Italia-Israele: accordo per una Terra Santa accessibile a tutti, anzi non proprio a tutti

Siglato a Roma il 27 gennaio un accordo tra Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e Santuari internazionali) e El Al Israel Airlines, compagnia di bandiera israeliana, per sviluppare flussi di pellegrini disabili dall’Italia alla Terra Santa. Un accordo “commerciale ma anche etico” secondo i firmatari, per rendere i luoghi sacri alle tre religioni monoteiste “aperti e accessibili a tutti”. Con qualche distinguo.
 di Cecilia Dalla Negra
Molto più di un accordo “commerciale”. Su questo punto  i firmatari insistono in modo particolare. Quella siglata il 27 gennaio a Roma tra Unitalsi – l’organizzazione che si occupa di pellegrinaggi nei luoghi della cristianità dedicati ad anziani e disabili – e la El Al Israel Airlines, è infatti una joint venture “soprattutto etica”, perché capace di rendere “aperti e accessibili” i luoghi della Terra Santa “a tutte le persone senza distinzioni”, promuovendo “itinerari dello spirito” in cui il diversamente abile possa sentirsi capace di muoversi liberamente.
Il 2012 è l’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, e per questa ragione è stato scelto da Unitalsi per siglare un accordo che parla di aiuto, sostegno, solidarietà e uguaglianza. Ma solo per qualcuno.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’accordo il presidente Unitalsi, Salvatore Pagliuca, ha voluto sottolineare che “il valore aggiunto di questa sinergia è, ancora una volta, l’attenzione verso le persone disagiate”.
Dichiarazione a cui ha fatto eco quella di Naomi Tsur, vicesindaco di Gerusalemme, che è arrivata a definire la propria città “un luogo aperto che rispetta tutte le persone, senza distinzione di tipologia, razza, religione. Quello che vogliamo – spiega – è assicurare a Gerusalemme la libertà di accesso e movimento per tutti”.
Un quadro che però sembra escludere dal proprio panorama visivo i check-point, così come le limitazioni alla libertà di movimento, gli sbarramenti e le restrizioni imposte ai cittadini palestinesi, tanto a Gerusalemme quanto nel resto dei Territori Occupati della Cisgiordania; e che rifiuta di prendere in considerazione gli sfratti, i trasferimenti forzati, l’appropriamento indebito di terre e case palestinesi da parte dei coloni israeliani proprio in quella “città sacra” che si vorrebbe “aperta e accessibile a tutti”.
Ma non è tutto: se accordo deve essere non può mancare uno sguardo alla salvaguardia dell’ambiente.
Durante la conferenza stampa viene infatti presentata la campagna di sensibilizzazione “Un’oasi di pace in Terra Santa”, patrocinata da Roma Capitale e dal Municipio di Gerusalemme, parte dell’accordo di collaborazione tra Unitalsi e El Al. E che vede, in questo caso, entrare in gioco un ulteriore attore: la KKL, Keren Kayameth ElIsrael, organizzazione non-governativa israeliana che si occupa di ambiente ed ecologia.
Il progetto è quello di piantare un vero e proprio bosco di ulivi sulle colline intorno a Gerusalemme, un albero per ogni passeggero che parteciperà ai pellegrinaggi congiunti, per creare “un’oasi di pace e preghiera per far crescere la serenità in tutto il mondo”.
Esaustiva la brochure distribuita che spiega le finalità e gli obiettivi di questa Ong che, secondo i suoi responsabili, “ha come obiettivo quello di preservare la natura, sempre avendo in mente la solidarietà verso i più deboli e il benessere delle persone”.
Un enorme fronte-retro che, se da un lato mostra i Territori Palestinesi Occupati come “Judean Desert”, indicando i nomi delle colonie ma non quelli delle città e dei villaggi arabi, dall’altro spiega finalità e obiettivi.
Primo fra tutti il “Community development”, che prevede un sibillino “recupero di terra per case, fattorie e attività turistiche”, lo “sviluppo di nuove comunità”, la costruzione di “strade di sicurezza” e tra le righe assicura: “Per i soldati e le loro famiglie noi siamo qui”.
E ancora: creazione di itinerari turistici, aree pic-nic, piste ciclabili, birdwatching, in un bucolico quadro che esclude, ancora una volta, città e villaggi palestinesi ma anche muri, check-point, barriere, colonie e occupazione.
Un accenno all’acqua “fonte di vita” è poi d’obbligo, quando risale a pochi giorni fa la pubblicazione del  rapporto francese che definiva “apartheid idrico” quello perpetrato da Israele nei Territori Palestinesi Occupati.
Una grande operazione israeliana di rimozione dell’altro: il conflitto sparisce, sfumano città e confini contesi ma, sopra ogni altra cosa, svaniscono i palestinesi, i loro diritti, i loro territori.
La loro stessa esistenza non è presa in considerazione, in un corto circuito mediatico e umano che è capace di parlare di accoglienza, accessibilità, diritti e libertà di movimento, ma solo per qualcuno. Diritti umani e attenzione verso l’altro che sono applicabili a intermittenza, e a seconda di chi sia l’altro verso cui tendere.
D’altronde, agli stessi firmatari italiani sarebbe bastato leggere il depliant di presentazione della El Al Airlines per comprendere quale tipo di accordo si sarebbe siglato. “E’ più di una compagnia aerea. È Israele”.
28 gennaio 2012

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