del Golfo, ai lavoratori stranieri pagati poco si chiede di consegnare i loro passaporti in base a un piano che coinvolge autorità, agenzie di collocamento e datori di lavoro. Questo viene fatto per assicurarsi la condiscendenza e l’obbedienza dei giovani uomini e donne che provengono per lo più da paesi del Sudest asiatico.
Alcuni paesi arabi sono diventati un terreno fertile per una forma di moderna schiavitù che sfrutta miserie esistenti trovate altrove per alimentare l’insaziabile consumismo che permea la maggior parte delle nostre società. E’ particolarmente sconfortante considerare che le dottrine islamiche hanno messo in primo piano i diritti del lavoro molti secoli fa, non lasciando alcuno spazio a interpretazioni alternative ai testi religiosi che dicono che le persone sono create uguali, meritevoli di rispetto, di libertà e di dignità.
L’ingiustizia non comincia e non finisce qui. I ricchi paesi arabi non solo altro che una manifestazione di un fenomeno globale inarrestabile che richiede più che convenzioni internazionali vincolanti, un maggiore cambiamento nell’atteggiamento culturale.
Il 12 giugno è stata la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, un’occasione che ha a mala pena garantito una qualche citazione abituale da alcuni quotidiani, ma certamente non sufficiente per competere con i titoli riguardanti i più recenti gadget e anche con le foto più eloquenti di una delle   donne della famiglia Kardashian (protagonista di un reality statunitense, n.d.t.). Mi chiedo se tendiamo ad evitare questi argomenti perché una volta che vengono realmente discussi, in varia misura, diventiamo tutti colpevoli? Nei vestiti firmati che indossiamo e fino ai gadget fantasiosi che ci portiamo dietro insieme a quasi tutte le altre cose che consumiamo, certamente si devono trovare tracce del sudore e delle lacrime di qualche lavoratore o bambino oppresso, che ha molte potenzialità ma poca speranza.
No, questo non è senso di colpa, ma un problema pressante che non può più essere ignorato o essere messa insieme in qualche vaga nozione sul mondo in generale che è ingiusto e cose simili.  Molte forme di ingiustizia sono indotte  da decisioni consapevoli prese da tutti noi. Possono anche essere invertite da decisioni consapevoli prese da alcuni di noi.
L’Organizzazione Internazionale del lavoro (International Labor Organization – ILO) ha fatto molto per illustrare  il problema e ha cercato di coinvolgere vari governi di tutto il mondo per alleviare la sofferenza dei lavoratori, specialmente dei bambini. La maggior parte dei paesi del mondo ha convalidato le convenzioni dell’ILO come leggi, ma la maggior parte deve ancora combattere lo sfruttamento radicato nelle loro stesse società.
Scorrendo il testo delle Convenzioni fondamentali  dell’ILO riguardo al lavoro minorile (cioè la n. 138, la n. 182, e più di recente, la 189 adottata alla Conferenza Internazionale del Lavoro del 2011), c’è sufficiente trasparenza riguardo all’età minima di ammissione al lavoro, alle ‘peggiori forme di lavoro minorile’ nei lavori casalinghi, e molti altri problemi correlati. Tuttavia, mentre i governi  stanno firmando con superficialità tali convenzioni – sapendo che la responsabilità è quasi inesistente – spesso registrano piccoli cambiamenti reali.
In Birmania, un attivista, Hsu Hinget, ha riferito alla rivista Irrawaddy News, che il lavoro minorile è “così profondamente radicato nella società, che è diventato una ‘tradizione’”.
Secondo un sondaggio condotto da Child Rights and You (Diritti dell’infanzia e Voi) [è un'organizzazione indiana senza scopo di lucro, n.d.t.]  e citato sull’Huffington Post, “il 19% delle gente di nella zona meridionale di Delhi,  crede che un individuo è un bambino se lui o lei è al di sotto dell’età di 10 anni, e la maggior parte non conosceva le leggi che proibiscono il lavoro minorile.”
In Indonesia, l’ILO calcola che  quasi 2,5 milioni di bambini lavorano duramente, mentre prima di tutto non  dovrebbero neanche lavorare. Il giornale Jakarta Post ha riferito che il 21% di quei bambini lavorano nelle case e il 60% lavora nell’industria del tabacco. Secondo l’ILO e altre organizzazioni, molti di loro lavorano senza ricevere una paga.
