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Un soldato, la pizza e il giornalista. La storia del checkpoint di Qalandiya

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Tutta colpa di una pizza. E di un giornalista israeliano, Avi Isacharoff, che sul suo giornale ( Haaretz ) ha raccontato quello che è successo a lui. E del suo rapporto con qualche soldato israeliano a fare il bello e il cattivo tempo. «Ci trovavamo nell’area del controllo passaporti al check point di Qalandiya – scrive il giornalista –, quando un soldato, un certo Tal, che si occupava di controllare i veicoli ha chiuso una intera corsia di passaggio e se n’è andato a mangiarsi la sua pizza in una stanza dei militari». Le macchine in fila per passare dalla parte palestinese a quella israeliana hanno così dovuto aspettare ancora più tempo del solito. Il check point di Qalandiya, infatti, è famoso per i suoi lunghissimi tempi sia nel passaggio che nel controllo dei documenti. Ma la scena del soldato che blocca gl’ingressi per mangiarsi la sua pizza non l’avevano vista nemmeno quelli di Haaretz. «Una volta che ha finito di mangiare, abbiamo chiesto al soldato come poteva lui ch

Paola Caridi: il Papa, la"soffiata" l'Islamofobia ...

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E così, i sei spazzini ’nordafricani’ (dunque arabi, e dunque musulmani) che dovevano attentare al Papa Benedetto XVI, in visita in Gran Bretagna, sono stati rilasciati, tra ieri sera e stamattina. Confermando quella che qualche vaticanista al seguito del Pontefice aveva già bollato come “informazione drogata. ”Nessuna minaccia credibile”, ha detto Scotland Yard, e l’autorevole BBC dice che li avevano sentiti scherzare alla mensa dei netturbini. Ora, a parte il cattivo gusto di scherzare sull’incolumità del Pontefice, è la ’soffiata’ sulla quale ci si dovrebbe soffermare. Perché è la soffiata che fa comprendere quanto ormai l’islamofobia sia diffusa, e soprattutto sdoganata. Magari qualcun altro avrebbe potuto fare una conversazione di altrettanto cattivo gusto, sull’incolumità del Papa, ma in questo caso – e questo fa sì la differenza – erano nordafricani, forse algerini, forse marocchini, chissà. Di per sé, possibili colpevoli. Forse in ricordo del discorso di qualche anno fa del

Alta corte israeliana: la politica fiscale discrimina gli arabi

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1Sintesi personale L'alta corte di giustizia israeliana ha considerata discriminatoria la politica fiscale vigente ,in quanto avvantaggia alcune comunità ,mentre gli arabi non godano di alcuna sovvenzione fiscale. Inoltre ha criticato il governo visto che non aver fatto nulla per risolvere la situazione negli anni passati ed ha avvertito che, se il Parlamento non porrà fine a questa ingiustizia, i giudici interverranno 2 Gli arabi israeliani e le tasse. Una ricerca sull'evasione Se l'arabo non paga le tasse non sta per forza muovendo una critica politica all'occupazione israeliana; semplicemente è più povero del concittadino ebreo. Sembra sfatare un radicato luogo comune della retorica di cui si ciba il conflitto arabo-israeliano una ricerca dal titolo Il comportamento del cittadino arabo israeliano nel pagamento delle tasse , appena pubblicata dall'università Ben-Gurion del Negev.Rafik Haj, giovane studioso dell'ateneo israeliano e autore della

Issacharoff Avi :per i i palestinesi l'abuso dei coloni è solo l'inizio del calvario

