di Abd al-Bari Atwan: E se l’intervento in Libia fosse solo il primo passo?


   Poche ore dopo l’emanazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che permette l’intervento militare straniero per proteggere i ribelli libici dai sanguinosi massacri commessi dal regime di Gheddafi, nello Yemen le forze di sicurezza hanno ucciso più di 40 manifestanti ferendone centinaia, dopo aver fatto irruzione in una moschea a San’a che i dimostranti avevano occupato in maniera pacifica.Le immagini di questo massacro trasmesse da al-Jazeera hanno mostrato in maniera evidente che le forze di sicurezza hanno sparato per uccidere, perché gran parte delle ferite erano alla testa, al collo e al petto.  Con questo vogliamo dire che l’Occidente sceglie in maniera selettiva quale rivoluzione proteggere e dove intervenire militarmente. Lo Yemen non produce petrolio, ed è uno dei paesi più poveri del mondo.L’amministrazione americana ha esitato molto riguardo all’intervento militare in Libia ed ha insistito affinché vi fosse una partecipazione araba di alto livello. All’inizio i segnali in questo senso erano buoni. Una riunione d’urgenza dei ministri degli esteri arabi aveva appoggiato questo intervento la settimana scorsa, e cinque paesi arabi erano pronti a prendervi parte. Ma questo numero si è poi ridotto ad appena due paesi, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, con la possibilità non confermata che anche la Giordania partecipi alla missione in un secondo momento.Certamente fra le ragioni dell’esitazione del presidente Obama vi era anche la necessità di coprire i costi di un eventuale intervento militare in Libia. Sembra che questo problema sia stato risolto quando il Qatar e gli Emirati Arabi si sono impegnati a contribuire generosamente per coprire la maggior parte dei costi, e non è escluso che essi utilizzeranno i fondi libici congelati presso le loro banche per coprire tali spese.Nei giorni scorsi avevo auspicato che l’intervento militare in Libia fosse un intervento esclusivamente arabo, con la partecipazione dei due paesi confinanti con la Libia che hanno assistito a due rivoluzioni arabe in grado di cambiare i regimi al potere in quei paesi: l’Egitto e la Tunisia. Il primo, in particolare, riceve annualmente dagli Stati Uniti aiuti militari del valore di 1,3 miliardi di dollari. Ma sembra che questi due paesi abbiano esitato ad intervenire per motivazioni legittime, tra cui la necessità di concentrarsi sulla propria situazione interna in questa difficile fase di transizione.I ribelli libici avevano danzato fino al mattino nella piazza centrale di Bengasi per festeggiare la risoluzione dell’ONU che approvava l’intervento militare, tuttavia a sorprendere di più era stato l’annuncio con cui il ministro degli esteri libico Moussa Koussa riconosceva la risoluzione e proclamava un cessate il fuoco.
Forse non è esagerato dire che il leader libico, considerato pazzo da diversi analisti arabi, abbia abilmente cercato di coinvolgere militarmente i paesi occidentali in Libia, annunciando che le sue forze armate avrebbero attaccato Bengasi al fine di affrettare l’emanazione della risoluzione dell’ONU. In questo modo Gheddafi può presentarsi come vittima di una congiura straniera. Del resto, con analoga abilità egli era riuscito a trasformare la rivoluzione pacifica dei cittadini libici in una ribellione armata.La credibilità del colonnello libico presso il suo popolo, ma anche presso le masse arabe, è tuttavia ormai ridotta al minimo. Essa ha toccato il fondo quando Gheddafi ha provato a “flirtare” con Israele affermando che il rovesciamento del regime libico avrebbe portato ad una fase di instabilità in tutta la regione che avrebbe minacciato lo stesso Stato ebraico.
