GIDEON LEVY - GHAZI SI È ALZATO PRESTO PER ANDARE AL LAVORO, HA PRESO UNA TAZZA DI CAFFÈ E POI È SCOPPIATO L'INFERNO

Tradotto da : 

Beniamino Benjio Rocchetto


Ghazi Shihab, 66 anni, stava prendendo un caffè in un locale nel campo profughi di Nur al-Shams prima del lavoro. Dalla strada risuonarono due spari. Guardò fuori e fu colpito a morte da un soldato. Nel frattempo, le ruspe dell'esercito distruggevano sei auto e alcune bancarelle.
Di Gideon Levy e Alex Levac - 25 maggio 2023
Il Café Abu Kasido, all'ingresso del campo profughi di Nur al-Shams in Cisgiordania, era chiuso questa settimana quando siamo arrivati ​​verso mezzogiorno. Sulle sue porte di ferro, alcune fotografie strappate ritraggono martiri del campo. Di fronte, dall'altra parte della strada, un murale colorato di un ragazzo con una gamba sola su una sedia a rotelle è dipinto sul muro degli uffici dell'UNRWA, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. C'è anche un muro di protezione fatto di sacchi di sabbia, transenne d'acciaio e pneumatici sul ciglio della strada, come abbiamo visto di recente nel campo profughi di Jenin.
La caffetteria, situata alla periferia della città di Tul Karm, nel centro della Cisgiordania, a Est di Netanya, è aperta solo dalle ore precedenti l'alba fino alle prime ore del mattino. È il luogo di ritrovo dei lavoratori locali che partono nel cuore della notte per recarsi al lavoro in Israele, per costruire, ristrutturare e pavimentare per gli israeliani. Il caffè chiude i battenti quando se ne vanno. Nessuno a Nur al-Shams frequenta un caffè durante il giorno. Questo è un luogo impietoso dove 14.000 persone vivono in condizioni di denso sovraffollamento, tra sporcizia e miseria, evocando immagini della Striscia di Gaza.
Ghazi Shihab frequentava il Café Abu Kasido ogni mattina, prendendo un caffè prima di partire per Israele. Negli ultimi due anni ha lavorato nel dipartimento di nettezza urbana di Kfar Sava. Agente di polizia palestinese in pensione di 66 anni, padre di cinque figli, era irremovibile nel perseguire il suo impegnativo lavoro di spazzino sei giorni alla settimana, compreso il venerdì, nonostante le insistenze dei suoi figli per farlo smettere. Sarebbe andato in pensione, gli disse, solo dopo che tutti loro si fossero sposati, tre sono ancora celibi, e che stare a casa tutto il giorno lo avrebbe ucciso.
Come ha voluto il destino, è andato al lavoro ed è stato ucciso, apparentemente colpito a distanza da un soldato israeliano. È passato del tempo prezioso dal momento in cui è caduto sul pavimento della caffetteria, sanguinante, fino a quando è stato soccorso e portato in ospedale dai paramedici. La sparatoria in strada si è intensificata dopo che gli hanno sparato: i residenti armati del campo hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con i soldati israeliani che si erano rifugiati in un vivaio all'ingresso del campo. Non è stato possibile spostare il ferito.
Shihab giaceva sul pavimento della caffetteria, ancora cosciente. Quando i suoi amici gli dissero, mentre cercavano di fermare l'emorragia con dei tovaglioli, che avevano chiamato un'ambulanza, ha chiesto loro di dire ai paramedici che aveva uno stent arterioso impiantato. Solo così lo avrebbero saputo.
Nur al-Shams è diventato un bersaglio frequente delle incursioni dell'esercito negli ultimi mesi, soprattutto di notte. Dopo molteplici incursioni in altri campi: Jenin, Balata, fuori Nablus, dove lunedì scorso sono stati uccisi tre residenti, e Aqabat Jabr, fuori Gerico, l'esercito ha preso di mira anche questo campo. I blocchi stradali palestinesi improvvisati all'ingresso del campo imitano quelli di Jenin, e le pile di sacchi di sabbia superano persino quelle del campo di Jenin. Mucchi di pneumatici attestano una forza di difesa che cercava di schierarsi contro le incursioni con i suoi scarsi mezzi.
