Marc Lynch La rischiosa scommessa dell’ONU in Libia


      Ieri, il voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizza una no-fly zone – e non solo – contro la Libia ha coinvolto gli Stati Uniti e i loro alleati in un’altra guerra in Medio Oriente. L’accusa mossa dai sostenitori della guerra secondo cui Obama avrebbe “esitato” è tanto sciocca quanto la contro-argomentazione secondo cui l’Occidente avrebbe smaniato per trovare un pretesto per invadere la Libia e impadronirsi del suo petrolio. L’amministrazione Obama capisce chiaramente che l’intervento militare in Libia è una pessima idea, e ha sperato il più a lungo possibile che l’opposizione libica potesse prevalere senza un’assistenza militare esterna. Essa ha sostento l’intervento solo quando è divenuto evidente che – come ha affermato il direttore dell’Intelligence Nazionale James Clapper con grande scandalo dell’opinione pubblica – Gheddafi aveva fatto pendere la bilancia a proprio vantaggio e probabilmente avrebbe vinto. La prospettiva che Gheddafi sopravvivesse e si prendesse la rivincita sul suo popolo e sulla regione è ciò che ha forzato la mano degli Stati Uniti e del Consiglio di Sicurezza.
Io sono molto tormentato a proposito dell’intervento, lacerato tra gli appelli angosciati dei libici e degli arabi che chiedono aiuto contro Gheddafi e le preoccupazioni circa le molte domande senza risposta, e a questo punto in gran parte neanche sollevate, su ciò che verrà dopo – se Gheddafi sopravvivrà o cadrà. Ora, la speranza deve essere che la risoluzione dell’ONU porti rapidamente il regime di Gheddafi a sgretolarsi e crei le condizioni per un rapido processo politico che cambi questo regime senza l’uso effettivo della forza militare. L’intervento è una scommessa rischiosa. Se riesce in fretta, e il regime di Gheddafi si sgretola mentre le sue figure chiave abbandonano la nave di fronte alla sua fine certa, ciò potrebbe cambiare le sorti in ribasso delle rivolte arabe. Come è accaduto con la prima risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Libia, ciò potrebbe inviare un potente messaggio la cui sostanza è che l’uso della brutale repressione rende la sopravvivenza di un regime meno probabile invece del contrario. Ciò darebbe sostanza al principio della “responsabilità di proteggere” e contribuirebbe a creare una nuova prassi internazionale. E potrebbe allineare gli Stati Uniti e la comunità internazionale con al-Jazeera e le aspirazioni del movimento arabo di protesta. Ho sentito dire da molti leader della protesta provenienti da altri paesi arabi che il successo in Libia galvanizzerebbe i loro sforzi, mentre il fallimento potrebbe distruggere le loro speranze. Ma se l’intervento non riuscirà in fretta, e degenererà in un interminabile pantano di attacchi aerei, di pesanti scontri per le strade, e di crescenti pressioni per introdurre forze di terra dall’esterno, allora l’impatto potrebbe essere molto diverso. Nonostante le rincuoranti scene dell’esplosione di applausi a Bengasi alla notizia della risoluzione, il sostegno arabo all’intervento non è così radicato come sembra e probabilmente non sopravvivrebbe ad una guerra prolungata. Se negli attacchi aerei rimarranno uccisi civili libici, e soprattutto se entreranno in territorio libico truppe straniere, e le immagini degli arabi uccisi dalle forze USA prenderanno il posto delle immagini dei coraggiosi manifestanti percossi dalle forze di Gheddafi su Al-Jazeera, la narrazione potrebbe cambiare rapidamente trasformandosi in una rabbia contro l’imperialismo occidentale in maniera simile a quanto avvenne in Iraq. Quella che era iniziata come una pacifica insurrezione indigena contro il dominio di un regime autoritario potrebbe precipitare in uno spettacolo di guerra e di intervento straniero.
L’intervento in Libia è complicato anche dalla situazione nel resto della regione. Vi è attualmente una sanguinosa repressione in corso nel Bahrein alleato degli USA, con l’appoggio dell’Arabia Saudita e del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Il regime yemenita del presidente Ali Abdullah Saleh sta attualmente compiendo una delle sue repressioni più sanguinose. La responsabilità di proteggere si estenderà al Bahrein e allo Yemen? Questo non è un punto secondario. Una delle ragioni più forti per intervenire in Libia è l’argomentazione secondo cui il corso degli eventi laggiù influenzerà le decisioni di altri despoti circa l’uso della forza. Se essi si renderanno conto che la comunità internazionale non permetterà il maltrattamento dei loro popoli, e verrà creata una solida nuova prassi, allora l’intervento in Libia avrà delle ricadute positive ben oltre i confini libici. Ma ignorare il Bahrein e lo Yemen ucciderà questa nuova prassi sul nascere?Mentre ero in volo per Beirut all’inizio di questo mese, ho letto il nuovo libro del direttore di Foreign Affairs Gideon Rose, “How Wars End”. Rose avverte che i leader politici non dovrebbero mai impegnarsi in un intervento militare senza pensare al risultato politico che è possibile raggiungere. Più volte, egli avverte, gli Stati Uniti sono andati in guerra concentrati sull’urgenza di agire senza pensare davvero dove volevano e dovevano arrivare. I sostenitori della guerra preferiscono concentrarsi sull’urgenza dell’azione, di solito minimizzando i potenziali rischi e costi del conflitto, esagerando i possibili benefici, ed non tenendo conto delle percentuali di successo di azioni non-militari – esattamente il copione della Libia delle ultime settimane. Pensare ai complessi e confusi risultati di un intervento non farebbe che complicare gli sforzi di sostenerlo, e perciò non lo si fa.Si sarebbe potuto pensare che i disastrosi sviluppi del dopoguerra in Iraq e in Afghanistan avrebbero posto fine per sempre a un tale approccio agli interventi militari, ma eccoci di nuovo al punto di partenza. Qualcuno ha seriamente pensato a quale ruolo ci si aspetta che giochino gli Stati Uniti o la comunità internazionale se Gheddafi dovesse cadere? O quali iniziative intenderanno seguire qualora la no-fly zone e l’intervento indiretto non riusciranno ad allontanare Gheddafi dal potere? No, non c’è tempo per questo … non ce n’è mai. Per il momento, io spererò, profondamente e intensamente, che il regime libico si sbricioli in fretta di fronte alle azioni della comunità internazionale. La notizia secondo cui esso ha accettato la risoluzione e un cessate il fuoco potrebbe fornire lo spazio per il tipo di soluzione politica che molti di noi invocano. Lo speriamo davvero.
Marc Lynch è professore associato di scienze politiche ed affari internazionali, e direttore dell’Istituto di Studi Mediorientali presso la George Washington University

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