I bambini che lavorano nei campi di tabacco, lavoravano dalla 3 alle 7 ore al giorno, guadagnando soltanto  tra le 15.000 (1,51 dollari americani) e le 25.000 rupie, ha riferito il giornale Jakarta Post il 15 giugno.
Il Bangladesh è particolarmente “ricco” di questo sfruttamento, del tipo che interessa anche molte imprese occidentali che cercano mano d’opera a poco prezzo e grandi margini di profitto. Molte delle persone morte sotto le macerie dell’edificio Rana Plaza il 24 aprile, erano bambini, e, naturalmente adulti sfruttati. Da allora due anniversari sono arrivati e passati con piccoli cambiamenti delle condizioni di lavoro: la festa dei lavoratori il 1° maggio, e la Giornata mondiale contro il lavoro minorile il 12 giugno.
Si stima che ci siano 215 milioni di bambini che sono catalogati come lavoro minorile. Tra di loro, secondo l’ILO, “10,5 milioni sono impiegati per cucinare e per fare pulizie nelle case, dove sono spesso soggetti a  condizioni rischiose  e ad abusi sessuali.
Anche in Medio Oriente, sfruttare i lavoratori è una ‘tradizione’, che non produce tumulti, o neppure una protesta leggermente seria per le tristi  condizioni lavorative, specialmente quelle riguardanti i bambini. Questo non è limitato ai lavoratori stranieri, ma anche a quelli del paese. Secondo una mappa interattiva globale apparsa su un sito dell’ILO, “una stima di 13,4 milioni, o circa il 15% di tutti i bambini nella regione [araba] sono lavoratori bambini.
In uno studio a parte, l’ILO spiega i tipi di sfruttamento che ci sono nei paesi arabi. “I bambini che lavorano in questa regione  sono esposti alla partecipazione ad attività illecite come il traffico di droga, e l’industria commerciale del sesso, il reclutamento a opera di estremisti religiosi; sono esposti a condizioni sanitarie precarie, ad ambienti di lavoro non sicuri, e non hanno accesso a corsi di formazione per impiegare meglio le loro capacità.
Naturalmente che la Guerra siriana è presumibilmente importante per qualsiasi discussione collegata allo sfruttamento dato che le sue orribili conseguenze si stanno estendendo a tutta la regione. Molti bambini/bambine siriani/e vengono ora sfruttati in Libano e altrove come lavoratori e prostitute, ha riferito il quotidiano libanese Al Akhbar l’11 giugno. Resoconti  analoghi stanno apparendo di nuovo in tutti i paesi arabi, in Turchia e in Europa. “Non lontano dalle zone calde libanesi l’esperto di strategie mediatiche, Issam Azouri, descrive la situazione di un bambino che riceve 20 dollari al giorno per buttare una granata o bruciare un copertone,” scrive Al Akhbar, che ha scritto anche che  un bambino di 4 anni che chiede l’elemosina per sopravvivere.
In un qualche modo tragico, la “serva” indonesiana di 14 anni che ieri sera era nell’ingresso dell’albergo, forse non ha neanche i requisiti per essere inclusa nella categoria delle “peggiori forme di lavoro” secondo la Convenzione ILO n. 182 che definisce il tipo di lavoro che è simile alla schiavitù.
In ogni caso, non dobbiamo aspettare ancora un altro anno per fare una citazione en passant delle diecine di milioni di bambini sfruttati, fare un cenno di assenso con la testa due a due su come è ingiusto il mondo, e come siamo fortunati perché ci viene risparmiata questa ingiustizia. I bambini lavoratori non esisterebbero se non fosse per gli altri molti  milioni di volenterosi sfruttatori  che cercano le khadama, i buoni sigari e i capi di abbigliamento di marca. Il mondo, dopo tutto, è fatto da noi, e quindi sarebbe meglio assumerci  la responsabilità di questo e dei suoi bambini sfruttati.

Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale e dirige il sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. (Pluto Press).


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/khadamas-for-sale-child-exploitation-bonanza- by-ramzy-baroud
Originale: Ramzy Baroud’s ZSpace Page
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

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