27 Gennaio : Giornata della Memoria, intervista a Moni Ovadia

Ricordare il passato per costruire il futuro. La frase può suonare come uno slogan retorico, qualcosa di già sentito troppe volte. O forse no, non abbastanza. Moni Ovadia, attore, cantante, scrittore - tra i maggiori rappresentanti della cultura ebraica in Italia - al valore della memoria ci crede fermamente e ogni anno, in questo periodo, è protagonista di tante iniziative riguardanti il Giorno della memoria. Con le sue riflessioni, i suoi spettacoli. Nei giorni scorsi anche in tv, come membro del cast della fiction «Mi ricordo di Anna Frank»: «Sono convinto - spiega - che l’operazione artistica, se condotta con il rispetto e la dovuta sensibilità, può svolgere un ruolo straordinario. Così il cinema o un altro mezzo nelle mani di chi sappia raccontare e che abbia la necessaria capacità di elaborare, può aiutare ad accedere a una relazione con quell’evento e a eventi consimili senza rischiare di esserne travolto o peggio quell’effetto di assuefazione che possono portare i documenti continuamente ripetuti. Invece le forme poetiche dell’arte toccano i sentimenti e rimettono ogni volta in campo il senso profondo. Quindi hanno un ruolo molto importante. In fondo Primo Levi, che è stato testimone e vittima, non ha raccontato esattamente quello che è successo lì». - Ma cosa vuol dire per lei, cos’è la memoria? «C’è chi crede che la memoria serva a ricordare il passato. Non è questo o lo è solo marginalmente. La memoria serve a costruire presente e futuro, è uno strumento di edificazione identitaria. Chi è lei senza la sua memoria? E se questo vale per uomo, vale anche per una famiglia, per un quartiere, per una città, per la gente. La memoria è ciò che ci permette di decidere dove vogliamo andare. Altrimenti dipendiamo da altri, diventiamo immediatamente sottomessi e non dei soggetti consapevoli. Per questo è fondamentale. Ma non deve diventare falsa coscienza». - C’è il rischio di strumentalizzazioni? «Oggi il Giorno della memoria in molti ambiti viene strumentalizzato. Ma cosa significa avere una relazione autentica con la Shoah? Significa impegnarsi a costruire un mondo di giustizia sociale, di accoglienza dello straniero, delle minoranze. Se non si fa questo e tutto una celebrazione finta e diventa il contrario di quello che si dichiara che sia. Molti politici oggi si mettono uno zucchetto all’ebraica e vanno a visitare il lager di Auschwitz, escono e dichiarano “mi sento israeliano” per opportunità politica, per avere crediti in Occidente. Perché non dicono mi sento ebreo, mi sento rom, mi sento omosessuale, mi sento menomato, mi sento slavo. In quei lager gli ebrei furono certo il bersaglio più specifico e l’accanimento nei loro confronti fu più furioso, ma non furono le uniche vittime. Lì fu annientato l’essere umano. Primo Levi non ha scritto se questo è un ebreo, ma “Se questo è un uomo”». - E la discriminazione razziale continua a essere un male difficile da estirpare. «Ricordando sempre Primo Levi, lui parlava di sommersi e salvati. Nella categoria dei salvati e come se ci fosse tutta l’umanità uscita da un diluvio universale. E ognuno di noi ha la responsabilità dell’edificazione di una nuova umanità. E chi sono i sommersi di oggi? Sono per esempio i migliaia di clandestini, criminalizzati da una legge degna dei nazisti, che sono morti a ridosso delle coste del nostro Paese, quelli ricacciati nei lager di Gheddafi, prima accarezzato e poi bombardato, perché l’assetto geopolitico è cambiato e il petrolio è importante. Se non siamo consapevoli di questo e andiamo a fare la sceneggiata, la mascherata, con il finto viaggio, ipocrita nei luoghi della memoria per poi vessare gli ebrei di oggi che sono i rom, i sinti, i clandestini, gli africani sfruttati, di cosa parliamo? Se la memoria non serve ad insegnare a combattere contro ogni ingiustizia, a solidarizzare, a essere al fianco di ogni essere umano che soffre, allora non serve niente». - A dodici anni dalla sua istituzione, il bilancio del giorno che ricorda la Shoah è allora negativo? «Ci sono anche aspetti positivi. Per esempio tanti straordinari insegnanti ne hanno approfittato per fare un grande lavoro con i loro studenti. Attraverso la memoria, con i viaggi nei luoghi della memoria, hanno dato ai giovani un’esperienza importante per costruire degli uomini migliori». - E con gli studenti lei sembra avere un rapporto davvero speciale. Anche in Sardegna viene spesso per andare nelle scuoleù. «Non rifiuto mai di andare in una scuola, in un’università, in un incontro con giovani nei loro circoli. Di stare al loro fianco quando provano a far sentire la loro voce per migliorare la scuola, per il loro futuro. E cosa stiamo facendo per loro? Niente. Si cerca di reagire alla crisi con quelli che sono al massimo dei palliativi. Una vera risposta sarebbe creare un’altra società. Una società che si fonda sulla centralità dell’essere umano, della sua dignità». - Cosa le chiedono soprattutto i giovani? «Mi chiedono di non mollare. Molto spesso mi sento dire: “Signor Ovadia non ci abbandoni”. Lo dico molto onestamente: se non fosse stato per loro me ne sarei andato da un pezzo da questo Paese. Non mi lamento per me. Io ho avuto tante cose in Italia, perché c’è tanta brava gente. Ma non sono d’accordo, con tutto il rispetto per il