Giorgio Bernardelli :Giusti e Shoah, lungimiranza cercasi

Aprendo il sito di Yediot Ahronot oggi ho avuto la conferma dell’ennesima occasione persa in Medio Oriente. Premetto subito che non sto parlando del balletto in corso tra Gerusalemme e Washington sul tema del congelamento delle costruzioni negli insediamenti. Ci sarà tempo per commentarlo a bocce ferme. L’occasione persa riguarda qualcosa di molto più cruciale per Israele, e cioè il senso della memoria della Shoah. E vengo alla notizia: Yediot Ahronotdedica oggi una lunga intervista a una delle figlie di Khaled Abdel Wahab, quel tunisino che è stato il primo arabo candidato al riconoscimento come «Giusto tra le nazioni» allo Yad Vashem. La sua candidatura venne presentata nel 2007 dallo storico statunitense Robert Satloff, che ne aveva ricostruito la storia documentando che nel 1944 ospitò una famiglia ebrea nella sua casa di campagna nei pressi della città di Madhia, allora sotto occupazione nazista. La vicenda è al centro del best-seller internazionale di Satloff Tra i giusti (tradotto in italiano da Marsilio) ed è una di quelle che ho raccontato nella mostra Giusti dell’islam, che ho curato per il Pime e continua a girare per l’Italia.La notizia è che - incidentalmente - l’articolo di Yediot Ahronotconferma l’intenzione dello Yad Vashem di non concedere il titolo di «Giusto tra le nazioni» a Khaled Abdel Wahab. A spiegarlo chiaramente è Irena Steinfeld, la direttrice del dipartimento che nel grande centro di ricerca storica sulla Shoah si occupa di ricostruire le vicende dei Giusti. La professoressa Steinfeld spiega di aver condotto personalmente delle ricerche in Tunisia e di aver trovato tutti i riscontri indicati da Satloff. Però - sostiene - dagli elementi raccolti risulta che i tedeschi fossero a conoscenza del fatto Khaled Abdel Wahab ospitava in casa degli ebrei. E questo - a giudizio degli storici dell’istituto di Gerusalemme - farebbe cadere uno dei requisiti fondamentali adottati dal Comitato dello Yad Vashem per selezionare i Giusti: l’aver messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di alcuni ebrei. Nessuna legge nella Tunisia occupata vietava a un arabo di ospitare ebrei. E inoltre i tedeschi si sarebbero recati anche più volte a controllare che la famiglia Boukris fosse sempre alloggiata lì. Khaled Abdel Wahab - è dunque la conclusione dello Yad Vashem - non ha corso rischi e dunque non può essere considerato a tutti gli effetti un Giusto tra le nazioni.È un epilogo che ricorda un precedente: quello del console iraniano a Parigi Abdol Hossain Sardari, che durante la Seconda guerra mondiale avrebbe distribuito passaporti anche ad ebrei non iraniani, permettendo così loro di salvare la propria vita. Anche in quel casoYad Vashem - pur confermando il fatto che Sardari fornì i passaporti - negò il titolo di «Giusto tra le nazioni», perché sostenne che il diplomatico agiva con la copertura del governo del suo Paese.Non sono uno storico e non ho in mano tutti gli elementi citati da Irena Steinfeldt. Mi permetto - però - di esprimere qualche dubbio su questo criterio: è davvero possibile stabilire con certezza a oltre sessant’anni di distanza che cosa fosse rischioso e che cosa no in un territorio occupato dai nazisti? Inoltre la ricostruzione citata da Irena Steinfeldt tralascia un aspetto non secondario della vicenda: perché Khaled Abdel Wahab aprì le porte di casa sua a una famiglia di ebrei? Come spiega bene Satloff, lo fece perché riteneva che alcuni ufficiali tedeschi avessero messo gli occhi su una delle ragazze di casa. E riferisce come altre ragazze ebree fossero finite in un bordello aperto dai tedeschi per le loro truppe. Come può un gesto del genere, in quella situazione, non essere considerato un atto di coraggio degno di un Giusto?Ammettiamo, comunque, che abbiano ragione gli storici dello Yad Vashem: i tedeschi sapevano e hanno tollerato il gesto di Khaled. Possibile che un’interpretazione rigida di criteri stabiliti più di cinquant’anni fa prevalga sul significato che un gesto come annoverare Khaled Abdel Wahab (e magari anche Abdol Hossain Sardari) avrebbe rispetto al mondo arabo di oggi? Non sarebbe questa la risposta più chiara e più comprensibile rispetto al negazionismo propagandato dal presidente iraniano Ahmadinejad? E non sarebbe un segnale importante anche per gli arabi israeliani, che sentono sempre di più il tema della memoria della Shoah come qualcosa che non li riguarda?
È su queste domande - più che sui cavilli formali - che chi ha a cuore la memoria della Shoah forse dovrebbe cominciare a confrontarsi.

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