Shay Fogelman : un video. l'ordine di Rabin di spezzare le ossa. un testimone racconta

  •    La storia personale di ognuno è fatta di momenti, di immagini, di piccoli, molto specifici flash che sono impressi nella coscienza. Non si può ricordare tutta l'infanzia, ma un giocattolo lo si può ricordare vividamente. Un amico speciale. Una strada. Un pioppo solitario. Una pozzanghera e il riscaldamento di una serpentina elettrica in una giornata fredda. Anche la storia collettiva ha bisogno di simboli per racchiudere processi complessi ed eventi. L'Olocausto - il cancello di Auschwitz. La Guerra dei Sei Giorni – i paracadutisti che piangono al Muro del Pianto. La prima guerra del Libano - i soldati cantano "Red Elenu Aviron" e, al largo su di una nave, Yasser Arafat che parte per la Tunisia. La prima Intifada ha impresso a malapena nella coscienza collettiva un qualche simbolo del genere. Il ritmo frenetico degli eventi, associati a meccanismi di occultamento e di negazione, ha quasi completamente cancellato uno dei periodi più significativi e formativi della nostra storia recente, e di quella dei nostri vicini, e le connessioni tra di loro. Erano stati sparati così tanti proiettili, che quasi nessuno rimaneva impressionato da delle ossa rotte a mazzate. Anche nella coscienza dei palestinesi erano rimaste impresse ben poche icone di quel tempo. "La leadership che è arrivata dall'estero, ha cercato i propri simboli solo in un secondo tempo", spiega Hassan Wa'al Jawda di Nablus. "Ma non ho lamentele da fare al riguardo. Ciò che è successo, per me è stato un caso della vita, istruttivo. E sono venuto a patti con l'idea che essa sia stata un po' dimenticata perché non ero stato io a darne l’avvio, non avevo compiuto nulla di eroico o di speciale, e quindi non ero alla ricerca di una ricompensa o di un riconoscimento per questo ". Wa'al Jawda avrebbe potuto diventare l'icona palestinese della prima Intifada. Lui e suo cugino Osama Jawda furono filmati, da lontano, mentre venivano brutalmente picchiati da quattro soldati israeliani in un pomeriggio di venerdì, a fine febbraio 1988. Il filmato, che dura circa mezz'ora, non è mai stato trasmesso per intero, ma pochi minuti furono sufficienti a sbalordire un'intera nazione e a provocare reazioni furiose da tutto il mondo. Fu uno spettacolo fino ad allora sconosciuto. Pura ferocia. Le immagini mandate in onda la sera stessa sul programma televisivo, "Yoman," riguardante le principali novità di Israele fecero sì che la violenza che si verificava nei territori si insinuasse in profondità nella coscienza del pubblico israeliano. Il capo della Israel Broadcasting Authority del tempo, Uri Porat, visionò in anteprima il nastro e ordinò che non venisse mandato in onda nella sua interezza. Si è poi detto che Porat avesse affermato che dopo aver visto il filmato si era consultato con il Direttore del Dipartimento delle notizie Yair Stern e con l'editor di "Yoman" Yael Chen, e che avevano deciso che non erano "orrori che potevano essere trasmessi in televisione." Nelle settimane che seguirono le immagini furono al centro del dibattito pubblico, dei titoli dei giornali e degli scontri tra i membri della Knesset La reazione internazionale fu senza precedenti. "spettatori arrabbiati stanno telefonando alle ambasciate israeliane in tutto il mondo con maledizioni e minacce", riportò l'articolo principale dell'edizione di Maariv che uscì subito dopo la trasmissione. La televisione di stato finlandese avvertì i telespettatori prima di mostrare il film: "Le persone sensibili e bambini sono invitati a non guardare questo filmato". Il titolo in alto sull'inglese Daily Mirror fu "unità di tortura israeliana ripresa dalle telecamere". Le Monde titolò "Fama e Vergogna", mentre un articolo di un giornale spagnolo dal titolo "Figli di Hitler" fu accompagnato da una vignetta raffigurante il Fuhrer che invidiava le azioni commesse da Israele. L'ambasciata israeliana a Nicosia fu attaccata da una folla inferocita che la polizia cipriota riuscì a trattenere a malapena. A Bonn, furono dipinte svastiche sui muri di un edificio in cui era vissuto il personale dell'ambasciata israeliana. Una delegazione di 180 ufficiali riservisti dell'esercito svizzero annunciò che avrebbe annullato la sua prevista visita in Israele. Ad Amsterdam, furono fatti graffiti arrabbiati sulle pareti di un ufficio della El Al. Il giorno successivo, Elie Wiesel, in un'intervista al quotidiano Yedioth Ahronoth, disse "non ho mai visto nel mondo così tanto odio per Israele." 