Nel suo tentativo di smascherare l’ipocrisia occidentale, egli potrebbe tuttavia anche ricordare che gli Stati Uniti non avevano imposto alcuna no-fly zone sulla Striscia di Gaza per impedire che gli aerei israeliani lanciassero le loro bombe al fosforo sui civili palestinesi inermi durante l’aggressione israeliana del 2008, o ricordare che i paesi occidentali avevano mantenuto il silenzio per ben 34 giorni di fronte all’aggressione israeliana contro il sud del Libano e contro la zona meridionale di Beirut nel 2006.Bisogna poi richiamare il fatto che la no-fly zone imposta dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti nel nord dell’Iraq per proteggere i curdi e poi, nel 1994, anche nel sud per proteggere gli sciiti, non riuscì a rovesciare il regime di Saddam Hussein. Anzi, questo regime rimase al potere per altri undici anni malgrado la no-fly zone e le durissime sanzioni internazionali, al punto che gli anglo-americani furono costretti ad invadere l’Iraq, a smantellare le sue istituzioni ed a sciogliere l’esercito, sprofondando il paese in un conflitto settario e provocando la morte di un milione di iracheni ed il ferimento di almeno altri quattro milioni.Il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, che sta affilando gli artigli in vista della propria candidatura alle prossime elezioni presidenziali egiziane, ha affermato che l’intervento militare occidentale in Libia non è un’invasione, bensì ha lo scopo di proteggere i civili. Il primo ministro britannico David Cameron ha detto la stessa cosa. Ma chi può dire come si svilupperanno gli eventi nei prossimi mesi? Lo scenario a cui abbiamo assistito in Iraq potrebbe ripetersi in maniera identica in Libia.Non sappiamo se i paesi arabi che hanno appoggiato questa no-fly zone abbiano riflettuto bene sulle conseguenze che potrebbero derivarne in futuro, tanto più che essi non sono immuni da altre rivoluzioni popolari che potrebbero verificarsi al loro interno. La tirannia è una religione universale per questi paesi. Cosa succederà se gli sciiti di Qatif, Hofuf e Damman, nella regione orientale dell’Arabia Saudita, chiederanno una no-fly zone che protegga una loro eventuale rivoluzione, tanto più che essi sono seduti sulle principali riserve petrolifere saudite? Cosa succederà se i manifestanti del Bahrein chiederanno la stessa cosa, dopo che la loro protesta in Piazza della Perla, nel centro di Manama, è stata dispersa da una repressione sanguinosa che il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha paragonato a dei crimini di guerra?Non vi è alcuna garanzia che questo intervento occidentale raggiunga i risultati sperati. Al contrario, esso potrebbe dar luogo a risultati controproducenti e gravissimi, e ciò spiega perché un paese come la Germania si sia astenuto dal votare a favore della risoluzione 1973, al pari di Brasile, Cina e Russia.La Libia rischia di andare incontro a una vera e propria guerra civile, e forse al rischio di una divisione – se non di una disintegrazione – del paese. Infatti, non è assolutamente detto che Gheddafi e la sua banda si arrenderanno facilmente. Perché dovrebbero farlo, dopo che la precedente risoluzione ONU ha condannato il leader libico, i suoi figli ed i suoi principali comandanti militari come criminali di guerra, e dopo che sono state precluse loro tutte le vie di fuga?Le forze occidentali possiedono un potenziale distruttivo spaventoso. Tuttavia dobbiamo ricordare che malgrado ciò esse non sono riuscite a sconfiggere il primitivo e arretrato movimento dei Talebani in Afghanistan, né la resistenza in Iraq. Un intervento militare è sempre facile sulla carta, ma nella pratica spesso riserva sorprese dolorose.
In Medio Oriente vi sono tre Stati falliti: l’Afghanistan, l’Iraq e lo Yemen. La Libia potrebbe diventare il quarto, se l’intervento militare si prolungherà e non otterrà risultati decisivi entro poche settimane. Gli Stati falliti si trasformano sempre in un focolaio di caos. Nel caso libico, il paese potrebbe anche diventare un focolaio di terrorismo e di immigrazione clandestina verso le coste europee.
Abbiamo poi la sensazione che l’intervento militare in Libia rappresenti un messaggio per paesi come la Siria e forse l’Iran, o una sorta di prova generale per interventi ancora più devastanti. La Libia rimane infatti un obiettivo facile rispetto a paesi come quelli che abbiamo appena citato.Abbiamo il timore che le rivoluzioni arabe possano fare la stessa fine della rivoluzione libica, che qualcuno in Occidente ed all’interno dei regimi arabi vuole trasformare in un nuovo caso ‘Iran-Contras’ infangandone l’immagine.Il popolo libico si trova tra l’incudine del regime tirannico e sanguinario di Gheddafi e il martello degli appetiti occidentali che aspirano alle ricchezze libiche. Questo popolo coraggioso merita di liberarsi del suo carnefice e di conseguire le sue aspirazioni di dignità e libertà, e il suo desiderio di costruire un moderno Stato democratico.
Abd al-Bari Atwan è un giornalista palestinese residente in Gran Bretagna; è direttore del quotidiano panarabo “al-Quds al-Arabi”

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