Dominique Vidal Gaza: più la menzogna è grande


Sotto molti aspetti, l'offensiva contro Gaza ricorda la guerra del Libano dell'estate 2006, da cui i dirigenti israeliani hanno visibilmente tratto alcune lezioni. Non lezioni strategiche, perché allora avrebbero dovuto finalmente prendere quelle famose «decisioni dolorose» - in realtà applicare semplicemente il diritto internazionale - che potrebbero fondare una pace duratura con i loro vicini. In compenso, hanno evitato di riprodurre gli stessi errori in campo militare, ma anche in materia di comunicazioni. Alla rigorosa chiusura all'interno, affinché la proibizione dell'accesso alla striscia di Gaza risparmiasse ai telespettatori le immagini del territorio martirizzato, si è aggiunta una propaganda su tutti fronti all'esterno.
«Per influenzare i media è stata creata, con un certo successo, una nuova direzione dell'informazione - rivela il settimanale britannico The Observer. E quando l'attacco è cominciato (...) una marea di diplomatici, gruppi di pressione, blog e altri sostenitori d'Israele hanno cominciato a martellare una serie di messaggi preparati con cura (1).» Factotum di tutto il meccanismo, l'ex ambasciatore alle Nazioni unite, Dan Gillerman, conferma: «Non avevo mai visto (...) il ministero degli esteri, quello della difesa, l'ufficio del primo ministro, la polizia e l'esercito lavorare con tanto coordinamento ed efficienza».
� Autodifesa. È la parola chiave. Nessuno stato, ripetono i sostenitori di Israele, accetterebbe senza reagire che la sua popolazione viva - dall'autunno 2002, quando Israele era presente a Gaza - nel terrore di razzi stranieri. Indiscutibilmente, ogni governo, di fronte a tale situazione, reagirebbe, ma come? Scatenando una guerra ancora più cruenta o negoziando per porre fine ai combattimenti? Da sessantuno anni, Tel Aviv entra in guerra affermando di «non avere altra scelta» - in ebraico ein brera. Si tratta, più che mai, di una contro-verità: i palestinesi non hanno forse riconosciuto il loro vicino e occupante dal 1988 e il mondo arabo non gli ha teso la mano dal 2002, offrendo a Israele una normalizzazione completa in cambio del suo ritiro dai territori occupati? Senza dimenticare che, se gli israeliani hanno diritto all'autodifesa, lo stesso vale per i palestinesi ...
� Rottura. Ma, continuano a ripetere i portavoce di Tel Aviv, diplomatici e giornalistici, è Hamas che ha rotto la tregua - dimenticando che, come ha riconosciuto Ehoud Barak, «Piombo fuso» era in preparazione già da sei mesi. Nessuno nega che, fino alla fine di ottobre, i combattenti islamisti avevano smesso di sparare - lo stesso ministero israeliano degli affari esteri loriconosce sul suo sito. I lanci, tuttavia, sono ripresi a novembre. E a ragion veduta: dettaglio spesso «dimenticato», il 4 novembre 2008 l'esercito israeliano ha condotto un'operazione che è costata la vita a sei combattenti di Hamas. Il quale ha riposto...Altro punto difficilmente ricordato: il cessate il fuoco doveva procedere di pari passo con la fine del blocco della striscia di Gaza e l'apertura delle sue frontiere, cosa che Israele non ha mai accettato. Peggio: negli ultimi mesi l'embargo è diventato pressoché totale, al punto che, ancor prima dell'offensiva, i quattro quinti della popolazione dipendevano direttamente dall'aiuto alimentare dell'Onu. Con l'offensiva israeliana, anche l'acqua, il gasolio, l'elettricità e gli alimenti di base sono diventati merce rara.
� Blocco. Di fatto, bisognerebbe risalire fino al gennaio 2006. Quando cioè le elezioni legislative, tenute su richiesta del Quartetto per il Medioriente e controllate da più di novecento osservatori, danno la maggioranza ad Hamas. Logica avrebbe voluto che Tel Aviv ne prendesse atto e considerasse il nuovo primo ministro come un interlocutore.
Al contrario, non solo boicotterà il governo, ma otterrà dagli Stati uniti prima, dall'Unione europea poi che facciano altrettanto, invocando il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele. E il blocco non cesserà neppure quando il governo di unione nazionale Hamas-Fatah, formato in marzo 2007, si darà come programma la creazione di uno stato palestinese nei territori occupati nel 1967 - una proposta che il movimento islamista ha rinnovato più volte (2).