  • "Siamo una famiglia di agricoltori. Non eravamo stati coinvolti nelle manifestazioni e negli eventi all'inizio della rivolta", ha detto Wa'al Jawda la settimana scorsa nella sua casa a Nablus. Ora, 40 anni, sposato e padre di quattro figli, lavora per l'ufficio imposte dell'autorità palestinese. Suo cugino Osama, di tre anni più anziano, vive nelle vicinanze. E' sposato con tre figli e proprietario di un negozio di computer in città. "Quel giorno portammo le pecore sulla montagna", ricorda Wa'al Jawda. "Da lontano sentimmo il rumore degli spari e le grida provenienti dalle manifestazioni nel centro della città. Nel pomeriggio, quando cominciammo a prendere la strada di casa con il gregge, fummo sorpresi da quattro soldati. Erano a circa 100 metri di distanza, e si misero a correre verso di noi. Non cercammo neppure di scappare. Non avevamo fatto nulla. Le pecore scapparono via. Noi restammo proprio fermi lì fino a quando i soldati ci afferrarono ", racconta Jawda che, dopo 20 anni, insiste ancora a dire che egli non era stato coinvolto nei disordini che si svolgevano quel giorno in città. Il film, che documenta i minuti che seguirono la sorpresa dell'incontro, su una collina di Nablus, tra Wa'al e Osama e quattro soldati del Battaglione Duchfat - allora battaglione indipendente anti-aereo - è ancora difficile da guardare. Al centro della scena ci sono i due palestinesi, sdraiati a terra e circondati da quattro soldati. A volte se ne vedono solo tre. Tutti i ragazzi danno calci con forza. Almeno due dei soldati prendono grossi massi e senza pietà li usano per colpire i due cugini. Ad un certo punto un soldato tiene il braccio di uno dei ragazzi mentre un altro soldato lo colpisce selvaggiamente e ripetutamente con una pietra di grandi dimensioni. I soldati non sembrano essere in pericolo, né sembrano turbati da quanto accade. Sono completamente concentrati sul pestaggio, a proposito del quale sono stati registrati 25 minuti. Si vedono Wa'al e Osama a terra, sottomessi, che implorano pietà, che si stringono la testa, che si contorcono per il dolore, chiudendosi a riccio in un disperato tentativo di proteggere almeno una parte del loro corpo dalla rabbia catartica dei soldati. "Le rocce palestinese hanno avuto pietà di noi", dice scherzando Jawda, cercando di spiegare come lui e suo cugino sono usciti in qualche modo da quell'attacco con solo lievi ferite. "stavo sanguinando da ferite sulle spalle e sui gomiti, ma il volto era stato ferito di più, da uno dei calci. Le ferite fatte con le rocce non mi hanno fatto male. Poi i soldati ci hanno portato in una jeep alla Muqata, il vecchio edificio dell'Amministrazione Civile . Quella sera mi hanno spostato nel carcere di Fara'a e hanno lasciato Osama perché non aveva la carta d'identità. Durante la notte un ufficiale è venuto e mi ha riportato alla Muqata. Nessuno mi ha detto una parola. Mi hanno rimesso con Osama, ci hanno portato da mangiare e ci hanno trattato relativamente bene. Dopodiché ci hanno messo in una tenda di detenuti. Poi è entrato questo ufficiale di grado elevato – Più tardi ho capito che si trattava di Amram Mitzna, del Comando Centrale del GOC. Ci ha detto che tutti pensavano che fossimo morti o gravemente feriti, e pochi minuti più tardi ha portato dentro circa una dozzina di giornalisti e fotografi.Dopo aver parlato con noi e averci chiesto come stavamo, Mitzna ha detto che eravamo liberi di andare. Non abbiamo ben capito cosa stesse succedendo, ma abbiamo lasciato il carcere, abbiamo camminato a destra, fuori dalla porta della Muqata e non potevamo crederci. Mi ricordo che Osama mi diceva che pensava che ci avessero fatto uscire perché c'erano i giornalisti. E io avevo paura che saremmo di nuovo stati arrestati nel momento in cui le telecamere non ci fossero più state. E' stato solo quando siamo arrivati a casa che abbiamo capito che la nostra storia era stata mostrata in televisione e le immagini erano state viste in tutto il mondo ", ci ha detto Jawda . 
