Angelo Del Boca : storico del colonialismo italiano L’ITALIA IN LIBIA: DAL TRATTATO DI AMICIZIA ALLE BOMBE


Angelo Del Boca, scrittore e storico del colonialismo italiano, fu il primo a denunciare le atrocità compiute dalle truppe italiane in Libia e in Etiopia. Direttore della rivista di storia contemporanea I sentieri della ricerca, tra le ultime pubblicazioni ricordiamo: La nostra Africa (2003), Italiani brava gente? (2005), La scelta (2006), Il mio Novecento (2008) e La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico (2009). Contrario all’intervento armato in Libia, sottolinea come l’Onu e la Nato abbiano violentato la sovranità di uno Stato. Una guerra civile non può giustificare un simile intervento. La realtà storica, sociale ed economica della Libia è stata calpestata nuovamente e l’Italia in questo gioco di forze internazionali condivide la responsabilità del conflitto. Il trattato di amicizia e cooperazione tra i due Paesi è stato accantonato per lasciare spazio a bombardamenti mirati. In Libia la rivolta è partita dalla Cirenaica, dove è forte la presenza della confraternita senussita; questa regione è molto diversa dal punto di vista economico e sociale rispetto alla Tripolitania.
 Cosa è accaduto all’interno dei territori libici e quali sono le cause che hanno portato al disfacimento del regime, apparentemente solido, di Muammar Gheddafi?Sia geograficamente che economicamente la Tripolitania e la Cirenaica sono due regioni diverse: la Tripolitania è sempre stata un territorio privilegiato, sede della capitale del Paese; la Cirenaica, invece, ha  subito l’influsso senussita. Non a caso Re Idris proveniva da questa confraternita religiosa. Le bandiere che i ribelli sventolavano a Bengasi, durante i primi giorni di rivolta, erano legate alla monarchia di re Idris al-Senussi e non ai nuovi simboli dell’insurrezione. Tutto il popolo libico ricorda ancora oggi l’allora vicario di re Idris Omar al-Mukhtar, un personaggio leggendario che condusse per dieci anni la rivolta contro gli eserciti italiani, fino al 1931 quando venne impiccato nel campo di concentramento di Soluk. La Libia, un paese ricco, con una struttura sociale apparentemente solida e con una popolazione che si aggira intorno a cinque milioni e mezzo di abitanti, è tutt’oggi caratterizzata dalla presenza di clan. Sono proprio questi ultimi a comandare sulla popolazione, e non la struttura creata da Gheddafi espressa attraverso il suo Libro Verde, definita dal colonnello come “terza teoria universale” posta come alternativa al capitalismo e comunismo. Conobbi uno dei capi di queste tribù, che all’epoca di re Idris era stato ministro del petrolio, sotto il cui controllo vi erano circa quindicimila persone; ricordo come i suoi associati  chiedevano ogni tipo di permesso: da un semplice viaggio, alla compravendita di una casa, fino al benestare per un matrimonio. Gheddafi credeva di essere l’unico padrone incontrastato del Paese, in realtà vi erano almeno 130 capi clan che gestivano tutta la popolazione. Il colonnello sapeva benissimo che in Cirenaica esisteva da tempo la possibilità dello scoppio di nuove rivolte, sia per la presenza di elementi di al-Qaeda, che avevano tentato per ben due volte nel 1996 e nel 2008 di insorgere, e sia per la forte presenza della confraternita religiosa senussita
.La coalizione dei “volenterosi” sotto l’egida dell’Onu interviene con bombardamenti aerei mirati in Libia. Il quarto comma dell’articolo 2 della Carta costitutiva dell’Onu sancisce: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. La stessa risoluzione, peraltro, viene applicata in modo estensivo da parte di un’alleanza militare di Stati senza uno specifico mandato Onu. Qual è il suo giudizio in merito? La legittimità della risoluzione giustifica la legalità dell’intervento?Direi proprio di no. E’ piuttosto dubbia questa legittimità, innanzi tutto perché la Libia è uno Stato sovrano, le ragioni di un attacco devono essere precise e non trovo che la guerra civile possa autorizzare l’Onu e la Nato ad intervenire. Con questo ragionamento si dovrebbe intervenire nello Yemen, in Siria e in tutti quei Paesi afflitti da guerre interne. In secondo luogo, risulta dubbia anche la legalità dell’intervento, tanto da spingermi a scrivere più di un articolo contro questa guerra. Si deve considerare anche come sia stata organizzata, ad esempio, l’uccisione avvenuta giorni fa del figlio di Gheddafi, Saif al-Arab, con sua moglie e i tre figli piccoli, che non doveva essere parte del programma di guerra. Non esistono mai guerre o bombardamenti mirati, nessuno può avere la certezza di colpire una città o obiettivi sensibili senza provocare vittime tra i civili. La morte e di Saif al-Arab e della sua famiglia è un’onta anche per il nostro Paese che condivide le responsabilità del conflitto.