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Sintesi personale Quasi tutte le settimane (o giorni, a seconda della stagione), questa scena si ripete nei villaggi palestinesi attorno a Nablus: un gruppo di coloni israeliani ,da uno degli avamposti situati sulle colline, attacca i contadini palestinesi mentre portano le pecore al pascolo o si recano nei campi per lavorare, sperando di spingere i palestinesi ad andarsene.Il villaggio di Burin , a sud di Nablus, si trova immerso in un letto di un fiume in secca tra Yitzhar (e i suoi avamposti) e Bracha (e i suoi avamposti). I coloni gettano pietre contro di loro, danneggiano le loro proprietà e rubano i loro animali. Pochissime le denunce presentate, visto gli ostacoli posti in atto in modo sofisticato . Ad esempio, un palestinese della Cisgiordania settentrionale che vuole presentare un reclamo contro i coloni deve recarsi di persona presso la stazione di polizia di Ariel   , ma ai palestinesi è vietato entrare in territorio israeliano. I

Gad Lerner : Sarkozy e i rom: uno sfregio all’Europa

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Sono tempi bui quelli in cui le classi dirigenti cadono preda della medesima irrazionalità da loro fomentata per tenere a bada il malcontento popolare. Non sarà dunque per timore della presunta invasione musulmana, ma per l’invenzione ancor meno verosimile di una “minaccia interna” rappresentata dal popolo rom, che l’Europa derogherà dalla sua conquista democratica più significativa, cioè la libera circolazione dei cittadini dell’Unione in tutti i suoi Stati membri?E’ un brutto scherzo della storia che a farsi protagonista di tale retromarcia sia un presidente francese originario dell’Ungheria, cioè di una nazione tuttora afflitta da pulsioni xenofobe nei confronti di una minoranza già vittima di persecuzioni atroci sul suo territorio. La culla della nozione moderna di cittadinanza, fondata sul diritto comune anziché sul sangue, ha intrapreso un’azione restauratrice di confini superati, quasi che il trascurabile insediamento di alcune migliaia di nomadi potesse davvero essere determina

Chiamata da Benjamin

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Non sono il tipo che rifiuta le telefonate anonime. Qualche giorno fa ne ho ricevuta una mentre camminavo sulle terre espropriate del villaggio di Nabi Samuel, verso le case dei palestinesi a cui le autorità israeliane impediscono qualsiasi costruzione. È il villaggio che negli ultimi quarant’anni non ha potuto avere una roulotte per l’ambulatorio medico né espandere il monolocale che ospita la scuola. Famiglie composte da quindici o venti persone vivono in due o tre stanze. Una famiglia con cui ho parlato era stata costretta a trasformare la rimessa delle capre in una stanza per sei persone. Mi hanno fatto promettere che non avrei parlato del loro abuso edilizio. Temevano che l’esercito isrealiano arrivasse per distruggere la stanzaMentre mi avvicinavo all’ex rimessa delle capre, è arrivata la telefonata. Una voce familiare mi è risuonata nell’orecchio: “Shalom, sono Benjamin Netanyahu”. Era un messaggio registrato. Seguiva un lungo discorso nel quale il primo ministro prometteva di r

Amira Hass :Un alfabeto senza C

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Dieci shekel (2 euro e 14 centesimi): è quanto mi ha chiesto il sarto per rammendare cinque buchi in tre camicie. Sapevo che era veloce e si faceva pagare poco, ma questa volta aveva esagerato. Gli ho dato cinquanta shekel e lui ha insistito per restituirmene trenta.La sua bottega si trova a El Bireh. La aprì suo padre negli anni cinquanta, quando la loro speranza di tornare al villaggio da cui erano stati espulsi cominciava ad affievolirsi. Ho conosciuto il sarto durante una riunione al municipio di El Bireh. Stavo facendo un servizio sull’ordine di demolizione di uno stadio sponsorizzato dalla Fifa emesso dalle autorità israeliane.Il sarto era lì per una questione legata all’area in cui risiede (la C, dove è vietato costruire). Tre o quattro edifici, che hanno aggiunto delle stanze a strutture erette prima del 1967, hanno ricevuto ordini di demolizione parziale. Per fortuna il provvedimento non è stato applicato: evidentemente anche la crudeltà ha un limite.Resta il problema della st