  • Rompete le ossa Il clamore pubblico fu intenso. La stampa raccontò che i soldati avevano detto alle loro famiglie che stavano eseguendo degli ordini. "Ci hanno detto di rompere braccia e gambe", riferirono, citando il ministro della Difesa Yitzhak Rabin e, sostennero, che questo era stato affermato anche dai loro comandanti diretti. In tribunale si attaccarono a questa dichiarazione. Ricevettero supporto e sostegno da parte di amici e parenti, così come da Parlamentari e ministri, per lo più di destra. "Se c’è necessità di sparare, devono sparare," disse, dopo il fatto, il Ministro senza portafoglio Yitzhak Moda'i alla riunione di gabinetto. "E' ridicolo dover distribuire le istruzioni ai soldati dell'IDF su cosa è permesso e cosa non lo è, e chiedere loro di tenersi in tasca queste istruzioni durante i disordini. Quando c'è giustificazione, è corretto aprire il fuoco". Dichiarò il ministro dell'industria e del commercio Ariel Sharon , "Ci sono metodi per intervenire con successo contro i rivoltosi arabi", e lui pure protestò per l'arresto di uno dei soldati nella notte di un venerdì, durante lo Shabbat. “È un criminale? Sarebbe scappato?" Il membro della Knesset Rafael Eitan arrivò ad affermare: "Se hai intenzione di inviare un esercito per imporre l'ordine in Giudea e Samaria, bisogna trattarlo come un esercito. Gli arabi che hanno lanciato pietre dovrebbero ringraziare Dio che non abbiamo sparato ". Si diceva che i soldati - Saguy Harpaz, Aryeh Mualem, Yehuda Angel e Ronen Sasson – fossero dei "bravi ragazzi catturati in una congiuntura impossibile". Un punto a loro favore fu dato dal fatto che uno era di un kibbutz: Harpaz (il cui arresto sembrò uscito da un film d'azione: un elicottero Mitzna atterrò al kibbutz Gesher e due ufficiali della polizia militare trascinarono fuori Harpaz dalla sala da pranzo comune durante la cena del Venerdì sera). Anche gli altri si diceva fossero di buona famiglia. "So che mio figlio è una persona perbene, è un ragazzo sensibile," dichiarò a Maariv il padre di Mualem, di Petah Tikva. "Perché lo arrestano? Per torturarci? Per settimane sono stati sotto una pioggia di pietre. Da una parte, abbiamo Rabin che dice di applicare la forza nei loro confronti, e altri che dicono di no. Il soldato è intrappolato tra i media e l'esercito, e ora hanno mandato completamente in pezzi Aryeh ". Aharona Angel di Rishon Letzion, disse: “I ragazzi hanno fatto il loro dovere e sono loro a pagare il prezzo politico”. Shaul Sasson di Herzliya, affermò: "Ci sentiamo umiliati. Ronen è diventato una vittima della politica del governo. Noi non odiamo gli arabi e non abbiamo mai insegnato a Ronen a farlo. " I soldati dall'unità parlarono ai giornalisti della loro crescente frustrazione dovuta alla loro incapacità di far fronte alla rivolta civile. Una settimana prima dell'incidente, dissero, il vice primo ministro Shimon Peres aveva visitato la zona, e fu Harpaz a chiedergli: "Perché non siamo autorizzati a utilizzare di più la forza contro gli arabi?" Dopo l'incidente, Rabin incontrò l'unità. "Lei ci ha dato le mazze. Che cosa pensava che ci avremmo fatto?" chiese un soldato. 
