Elezioni israeliane all’ombra dell’Apartheid.di Sergio Yahni

shelly yachimovich
Elezioni israeliane all’ombra dell’Apartheid.
di Sergio Yahni

Assecondando la logica dell’opinione pubblica israeliana riguardo l’Apartheid, il Partito Laburista, Meretz e Hadash escludono i palestinesi dai loro programmi politici per le elezioni del 22 gennaio. Allo stesso tempo, l’orientamento del centro-sinistra israeliano abilita un apartheid che è non solo percepito dall’opinione pubblica, ma costituisce una realtà demografica. Così, mentre la maggior parte delle persone soggette all’effettiva autorità israeliana è data da palestinesi, questi vengono considerati irrilevanti nel dibattito politico di Israele.
                 
La leader del Partito Laburista Shelley Yachimovich, riguardo al conflitto israelo-palestinese, condivide interamente le posizioni di Netanyahu.

Mentre i partiti politici israeliani cominciano ad apprestarsi per le elezioni alla Knesset del 22 gennaio, un sondaggio pubblicato il 24 ottobre dal quotidiano Haaretz svela il dato noto che la maggior parte degli israeliani presume di vivere in un regime di Apartheid e ne è felice.
Il sondaggio è stato eseguito nella seconda settimana di settembre da Dialogue, un’organizzazione no-profit gestita dall’Istituto Israeliano per la Democrazia. Secondo la ricerca, quasi il 60% degli israeliani ritiene che un regime di Apartheid è già in atto. Il 50% è convinto che i cittadini palestinesi di Israele sono già discriminati nei luoghi di lavoro, e quasi il 60% crede che ciò sia giusto. Inoltre, quasi il 50% degli israeliani concordano sul fatto che i cittadini palestinesi di Israele debbano essere trasferiti nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese; un terzo ritiene che ai cittadini palestinesi di Israele non debba essere concesso di votare per il Parlamento; il 40% degli israeliani non vuole un palestinese come vicino di casa e il 40% non vogliono che i figli siano nella stessa classe con un palestinese.
Questo sondaggio non riflette una deriva coloniale della società israeliana, dopo tutto, quasi il 50% della popolazione israeliana è contro l’annessione dei blocchi di colonie e meno del 40% vorrebbe incorporarli. La ricerca evidenzia che un sesto degli israeliani non sa e non è interessato al fatto che le colonie verranno o non verranno annesse a Israele. Allo stesso modo, a un sesto di loro non importa se i palestinesi dei Territori Occupati potranno votare o meno per la Knesset. 
Il messaggio complessivo del sondaggio pubblicato da Haaretz è che la società ebraica israeliana è stanca della “Questione palestinese” ancora irrisolta e desidera che divenga irrilevante. Dopo tutto gli israeliani hanno altri problemi che ritengono importanti: la disoccupazione in crescita, l’aumento del costo della vita e le interrelazioni tra governo e grande capitale.
Nell’ambito della società israeliana i partiti israeliani centristi e di sinistra hanno adottato un programma politico per le prossime elezioni di questo tipo. Didi Remez, ex membro del partito della sinistra sionista Meretz, ha scritto sulla sua pagina di Facebook: “Il voto della Knesset non significa molto politicamente. D’altro canto, la Knesset e i più piccoli gruppi al suo interno, assumono un grande significato quando si tratta di questioni socio-economiche, di diritti civili e umani, e di democrazia. Quindi, quelli che vedono in queste elezioni uno strumento per il cambiamento, e non solo un mezzo per ripulire le loro coscienze, al momento del voto dovrebbero concentrarsi su questi temi.”
Questa è anche la strategia del Partito Laburista, guidato da Shelly Yachimovich, che ha cercato di vanificare la disputa politica con Netanyahu dal momento che, il 24 ottobre, ha dichiarato che le posizioni del partito sul conflitto israelo–palestinese sono quasi identiche a quelle del primo ministro Benjamin Netanyahu.
“Sosteniamo la formula del compromesso territoriale, la soluzione dei Due Stati, la conservazione dei blocchi di colonie e ci opponiamo al diritto al ritorno”, ha precisato la Yachimovich in una conferenza stampa durante la quale ha presentato le nuove reclute per il partito.
La stessa ha spiegato inoltre, “ho dato, personalmente, una priorità economica e sociale al mio programma. Ritengo che i cittadini del paese prima di fare la pace e andare in guerra per proteggere la sicurezza nazionale, abbiano bisogno di uno stato.”
Quando richiesta, per gli attuali attacchi alla Striscia di Gaza, la Yachimovich ha perfino sostenuto Netanyahu,. “Si tratta di operazioni complesse che richiedono un grande equilibrio. Non chiederò al primo ministro di dare l’avvio a un aumento delle operazioni belliche, e non lo criticherò. Mi attengo a ciò che fa.” 
Tuttavia, questo tentativo di isolare e ridurre al silenzio la questione palestinese alle prossime elezioni è stato fatto proprio anche dal partito israeliano della sinistra radicale Hadash, un fronte politico diretto dal Partito Comunista Israeliano, che si è impegnato a tradurre il movimento di protesta sociale israeliano del 2011 in voti per il parlamento.
Dov Khenin, un parlamentare di Hadash, sulla sua pagina di Facebook ha scritto: “Andremo a votare tra soli tre mesi. Saremo in grado, alle elezioni, di tradurre la protesta sociale in un reale cambiamento?”
In un precedente messaggio, spiega: “E’ un grosso errore credere che queste elezioni siano perdute in anticipo. Vero è che non siamo lontani dal raggiungere il numero di 61 parlamentari per i partiti di centro e di sinistra. Sarebbe impossibile bloccare Netanyahu e l’estrema destra senza Hadash e un’alleanza arabo-ebraica”.
Assecondando la logica dell’opinione pubblica israeliana riguardo l’Apartheid, il Partito Laburista, Meretz e Hadash escludono i palestinesi dai loro programmi politici per le elezioni del 22 gennaio. Allo stesso tempo, l’orientamento del centro-sinistra israeliano abilita un apartheid che è non solo percepito dall’opinione pubblica, ma costituisce una realtà demografica.
Il Ministero israeliano delle Finanze, ai fini fiscali, calcola che la popolazione complessiva (israeliani e palestinesi), in base alle buste fiscali, vale a dire sotto il controllo effettivo di Israele, supera i 12 milioni. Di questi 7,8 milioni sono cittadini israeliani ebrei e non ebrei (66%); 5,9 milioni sono ebrei (49,82%), mentre il 50,18% delle persone soggette all’autorità israeliana sono non-ebrei.
Politicamente parlando, ai residenti palestinesi della West Bank e della Striscia di Gaza non sarà assolutamente permesso di votare e il voto dei cittadini palestinesi di Israele è divenuto irrilevante nel dibattito politico dei partiti israeliani del centro e della sinistra. Ciò sta a significare che la maggior parte della popolazione sotto il controllo israeliano è diventata irrilevante nei riguardi delle prossime elezioni per il dibattito politico all’interno della società israeliana. Nessun partito mette nella propria agenda politica di opporsi all’Apartheid.
(tradotto da mariano mingarelli

Elezioni israeliane all'ombra dell'apartheid

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