� Sproporzione. Sul sito del ministero israeliano degli affari esteri, Ben Dror Yemini scrive: «Alcuni dei peggiori detrattori di Israele hanno scritto che per ogni morto israeliano si contano un centinaio di palestinesi uccisi. Si dice che una mezza verità sia peggio di una menzogna. Ma in questo caso non è nemmeno una mezza verità: è un inganno. Infatti, mesi e anni di lanci di razzi su una popolazione civile non può essere una questione di conteggio delle perdite».
In mancanza di un minimo di compassione, questo André Glucksmann (3) israeliano potrebbe perlomeno riconoscere le seguenti cifre: in tre anni, dal ritiro d'Israele dalla striscia di Gaza allo scoppio di questa guerra, i Qassam hanno ucciso undici israeliani, mentre l'esercito israeliano faceva millesettecento morti. Più le milletrecento vittime di «Piombo fuso»; gli israeliani, dal canto loro, ne hanno avute tredici. Come scrive lo storico israeliano Avi Shlaïm, «l'ingiunzione biblica occhio per occhio è già abbastanza selvaggia. Ma la folle offensiva di Israele contro Gaza sembra obbedire alla logica dell'occhio per ciglio (4)». Bernard-Henri Levy, per fortuna, ci rassicura: Gaza non è «rasa», ma «suonata» (5)...
� Equilibrio. Preoccupati di rispettare uno scrupoloso equilibrio nella copertura del conflitto, e forse anche di non irritare l'Eliseo, la maggior parte dei canali francesi ha alternato le immagini di civili israeliani che fuggivano nei ricoveri di Sderot a quelle di civili palestinesi sotto il fuoco dei F16 o dei carri armati. Attaccare i civili costituisce, è vero, l'essenza stessa del terrorismo, o quanto meno una violazione specifica delle convenzioni di Ginevra.Ma si possono mettere sullo stesso piano, da una parte alcune case danneggiate da razzi artigianali, dall'altra scuole distrutte, ospedali bombardati, riserve alimentari ridotte in cenere da bombe e obici tra i più moderni?... � Civili. Cosciente dell'emozione suscitata da simili orrori, la portavoce dell'ambasciata israeliana in Francia, Nina Ben Ami, dirà: «Hamas prende di mira i civili, noi facciamo di tutto per risparmiarli (6)». Una tesi che ha del surreale. La striscia di Gaza costituisce uno dei territori più densamente popolati del mondo: un milione e mezzo di persone su 370 kmq. Bisogna non averci mai messo piede per pensare che i combattenti potessero essere altrove, invece che tra i civili. E sostenere che le bombe sarebbero in grado di separare il grano dal loglio ha l'aria di un macabro scherzo: i due terzi delle vittime dell'offensiva israeliana non sono combattenti; un terzo non raggiunge i 18 anni. E si capisce: aerei e carri armati hanno mirato, come si è visto, a luoghi pubblici e abitazioni. Ben Ami introduce una circostanza attenuante, «lanciamo volantini per avvisare dei bombardamenti e invitare gli abitanti a fuggire». Ma dove? Nessuno può lasciare il territorio, né via terra, né via mare.
Peraltro, se Israele avesse voluto veramente proteggere la popolazione presa in trappola, avrebbe dovuto almeno facilitare il lavoro della Croce rossa: invece, come afferma Antoine Grand, il responsabile a Gaza, «abbiamo enormi difficoltà ad ottenere rapidamente il via libera dagli israeliani per intervenire dopo un bombardamento. Spesso attendiamo da sei a dodici ore, il che aggrava una situazione umanitaria già catastrofica (7)». Più grave ancora: un esercito rispettoso del diritto di guerra avrebbe utilizzato, come ormai è stato accertato, bombe al fosforo (8)? Questa guerra, scrive lo storico israeliano Zeev Sternhell, è «la più violenta e la più brutale della nostra storia (9)».