  • I vicini della valle 
  • I media andavano lì per criticare. Il ministro del lavoro e della previdenza sociale Moshe Katsav chiese che i territori fossero chiusi a tutti i mass media. "E' ormai evidente che i rivoltosi in Giudea, in Samaria e a Gaza hanno messo in scena manifestazioni a causa della presenza dei media," disse. Gli altri ministri furono d'accordo. Il comandante della radio dell'esercito Nachman Shai suggerì che la stazione tenesse "lezioni di comportamento appropriato per i soldati", e Yedioth Ahronoth riferì che Shai aveva fatto una proposta al riguardo a Rabin e al capo di stato maggiore dell'IDF Dan Shomron. Mitzna vietò ai giornalisti un certo numero di aree "problematiche", soprattutto il venerdì. Il cameraman Moshe Alpert, che a quel tempo lavorava per la rete statunitense CBS, fu un obiettivo particolare dei critici che lo accusarono di danneggiare la reputazione internazionale di Israele. Nelle interviste del tempo fatte ai giornali, descrisse laconicamente quello che aveva visto e come aveva filmato gli eventi da circa 300 metri, usando un teleobiettivo. In un'intervista a Maariv, chiese praticamente scusa, dicendo che aveva usato l'obiettivo a lungo raggio durante le manifestazioni "per evitare la mia presenza in campo, in modo che nessuno potesse dire che era stata la causa delle sommosse". Disse a Yedioth Ahronoth. "Potrebbe essere stata una delle più grandi storie giornalistiche che abbia mai fatto, ma preferisco dimenticarla molto rapidamente. Purtroppo si trattava di una situazione di merda, ma viviamo in uno stato democratico in cui il campo è aperto ai giornalisti. Sono stato mandato a compiere il mio dovere giornalistico, ed è quello che ho fatto ». Il corrispondente della CBS a Gerusalemme Bob Simon ha trasmesso i filmati agli Stati Uniti. Lui e Alpert portarono il nastro a Mitzna e gli chiesero di guardarlo. "Io non sono ingenuo," disse Mitzna a Maariv. "So che questo non è l'unico incidente, ma non si verifica sotto lo sguardo dei comandanti. Questa volta abbiamo visto, e siamo rimasti scioccati. Va là di ogni zona grigia. Questo è puro sadismo." I soldati furono arrestati lo stesso giorno."Mi è capitato di essere lì, insieme a molti altri giornalisti ho visto e l'ho girato", ha riferito Alpert a Haaretz la scorsa settimana, e poi si è affrettato ad aggiungere: "Ho deciso che non ne volevo parlare. Ho avuto decine di richieste nel corso degli anni e non sono disposto a parlarne, nemmeno una frase. Io non sono la storia", ha dichiarato Alpert. I conoscenti dicono che l'incidente è stato un fattore importante nel suo lavoro facendo sì che si dedicasse ai documentari naturalistici. (La sua "terra della Genesi" largamente acclamata è stata proiettata lo scorso anno). Un caro amico dice che prima dell'incidente Alpert, che è nato e vive ancora nel Kibbutz Afikim, era molto amico del padre di Harpaz. Il Kibbutz di Gesher è appena a nord di Afikim. "[Alpert] non ha riconosciuto [Saguy Harpaz] durante l'incidente," dice un amico di Alpert. "In seguito, quando si rese conto che era lui, era molto tormentato". Un altro amico ricorda che per lungo tempo dopo la vicenda, i rapporti tra i due kibbutzim furono tesi. La famiglia di Harpaz ha lasciato Gesher, un fatto che alcuni membri hanno attribuito alle ricadute dell'incidente. I quattro soldati ottennero condanne con la sospensione della pena, ma dopo che l'accusa fece ricorso ricevettero pene detentive brevi, la maggior parte delle quali sono state scontate da tempo, in attesa del processo. Sono tornati alla loro unità, ma è stato loro vietato di tornare in azione nei territori. I soldati che hanno servito con loro dicono che almeno uno dei quattro è tornato in servizio attivo, di un qualche tipo, nei territori, ma nessuno è stato coinvolto in altri incidenti. 
