Permettere il ritorno degli ebrei arabi nei loro paesi d’origine?


Fra le tante tragedie che hanno segnato il Medio Oriente nell’era moderna, forse meno nota è quella degli ebrei arabi, in molti casi spinti o costretti a lasciare i loro paesi d’origine, nei quali avevano costituito per secoli delle comunità spesso maggiormente integrate rispetto a quelle presenti in Occidente. Sultan al-Qassemi ricorda le ragioni di questa migrazione, e pone un interrogativo: perché non permettere, a coloro che lo desiderano, di tornare nelle loro patrie d’origine?

Molti di noi hanno sentito parlare del famoso impero della pubblicità noto come Saatchi & Saatchi, hanno riso agli scherzi di Jerry Seinfeld, battuto i piedi al ritmo della musica di Paula Abdul e fatto acquisti nei magazzini BCBG di Max Azria. Ma, che cosa hanno in comune tutte queste persone di successo, appartenenti a industrie e ad attività differenti?

Sono tutte di origine araba.

La presenza ebraica in quello che è adesso il mondo arabo risale a migliaia di anni fa; in effetti, la religione stessa è nata in questa regione. Arabi musulmani, cristiani ed ebrei hanno vissuto in pace e in armonia per secoli; ma allora, che cosa è successo? In breve, dopo la violenta ondata di anti-semitismo europeo verso la metà del XX secolo, vi fu un esodo di ebrei europei verso l’antica Palestina, in gran parte costretti, ma anche armati e violenti, guidati da gruppi come ad esempio L’Haganah e l’Irgun (organizzazioni paramilitari ebraiche, costituitesi in Palestina a partire dal 1920 (N.d.T.) ), che furono responsabili dell’attentato al King David Hotel (il King David Hotel divenne una sede amministrativa e militare degli inglesi durante il mandato britannico in Palestina; nel luglio del 1946 subì un attentato in cui rimasero uccise 91 persone di diversa nazionalità, in gran parte britannici, arabi e ebrei (N.d.T.) ).

Purtroppo, molti arabi musulmani in tutta la regione reagirono violentemente a questi sviluppi, e decisero di “contraccambiare”; di conseguenza, gli ebrei che vivevano in mezzo a loro furono aggrediti e allontanati. In Iraq, ad esempio, circa 120.000 ebrei furono costretti ad emigrare in Israele, negli Stati Uniti, e in Europa, in meno di tre anni.

Le strade del Cairo, i quartieri storici della Siria, i territori montagnosi del Libano e il vivace mercato di Baghdad furono, per la prima volta in migliaia di anni, svuotati di una delle minoranze etniche di maggior successo che vivevano in questi paesi. Medici, architetti, imprenditori, scienziati, poeti e scrittori cominciarono a fare le valigie e a partire, alcuni con buoni motivi e altri per evitare le ripercussioni dovute alla fondazione dello stato di Israele.

Ma, non correva soltanto cattivo sangue tra gli arabi e gli ebrei; vi sono state storie di eroismo che sono passate inosservate, e che spesso non sono state riportate dai media arabi. In mezzo agli orrori dell’occupazione nazista della Francia, negli anni ‘40, l’imam della moschea di Parigi salvò le vite di decine di ebrei rilasciando certificati che accertavano la loro fede musulmana. A Tunisi, intere famiglie ebree sono state salvate da un eroe locale, Khaled Abdelwahhab, che le nascose nella sua azienda agricola con grande rischio per se stesso e per la sua famiglia; egli è stato onorato dopo la sua morte per il suo coraggio (è stato candidato all’inizio del 2007 a ricevere il riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” presso lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto ebraico a Gerusalemme (N.d.T.) ). Grazie ad azioni di questo genere, meno dell’1 % degli ebrei arabi – su centinaia di migliaia di persone – sono morti, di fronte a più del 50 % degli ebrei d’Europa.

Da allora, vi è stata una copertura mediatica prevalentemente negativa delle relazioni arabo-ebraiche. L’Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata in grado di voltare pagina quasi immediatamente, ma molti arabi ancora dipingono tutti gli ebrei alla stessa maniera degli israeliani.

Nel 1975, dopo la morte del leader rivoluzionario egiziano Gamal Abdel Nasser, molti paesi in cui egli aveva finanziato e incoraggiato rivoluzioni si liberarono del suo nazionalismo e del suo “allarmismo” panarabo, e decisero di intervenire al fine di ripristinare l’unità sociale dei loro paesi. Il Consiglio del Comando Rivoluzionario iracheno, prima di Saddam, pubblicò annunci sul New York Times e altrove invitando gli ebrei a tornare nei propri paesi di origine e promettendo di garantire i loro diritti. Anche l’Egitto di Sadat e la Siria di Hafez al-Assad fecero dichiarazioni analoghe.

Nella storia recente vi sono stati solo due paesi lungimiranti in Medio Oriente, i regni del Marocco e del Bahrein, che hanno abbattuto il muro del sospetto nei confronti dei loro cittadini ebrei e li hanno integrati nel contesto sociale e politico. Il primo, con il caso di André Azoulay, consigliere del precedente e dell’attuale re; il secondo, con la recente nomina di Huda Ezra Ebrahim Nonoo come nuova ambasciatrice del Bahrein negli Stati Uniti.

Oggi, nella sola città di New York vi sono più di 75.000 ebrei di origine siriana, molti di loro si sono formati nelle migliori scuole, parlano e capiscono l’arabo e continuano ad avere un legame con la Siria. Non è possibile immaginare che queste persone debbano avere il diritto, se lo vorranno, di essere cittadini siriani a pieno titolo?

Non sarebbe ora di rassicurare gli ebrei di origine araba che le loro patrie d’origine sono sufficientemente mature da accoglierli di nuovo se essi decideranno di investire in questi paesi, di visitarli, o anche di prenderne la cittadinanza? Se i calciatori che trascorrono qualche mese in Medio Oriente possono avere la cittadinanza, non dovrebbero persone che hanno un naturale diritto di nascita, un’enorme ricchezza, e una preziosa istruzione e competenza, avere lo stesso trattamento?

Naturalmente, tali dichiarazioni andranno incontro a critiche e ad inviti a ricordare ciò che gli israeliani stanno facendo ai nostri fratelli e alle nostre sorelle palestinesi. Tuttavia, si può dire che in Medio Oriente nessuno sia stato crudele e violento nei confronti degli arabi, abbia approfittato dei palestinesi e abbia manipolato la loro causa, più degli arabi stessi. Possiamo dimenticare che fu l’Iraq ad invadere il Kuwait, che fu l’Egitto ad incoraggiare sanguinose rivoluzioni in tutta la regione, e che sono principalmente militanti della penisola araba ad essere responsabili di atroci crimini di terrorismo in Iraq? Noi stessi siamo stati vittime di un’ingiusta generalizzazione da parte dei mezzi d’informazione occidentali; ma, dobbiamo trarre una lezione dal passato, o dobbiamo continuare a ricambiare con lo stesso linguaggio?

Sultan al-Qassemi è un uomo d’affari residente a Sharjah (negli Emirati Arabi Uniti); si è laureato all’Università Americana di Parigi; è fondatore della Barjeel Securities, con sede a Dubai

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