� Odio. La ministra israeliana degli affari esteri, Tzipi Livni, si è prevedibilmente commossa, non senza cinismo, del crescente «odio contro Israele». Ma chi l'ha seminato? Come stupirsi del fatto che lo spettacolo dei corpi dilaniati di donne, vecchi e bambini provochi sdegno contro i dirigenti israeliani, o anche, visto il sostegno ampiamente maggioritario da loro offerto alle operazioni, contro gli israeliani presi in blocco? E, pur senza approvare questa deriva - fondata sul principio della responsabilità collettiva, che non fu applicato neanche ai tedeschi - , come non comprendere ciò che lo causa? Uri Avnery, il primo di tutti i pacifisti israeliani, lo valuta con chiarezza: «Ciò che resterà marchiato a fuoco nella coscienza del mondo, è l'immagine di Israele, mostro sanguinario, pronto a commettere crimini di guerra in ogni momento e incapace di obbedire a qualsivoglia obbligo morale. Ecco una cosa che, nel lungo periodo, avrà conseguenze gravi sul nostro futuro, la nostra immagine nel mondo, le possibilità di ottenere pace e serenità. Questa guerra, in fin dei conti, è un crimine anche contro gli israeliani, contro lo stato di Israele (10)».
� Comunitarismo. L'angoscia davanti all'orrore ricade anche, oltre che sugli israeliani, sugli ebrei. Niente, naturalmente, giustifica un tale slittamento: i francesi di confessione o di cultura ebraica non hanno maggiori responsabilità per i crimini commessi da Tsahal, di quanta ne abbiano i francesi di religione o di appartenenza musulmana in quelli commessi da al Qaeda. E, d'altra parte, chi può essere ridotto a una sola dimensione, religiosa o culturale, della sua identità?E però, bisognerebbe che i responsabili detti «comunitari» non alimentassero essi stessi il comunitarismo. Sorprendente contraddizione quella del presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (Crief), Richard Prasquier, che chiede di «non importare il conflitto in Francia», mentre dichiara la sua «incondizionata solidarietà» (11) con Israele, dopo aver affermato che «il 95% della comunità ebraica di Francia è d'accordo con la politica di Israele e con quello che sta facendo il suo esercito (12)».� Antisemitismo. Gli avvenimenti di Gaza sono stati pretesto per un certo numero di atti antisemiti in Francia. Ora, mentre è vero che si sono verificate gravi violenze contro sinagoghe o persone identificate come ebree, pure, la lista dei fatti evocati comprende anche insulti e graffiti, altrettanto inaccettabili, ma evidentemente meno gravi. L'esperienza della seconda Intifada dovrebbe incitare i media alla vigilanza e... alla prudenza: il riaccendersi della violenza antiebraica negli anni 2001, 2002 e 2003, a torto attribuita a giovani immigrati (13), fu presto accompagnata da un'ondata antiaraba e antimusulmana; entrambe poi rientrate grazie alle misure prese dalle autorità e anche per merito della mobilitazione antirazzista.
Al contrario di quanto si crede, le manifestazioni di solidarietà che esprimono la ricerca di una pace giusta, non solo non incitano nessuno all'odio razziale, ma permettono a tutti di esprimere un'emozione che, altrimenti, potrebbe spingere questo o quello ad azioni irresponsabili.
� Pace. È in suo nome che Israele dichiara di agire: colpendo severamente Hamas, faciliterebbe la pace con i «moderati». L'analisi non è convincente.
Anche se l'operazione «Piombo fuso» indebolisse militarmente il movimento islamista, lo rafforzerà però sul piano politico, in Palestina, ma anche nella regione. Come lo Hezbollah nel 2006, anche i militanti di Hamas, in virtù della loro resistenza, saranno certamente innalzati al rango di eroi del mondo arabo-musulmano. D'altra parte, se Ehoud Olmert e i suoi ministri, la Livni come Barak, volevano sinceramente negoziare con l'Autorità palestinese, perché non hanno mantenuto le promesse fatte a Annapolis, nel novembre 2007? Che si sappia, i check point non sono stati tolti, la colonizzazione non è stata bloccata, le esecuzioni mirate non sono state sospese...
Un Hamas rafforzato, un'Autorità palestinese screditata: questo risultato della guerra di Gaza era forse l'obiettivo degli strateghi israeliani.
Allo scopo di impedire, ancora una volta, la nascita dello stato palestinese, se non di renderla definitivamente impossibile.
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Come Israele ha portato Gaza sull'orlo di una catastrofe ...



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