  • emmeno una telefonata 
  • Wa'al Jawda dice di ricordare ancora vividamente la furia dei soldati che lo picchiavano, e non riusciva a capire perché lo odiavano tanto. Per anni è stato incapace di perdonarli, ma oggi dice di essersi rappacificato. "Erano fondamentalmente dei ragazzi esaltati che hanno eseguito gli ordini", dice in loro difesa, aggiungendo che, come impiegato dell'ufficio imposte anche lui a volte deve eseguire degli ordini che non lo mettono del tutto a proprio agio e che non riflettono il suo carattere. Per un certo numero di anni i Jawda furono una celebrità palestinese minore, e furono oggetto di ammirazione nel resto del mondo arabo. "Al vertice della Lega araba che si tenne un paio di giorni dopo la vicenda, il presidente algerino offrì a me e a Osama una borsa di studio per andare a studiare lì, ma ero troppo giovane, dovevo ancora finire la scuola superiore, per cui non si è mai verificato" dice Wa'al Jawda. Più tardi andò in Giordania per lavoro,e tornò a Nablus solo dopo che venne costituita l'Autorità Palestinese. Poi scoprì che lui e tutta la sua generazione - i ragazzi che lanciavano le pietre della prima Intifada - che pure molto avevano fatto per aprire la strada all'emergente stato palestinese, erano quasi completamente scomparsi dalla memoria del pubblico. "Non abbiamo mai ricevuto una sola telefonata. Nessuna lettera o messaggio, niente da un qualsiasi alto funzionario palestinese", dice Jawda. "Sinceramente, ci aspettavamo che qualcuno ci contattasse e ci dicesse, così e così è successo durante l'Intifada, ma non c'è stato niente del genere. Le persone che mi incontrano per strada e sentono che sono stato coinvolto in questo incidente sono sbalorditi e non capiscono come l'Autorità Palestinese abbia mai dato a noi o al resto della nostra generazione i nostri meriti. Quelli che provenivano dall'estero si chiamavano combattenti per la libertà. Di cosa stanno parlando? Loro, combattenti? Nemmeno un capello è stato toccato loro durante la lotta. " Ma è anche importante per Jawda sottolineare che "il popolo ebraico merita di vivere" e che vuole davvero che gli israeliani capiscano che anche "il popolo palestinese merita di vivere". Egli è particolarmente grato a Alpert per aver mostrato quello che successe e per avergli impedito di essere detenuto ingiustamente. Jawda dice che sarebbe felice di incontrare gli ex soldati, e che spera di poter diventare, un giorno, loro amico. 
