Daniel BavlyGli elettori israeliani sono diventati fatalisti?


Gli elettori israeliani sono diventati fatalisti?

Il fatalismo ha guadagnato popolarità nell’elettorato israeliano, insieme alla progressiva presa di coscienza del fatto che non vi sono segni di una soluzione del conflitto con i palestinesi nell’immediato futuro – afferma il commentatore israeliano Daniel Bavly

Sono trascorsi molti anni dall’epoca in cui gli osservatori erano in grado di intuire agevolmente in quale direzione i leader dei partiti politici israeliani credevano di poter spingere la popolazione d’Israele. Ma anche se gli orientamenti non sono del tutto chiari, è fuor di dubbio che, almeno dopo la strage della Moschea di Hebron perpetrata da Baruch Goldstein nel marzo del 1994, e l’assassinio di Yitzhak Rabin un anno e mezzo più tardi, gli schieramenti politici centristi in Israele si sono progressivamente spostati a destra.

Sono i gruppi politici di destra ad aprire la strada, quando rilasciano dichiarazioni radicali che vanno al di là di ciò che ci si aspetterebbe di ascoltare in una democrazia illuminata. Affermazioni che fino a poco tempo fa sarebbero state viste come asserzioni estremiste e inaccettabili sono oggi percepite come ragionevoli, e considerate espressione della “communis opinio” nazionale. Tuttavia, i risultati delle elezioni del febbraio 2009 hanno scosso molti israeliani, soprattutto quelli più anziani, e sono apparsi particolarmente sconvolgenti nel momento in cui la gente si è resa conto che il rispettato movimento di sinistra era stato, in effetti, decimato. Molti si sono chiesti: Che cosa ci sta succedendo?

La campagna della destra radicale si è concentrata in gran parte sulle minacce alla sicurezza d’Israele e del suo popolo. Sebbene questa strategia le abbia garantito più voti alle urne elettorali, tali minacce, e il modo in cui sono state presentate al pubblico, non sembrano aver influito sulla vita quotidiana dell’israeliano medio. La maggior parte degli israeliani va avanti con il proprio lavoro quotidiano, godendosi i benefici materiali e la vibrante vita sociale che la circonda. Chi viaggia a Tel Aviv o nelle numerose aree commerciali e industriali intorno alla città, da Natanya ad Ashdod, rimane stupito dalla prosperità del paese malgrado l’attuale recessione globale. Bar e ristoranti, sale per le conferenze e musei, teatri e sale da concerto, sono tutti quasi pieni. Per quanto le atroci azioni terroristiche, quando si verificano, siano al centro di un’attenzione mediatica piuttosto insistente, è ovvio che questi eventi, così come la campagna “Piombo Fuso” che ha sconvolto la Striscia di Gaza a gennaio, non sembrano avere alcun impatto sul comune cittadino, che continua a perseguire i propri interessi personali.

Ci si chiede, quindi, come mai una popolazione che nel passato si riteneva progressista, liberale e illuminata abbia scelto di votare ancora più a destra, e si sia rivolta verso gruppi che fino a poco fa erano visti come una frangia radicale, ed ora probabilmente entreranno a far parte della nuova coalizione governativa israeliana. Ci sono diverse spiegazioni possibili, e tutte includono elementi di fatalismo, una ideologia che ha guadagnato popolarità insieme alla progressiva presa di coscienza, negli ultimi anni, del fatto che non ci sono segni di una soluzione del conflitto (lungo ormai un secolo) con i palestinesi nell’immediato futuro. Come si è sviluppata questa apatia?

LA MORTE DELLA SOLUZIONE DEI DUE STATI

Un tempo, la via per la pace prevalentemente invocata ruotava attorno alla creazione di due stati per due popoli. Sebbene la soluzione basata su due stati fosse appoggiata da molti israeliani di centro e di sinistra, è diventato evidente che questa non è più una soluzione praticabile. Persino quelli che nel passato erano favorevoli a tale soluzione sono di recente giunti alla conclusione che un simile piano non è più sostenibile. Ci sono ancora dei politici, tra cui il primo ministro uscente Ehud Olmert e il ministro degli esteri Tzipi Livni, che hanno dichiarato effettivamente che, per raggiungere un accordo accettabile con i palestinesi, è indispensabile che Israele abbandoni alcuni territori. Tuttavia, è poco probabile che sia in loro potere, o in quello di qualunque altro partito politico, cedere la maggior parte della Cisgiordania a uno Stato palestinese, anche se ciò avverrebbe allo scopo di ottenere la pace.