Dopo aver firmato un trattato di amicizia con Gheddafi, ricevuto a Roma dal Presidente del Consiglio il 30 agosto scorso, con tutti gli onori di un capo di Stato, l’Italia attenendosi alla risoluzione 1973 dell’Onu torna sui suoi passi. Berlusconi allora dichiarava: “il passato del popolo libico, fatto di molte sofferenze, è consegnato ai libri di storia”. Dopo tanti anni dal tempo del colonialismo, quanto pesa questa nuova posizione e cosa pensa in merito al trattato firmato con l’Italia?In realtà il trattato è stato concepito da Gheddafi l’anno dopo il suo insediamento al potere, quando cacciò dalla Libia gli ultimi ventimila italiani, simbolo della presenza coloniale. Il Rais voleva il risarcimento dei danni provocati dalla colonizzazione e dalla guerra. In un primo momento questa richiesta venne portata avanti dalle sinistre attraverso Dini e D’Alema, ma solo con Berlusconi a Bengasi si è arrivati alla firma conclusiva degli accordi. Da un punto di vista storico la funzione del trattato è corretta, ma al di là del giusto risarcimento e dei danni provocati dal nostro Paese, per un ammontare totale di cinque miliardi di dollari, il testo non è molto preciso. Innanzitutto manca un preambolo essenziale nel quale si doveva specificare che la Libia, non essendo un Paese democratico, non rispetta i diritti umani. La contraddizione più forte è che in un comma del trattato, viene chiaramente dichiarato che il suo annullamento può sussistere esclusivamente attraverso il consenso di entrambe le parti. L’Italia lo ha sospeso accantonandolo, tutto questo non ha valore poiché l’altra parte, la Libia, non si è mai espressa. La posizione presa dall’Italia è molto delicata, abbiamo attaccato la Libia con bombardamenti aerei all’ombra di un trattato di amicizia e cooperazione. Sganciamo le bombe e poi li ringraziamo per l’amicizia, trovo sia veramente tragico.
Quale peso porta con sé l’Italia dopo l’esperienza coloniale in Libia?Durante l’ultima colonizzazione italiana, durata dal 1931 al 1943, si creò una situazione alquanto torbida. Gli italiani occupanti sono stati sempre in guerra con la popolazione e soltanto gli ultimi sei anni, durante il governatorato di Italo Balbo, i conflitti sono cessati. La Libia ha rappresentato per l’Italia una spesa enorme: abbiamo costruito strade, aeroporti, città e anche una decina di villaggi agricoli volti a portare un’autonomia rurale sul territorio. Sottolineo quanto questo peso economico sia divenuto in seguito una vergogna per la  gestione della nostra presenza coloniale ricordata per le centomila vittime, una cifra enorme, calcolando che tra il 1920 e il 1930, la popolazione totale si aggirava attorno alle ottocentomila persone. Un libico su otto è morto per difendere il suo Paese. Un altro elemento che caratterizza la brutalità della nostra presenza è rappresentato dalla costruzione di quindici campi di concentramento, tra Sirte e Bengasi, territorio dove oggi si estendono i maggiori pozzi petroliferi del Paese. Lo stesso Gheddafi, nell’attesa di ricevere i risarcimenti, istituì la famosa “giornata della vendetta”, per ricordare a tutto il popolo la presenza italiana nell’epoca coloniale.
Qual è la sua opinione sulla eventuale presenza dei Caschi Blu, cioè truppe d’interposizione?Sono contrario. Un intervento a terra sarebbe comunque un’ulteriore violazione del territorio, anche portato avanti da truppe di interposizione. Questo conflitto ha già violentato la sovranità della Libia.
Esiste il rischio che Cirenaica e Tripolitania, con il disgregarsi dell’integrità nazionale, possano seguire strade indipendenti?Penso di si. Gli appetiti francesi e inglesi sono rivolti soprattutto alla Cirenaica, tra Sirte e Bengasi, zona ricca di petrolio. La Tripolitania, invece, è in continua evoluzione. Si è creata una situazione di stallo che, a mio avviso, potrà durare settimane o addirittura mesi. Nessuno poteva immaginare una così forte resistenza di Gheddafi, anche se negli ultimi dieci anni il colonnello aveva comprato da Italia e Francia armamenti per una cifra pari ad un miliardo di dollari. Gli interventi aerei hanno neutralizzato solo un terzo del potenziale militare del Rais. Ecco perché il conflitto potrebbe durare ancora a lungo. 
lamberto Tuffi
Pubblichiamo questa intervista per gentile concessione del settimanale di cultura e politica “EBDOMADARIO”, su cui questo articolo è apparso la prima volta il 7 maggio 2011

L’ITALIA IN LIBIA: DAL TRATTATO DI AMICIZIA ALLE BOMBE

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