  • Una ferita che non guarisce Nessuno dei quattro ex soldati ha accettato di essere intervistato per questo articolo, né ha mostrato alcun desiderio di incontrarsi con Wa'al e Osama. Mualem, che ora vive con la famiglia in Shoham, ha detto la settimana scorsa, prima di riagganciare il telefono:.. "Adesso sono cose lontane e non mi interessano, non ho alcun desiderio di tornare a vivere questa storia. Vedo che le cose non sono cambiate e vedo come soldati Givati sono in torto, proprio come lo siamo stati noi. Non ho alcun bisogno o desiderio di rispondere o commentare la vicenda ". Yosef Angel, padre di Yehuda Angel, dice che l'incidente è stato fondamentale nella vita di suo figlio, un fatto "che ha lasciato una ferita che non guarisce. Per quanto ne so, è lo stesso per gli altri." Angel dice che il suo figlio "è stato quello che una volta veniva chiamato 'il sale della terra'", e che è tornato dalla sua prime valutazioni pre-arruolamento "molto deluso perché gli era stato attribuito un basso profilo fisico. Voleva seguire le orme del suo fratello maggiore, che ha servito in una unità di élite, ma la sua valutazione lo ha reso non ammissibile. A differenza di molti altri genitori, abbiamo creduto che il bene del ragazzo e il suo desiderio avesse la precedenza e lo abbiamo aiutato a ottenere una valutazione migliore. Abbiamo fatto appello, abbiamo presentato i documenti. Era molto motivato, e la sua valutazione è stata alzata. "Ma dopo quello che è successo, dopo il modo in cui sono stati trattati e come sono stati arrestati, come criminali, si sentiva tradito e una delle prime cose che ha fatto dopo la sua scarcerazione è stata quella di fuggire da qui. Ha viaggiato per il mondo e, infine, ha finito per restare in America. Ci è voluto molto tempo prima che fosse pronto a parlarne. Abbiamo parlato un paio di volte nel corso degli anni, ma ultimamente ci siamo fermati. Direi che, in una certa misura, siamo venuti a patti con quello che è successo ". 
  • La vicenda senza nome 

  • Nei primi giorni della prima Intifada ci furono diversi incidenti simili che non furono filmati. Il più famoso dei quali accadde con la Brigata Givati. Nel gennaio del 1988, alcuni soldati della brigata picchiarono a morte un uomo che stava resistendo all'arresto di suo figlio, un militante ricercato, a Gaza. Il tribunale militare che condannò i soldati, ha sentenziato che "l'ordine di usare la violenza come misura punitiva è chiaramente illegale.” Nella Givati II, tre alti ufficiali furono condannati per aver ordinato ai loro soldati di rompere le braccia e le gambe a dei palestinesi. A loro difesa, gli ufficiali dichiararono alla corte che avevano ricevuto l'ordine dal loro comandante di brigata, Effie Eitam e dal GOC Yitzhak Mordechai. Altri due episodi riguardano il famigerato "affare bulldozer", in cui furono sepolti vivi due palestinesi, come punizione, e l’ " affare Yehuda Meir," che prende il nome dal comandante del battaglione Givati che ordinò alle sue truppe di picchiare i palestinesi che erano stati arrestati nei villaggi di Beita e Hawara. Il difensore generale militare Amnon Straschnov decise di sottoporre a giudizio Meir solo in un’udienza disciplinare, ma l'Alta Corte di giustizia accolse una petizione presentata da quattro dei palestinesi e dall'Associazione per i Diritti Civili in Israele e stabilì che i reati contestati erano di natura penale. Meir fu deferito alla corte marziale, degradato al rango di privato cittadino e congedato dall'esercito. L'incidente filmato in cui i soldati della Duchifat picchiano Wa'al Jawda e Osama non ha mai avuto alcun nome particolare. Al momento, il portavoce dell'IDF vietò la divulgazione del nome dell'unità. Per un paio di giorni, l'incidente fu chiamato dai giornali "la vicenda delle percosse", ma questo perse presto di importanza. Ed i palestinesi lo ricordano come "la rottura delle ossa", ma anche quel nome ha perso la sua unicità. 
  • (tradotto da barbara gagliardi)

  • Notizie da Israele: il ricordo di una violenza lontana

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