presidente della Repubblica, quando dice che l’Italia è un grande Paese. L’Italia è un piccolissimo Paese, devastato. Grande è la gente che continua a operare: i lavoratori, quelli che pagano le tasse. E che magari oggi si osa far passare per privilegiati perché hanno un lavoro a tempo indeterminato, o l’hanno avuto e adesso hanno una pensione. Chiamano privilegiati quelli che hanno una vita dignitosa, mentre i veri privilegiati sono gli speculatori, i banchieri furfanti. Non uno che ha lavorato in fonderia per 35 anni e oggi ha legittimamente una pensione che gli vogliono erodere. Ma siamo impazziti? Non è una questione di destra o di sinistra. È una questione di umanità, di senso della civiltà». - Uno dei problemi dell’Italia può essere proprio quello di ricordare con difficoltà? «L’Italia è un Paese straordinario, a partire dai nostri partigiani a cui noi dobbiamo la democrazia. Ma lo slogan “italiani brava gente” è una porcheria, una vergogna. L’Italia è un Paese che ha avuto una dittatura genocida e criminali di guerra fascisti. Siamo abituati a dire: “I cattivi erano i tedeschi, non  i sommersi di oggi? Sono per esempio i migliaia di clandestini, criminalizzati da una legge degna dei nazisti, che sono morti a ridosso delle coste del nostro Paese, quelli ricacciati nei lager di Gheddafi, prima accarezzato e poi bombardato, perché l’assetto geopolitico è cambiato e il petrolio è importante. Se non siamo consapevoli di questo e andiamo a fare la sceneggiata, la mascherata, con il finto viaggio, ipocrita nei luoghi della memoria per poi vessare gli ebrei di oggi che sono i rom, i sinti, i clandestini, gli africani sfruttati, di cosa parliamo? Se la memoria non serve ad insegnare a combattere contro ogni ingiustizia, a solidarizzare, a essere al fianco di ogni essere umano che soffre, allora non serve niente». - A dodici anni dalla sua istituzione, il bilancio del giorno che ricorda la Shoah è allora negativo? «Ci sono anche aspetti positivi. Per esempio tanti straordinari insegnanti ne hanno approfittato per fare un grande lavoro con i loro studenti. Attraverso la memoria, con i viaggi nei luoghi della memoria, hanno dato ai giovani un’esperienza importante per costruire degli uomini migliori». - E con gli studenti lei sembra avere un rapporto davvero speciale. Anche in Sardegna viene spesso per andare nelle scuoleù. «Non rifiuto mai di andare in una scuola, in un’università, in un incontro con giovani nei loro circoli. Di stare al loro fianco quando provano a far sentire la loro voce per migliorare la scuola, per il loro futuro. E cosa stiamo facendo per loro? Niente. Si cerca di reagire alla crisi con quelli che sono al massimo dei palliativi. Una vera risposta sarebbe creare un’altra società. Una società che si fonda sulla centralità dell’essere umano, della sua dignità». - Cosa le chiedono soprattutto i giovani? «Mi chiedono di non mollare. Molto spesso mi sento dire: “Signor Ovadia non ci abbandoni”. Lo dico molto onestamente: se non fosse stato per loro me ne sarei andato da un pezzo da questo Paese. Non mi lamento per me. Io ho avuto tante cose in Italia, perché c’è tanta brava gente. Ma non sono d’accordo, con tutto il rispetto per il presidente della Repubblica, quando dice che l’Italia è un grande Paese. L’Italia è un piccolissimo Paese, devastato. Grande è la gente che continua a operare: i lavoratori, quelli che pagano le tasse. E che magari oggi si osa far passare per privilegiati perché hanno un lavoro a tempo indeterminato, o l’hanno avuto e adesso hanno una pensione. Chiamano privilegiati quelli che hanno una vita dignitosa, mentre i veri privilegiati sono gli speculatori, i banchieri furfanti. Non uno che ha lavorato in fonderia per 35 anni e oggi ha legittimamente una pensione che gli vogliono erodere. Ma siamo impazziti? Non è una questione di destra o di sinistra. È una questione di umanità, di senso della civiltà». - Uno dei problemi dell’Italia può essere proprio quello di ricordare con difficoltà? «L’Italia è un Paese straordinario, a partire dai nostri partigiani a cui noi dobbiamo la democrazia. Ma lo slogan “italiani brava gente” è una porcheria, una vergogna. L’Italia è un Paese che ha avuto una dittatura genocida e criminali di guerra fascisti. Siamo abituati a dire: “I cattivi erano i tedeschi, non noi”. Ma cosa abbiamo fatto nell’Africa orientale o in Cirenaica? Da anni la Rai ha acquistato un documentario dalla Bbc, “Fascist Legacy”, sui crimini dei fascisti, doppiato anche in italiano. Bene, non è stato mai trasmesso. Quel documentario andrebbe proposto in prima serata il Giorno del ricordo e non solo, perché si capisca, per denunciare i crimini che sono stati commessi da italiani. Atroci, efferati come quelli dei nazisti. Gli italiani non sono tutti brava gente. Questa idiozia ci ha fatto diventare una caricatura. Quando la smetteremo con queste pagliacciate, quando ci assumeremo la piena responsabilità, noi diventeremo migliori».

2 Il Centro Studi Sereno Regis di Torino per la Memoria e la Pace

“Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26)

Il Centro Studi Sereno Regis di Torino propone : Le Dimensioni Angeliche tra Memoria e Oblio sulla scena della Shoah. Ricordati di ricordare
“Fammi ricordare, discutiamo insieme” (Is 43,26) continua qui

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