Stabilire se il piano di “due stati per due popoli”, con la frontiera tracciata lungo la linea dell’armistizio del 1949 (la cosiddetta Linea Verde), come suggerisce anche la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, avrebbe potuto essere implementato o meno dopo la Guerra dei Sei Giorni è ora una questione controversa. È del tutto evidente che la costruzione di centinaia di insediamenti nei 40 anni successivi ha spazzato via qualsiasi speranza che la maggioranza degli israeliani possa accettare che essi vengano evacuati, anche se ciò avvenisse per garantire la pace. Infatti, è evidente che qualsiasi soluzione basata su due stati richiederebbe lo sgombero di molti, se non tutti, i coloni. Ciò semplicemente non è fattibile, e qualsiasi tentativo di implementare il piano porterebbe a un bagno di sangue e a uno scontro fratricida in Israele.

INDISPONIBILITA’ A COMMETTERE UN SUICIDIO NAZIONALE

In teoria, un’alternativa c’è: la creazione di una democrazia bi-nazionale in tutto il territorio ad ovest del Giordano, all’interno della quale le popolazioni ebraica e palestinese vivano insieme come cittadini con pari diritti. Tuttavia, è piuttosto evidente che la maggior parte degli israeliani non prenderebbe nemmeno in considerazione una tale possibilità. Certamente, portare avanti una missione del genere richiederebbe la risoluzione di una serie di questioni complesse; non ultima, il fatto che gli israeliani dovrebbero rinunciare alla percezione di vivere in uno stato ebraico. Tuttavia, persino oggi, con un quarto della popolazione in Israele che non è ebreo (e il numero è in crescita), ci si potrebbe chiedere se Israele possa essere realmente definito come uno stato ebraicoIn un’epoca di mutamenti demografici, in cui gli arabi che vivono ad ovest del Giordano potrebbero benissimo diventare presto la maggioranza, sorge una domanda della massima gravità: come verrà garantita la sicurezza della futura minoranza ebraica? E molti altri quesiti devono trovare risposta, da quello relativo ai modi per garantire a tutti un equo accesso all’istruzione, a quello su un’equa divisione delle risorse naturali del paese, questioni che vanno entrambe risolte se si vuole giungere alla creazione di uno stato bi-nazionale.

Tuttavia, senza neppure prestare attenzione a una simile idea, molti israeliani sono convinti che evolversi verso uno Stato di tal genere equivarrebbe a commettere un suicidio nazionale, e si rifiutano persino di prendere in considerazione tale possibilità. Eppure, piuttosto che rifiutare a prescindere questa soluzione, se davvero essa potesse condurre a una pace vera e duratura, non sarebbe saggio valutarla come una possibile opzione? Purtroppo, in questo momento nessun partito politico ebreo è disposto a inserire la questione nel proprio programma.

A quanto pare, la maggior parte degli israeliani ha accettato come dato di fatto l’impossibilità di vedere la pace durante il corso della propria esistenza. Sicché appare comprensibile che molti abbiano scelto una leadership politica il cui messaggio principale, in vista del confronto a lungo termine con i nemici arabi musulmani, afferma che mantenere l’assetto di guerra allo scopo di garantire la sicurezza di Israele è una direttiva imprescindibile. Recentemente i leader degli ormai defunti partiti di sinistra (a quanto sembra ormai sprofondati in uno stato di totale confusione), non sono riusciti a persuadere la gente del fatto che erano in grado di fornire orientamenti politici alternativi e più convincenti.Tutto ciò ben spiega perché ci si deve attendere che i leader politici di Israele nei prossimi anni emergeranno proprio dalla destra radicale.

Daniel Bavly ha combattuto nella guerra di indipendenza israeliana; analista finanziario, giornalista e membro di diverse società ed organizzazioni, è autore di diversi libri sulla storia e sulle relazioni internazionali di Israele

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Mappa della Cisgiordania e suddivisione in zone anno 2016

Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero - JoiMag

Betlemme : il Muro e la colonizzazione. Testimonianze