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Izzeldin Abuelaish: una storia di dolore e di speranza

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di Rachel Cooke Due anni fa, granate israeliane sono cadute sulla casa della famiglia del dott. Abuelaish a Gaza, uccidendo tre delle sue giovani figlie e il loro cugino. L'orrore è stato ripreso in diretta dalla televisione israeliana quando il medico ha telefonato al suo amico conduttore. Incredibilmente, la perdita non ha inasprito Izzeldin Abuelaish. Ha deciso invece che la morte delle sue ragazze non deve essere inutile - e lentamente ha trasformato la sua tragedia familiare in una forza di pace. Il 12 dicembre 2008, Izzeldin Abuelaish, un medico di Gaza, portò in gita le sue sei figlie e i due figli. La famiglia si alzò presto, confezionò un pic-nic e, alle 7, salì sulla sua vecchia Subaru e uscì. Gaza non è grande - solo 25 miglia di lunghezza, e nove miglia di larghezza nel punto più ampio - ma la situazione è quella che è, può volerci molto tempo a muoversi e Abuelaish era determinato a fare la sua gita. Dodici settimane prima, Nadia, la moglie di 21 anni, era morta impr

Palestinian Papers i documenti segreti di Al Jazeera e il Guardian: aggiornamenti

«I palestinesi? Mandiamoli in Cile»    La cooperazione tra Israele e Anp per indebolire Hamas nella Striscia e riconquistare un posto al tavolo di inutili negoziati, anche a costo di vite umane. E ancora, l'inefficienza esplicita del Quartetto. Gerusalemme, 26 gennaio 2011,  (foto al Jazeera) – “Perché non lo uccidete?” Con questa richiesta Israele avrebbe domandato la cooperazione dell’Autorità Nazionale Palestinese per uccidere Hassan Mahdoun, figura di spicco delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa (gruppo di resistenza armata affiliato a Fatah),  ucciso da un missile lanciato da un elicottero Apache israeliano nella Striscia di Gaza nel 2005. In quell’assassinio mirato, il 1 novembre 2005, a soli 4 mesi dopo la richiesta israeliana, fu ucciso anche un attivista di Hamas e rimasero ferite altri tre palestinesi. Lo svela il terzo round dei documenti diffusi da Al Jazeera, dopo le prime rivelazioni che da domenica notte occupano gran parte della stampa araba. Secondo le note in lingu

Amira Hass: nel mirino di Lieberman

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     Ho accettato controvoglia l’invito a una colazione nella residenza dell’ambasciatore francese a Tel Aviv per festeggiare l’anno nuovo. Curiosità antropologica. Non capita tutti i giorni di vedere deputati e giornalisti di primo piano che si scambiano pettegolezzi. Ho riconosciuto un paio di deputati, gli altri me li ha indicati il mio collega Gideon Levy.“È arrivato il momento di migliorare i miei rapporti con i rappresentanti stranieri, nel caso un giorno dovessi chiedere asilo”, ho detto scherzando a un’addetta dell’ambasciata, che però non ha sorriso. Devo aver fatto una battuta infelice. Tuttavia è innegabile che ultimamente gli attacchi della destra ai critici interni di Israele sono sempre più frequenti. L’ultimo bersaglio sono le organizzazioni che criticano l’esercito. Avigdor Lieberman, ministro degli esteri e capo del partito promotore di questi provvedimenti antidemocratici, ha accusato anche Ha’aretz. Il suo partito è composto perlopiù da immigrati dall’ex Unione Sovi

Amira Hass: sognando la Tunisia

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   La sera del 14 gennaio erano tutti incollati alla tv, qui a Ramallah, per seguire in diretta la rivolta in Tunisia. La mattina dopo erano tutti soddisfatti. “Il popolo tunisino ha salvato l’onore della nazione araba”, mi ha detto un amico.La tv era accesa anche nel negozio di frutta e verdura. Alcuni dimostranti tunisini stavano parlando con i giornalisti. Uno di loro ha detto che perfino i palestinesi stavano meglio di loro. Dal punto di vista alimentare è sicuramente vero, ma i prezzi dei generi di prima necessità non sono stati l’unico motivo della rivolta.La Tunisia, come la maggior parte degli stati arabi, è governata da un’élite cinica e corrotta. La situazione dei palestinesi è diversa, perché hanno a che fare contemporaneamente con tre regimi repressivi: l’Autorità Palestinese, Hamas e Israele. È vero, però, che per certi aspetti i palestinesi stanno meglio di altri. In Cisgiordania, per esempio, gli attivisti per i diritti umani hanno più libertà d’azione che in molti stat

Jonathan Cook La sinistra sionista scrive il suo stesso necrologio

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     Ehud Barak, ministro della difesa israeliano, sembra aver inferto il colpo finale alla sinistra sionista con la sua decisione di abbandonare il partito laburista e di creare una nuova fazione “sionista centrista” in seno al parlamento israeliano. Finora 4 parlamentari su 12 hanno annunciato la loro intenzione di seguirloLunedì 17 gennaio, poco dopo la conferenza stampa di Barak, i media israeliani hanno cominciato a lasciar intendere che il vero artefice della spaccatura del partito laburista fosse il primo ministro Benjamin Netanyahu il quale, secondo uno dei suoi collaboratori, l’avrebbe organizzata come un’ “operazione [militare] d’élite”. Netanyahu ha dei buoni motivi per volere che Barak rimanga nel governo più schierato a destra della storia di Israele. Egli ha fornito un’utile copertura diplomatica nel momento in cui Netanyahu ostacolava il processo di pace sponsorizzato dagli USA. Barak ha assunto volentieri il ruolo di “foglia di fico” del governo, pur di mantenere la s

Un uomo di Hezbollah alla guida del Libano

Non sono servite le manifestazioni di protesta inscenate oggi a Tripoli, Beirut e Sidone dalla coalizione filo-occidentale.  Confermando le indiscrezioni della vigilia, il presidente libanese Michel Suleiman ha deciso di affidare il compito di formare il nuovo governo libanese a un uomo vicino a Hezbollah.Il designato è Najib Mikati, miliardario di confessione sunnita, che si autodefinisce un “indipendente” e un “moderato”, ma che deve contare proprio sull’appoggio del movimento sciita.A lui è andato il sostegno di 68 parlamentari, compresi sette drusi del Partito progressista socialista di Walid Jumblatt, che in passato avevano appoggiato l’ex premier Saad Hariri. “Giornata della rabbia” L’annuncio della nomina di Mikati ha suscitato la dura reazione dei sostenitori di Hariri. Importanti manifestazioni di protesta si sono tenute a Tripoli, a Sidone e nella stessa capitale, per quella che è stata designata “la giornata della rabbia”Non sono mancati gli episodi di violenza, che hanno ri