Shihab viveva in alto nel campo, nel quartiere di al-Manshiyeh, i cui abitanti fuggirono o furono espulsi nel 1948 dall'omonimo quartiere a Nord di Jaffa. Il David Intercontinental Hotel, il Charles Clore Park e il museo dell'organizzazione clandestina pre-statale dell'Irgun sorgono oggi sulle rovine di Manshiyeh, da cui proviene la famiglia Shihab.
Mustafa, il fratello maggiore in lutto di Ghazi, è seduto nella sua umile casa nel campo, non lontano da dove viveva Ghazi. Cumuli di rifiuti e case che sembrano ammassate l'una sull'altra costeggiano il percorso. Indossando una tunica e sandali, non è in grado, nemmeno adesso, due settimane dopo aver perso Ghazi, di trattenere le lacrime.
"Sai cosa significa perdere un fratello? È come un'amputazione", dice, singhiozzando. Ricorda quando Yigal Shohat, pilota e medico, venne al campo con una delegazione di Medici per i Diritti Umani durante la Seconda Intifada. Mustafa è un infermiere diplomato e un paramedico, che ha svolto per anni la professione negli Stati del Golfo. Ahmed, il figlio di 24 anni di Ghazi, lavora anche lui come infermiere, in una clinica privata a Nablus. Suo fratello maggiore, Ashraf, 40 anni, in giacca e cravatta e con un orologio dorato, è l'addetto alla sicurezza di una filiale della Banca di Palestina a Tul Karm. I due figli orfani indossano gli anelli del padre defunto.
L'11 maggio, un giovedì, Ghazi si è alzato come al solito prima dell'alba ed è andato al caffè. Anche i suoi due figli erano svegli. All'inizio di quella settimana, Ahmed e Ashraf avevano avviato un'attività famigliare producendo focacce in stile druse per i ristoranti shawarma di Tul Karm. Si sono alzati presto per iniziare a cuocere. Il loro padre se ne andò senza dire una parola. Arrivò alla caffetteria verso le 3:45.
Un altro lavoratore, entrato contemporaneamente nella caffetteria, ha ricordato di aver sentito un rumore dietro le piante di un vicino vivaio dall'altra parte della strada. Pensava fossero i cinghiali che si abbeveravano delle acque reflue del campo, che in quel punto sfociano in un canale aperto. Ma aveva paura di fermarsi a controllare.
Un istante dopo, dalla strada si udirono due colpi. Sembra che siano stati sparati da uomini armati che erano in allerta nelle postazioni vicino all'ingresso del campo, adiacente la caffetteria. Forse sospettavano che le truppe israeliane e non i cinghiali fossero la fonte dei rumori provenienti da dietro il vivaio.
Circa 150 metri separavano le posizioni delle guardie del campo dalla caffetteria e dal vivaio. Secondo le testimonianze raccolte da Abdulkarim Sadi, un ricercatore sul campo dell'organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem, quando si sono uditi gli spari alcuni lavoratori, tra cui Ghazi, hanno sbirciato fuori dalla porta del locale per vedere cosa stava succedendo. Quattro di loro sono riusciti a indietreggiare in fretta, ma Ghazi è stato colpito all addome e si è accasciato sul pavimento. Il proiettile è stato probabilmente sparato da un soldato della forza che si è nascosto nel vivaio dopo aver risposto alla sparatoria dal campo.
Uno scontro a fuoco è scoppiato in breve tempo, mentre Ghazi giaceva morente. Le immagini delle videocamere del locale lo mostrano sdraiato su un fianco, sanguinante, sul pavimento. I dipendenti della caffetteria hanno riferito che all'inizio era pienamente cosciente, ma aveva perso conoscenza quando è arrivata l'ambulanza. L'ambulanza è arrivata dopo 40 minuti, secondo la famiglia, dopo 15 minuti secondo un'altra testimonianza che abbiamo sentito nel campo.
I figli di Ghazi stavano cuocendo le loro sottili pita druse su fornelli rotondi in casa. Hanno sentito gli spari ma avevano paura di uscire. In ogni caso, erano certi che il loro padre avesse ormai raggiunto il valico di Ephraim sulla strada per Kfar Sava, quindi non erano preoccupati. Un uomo anziano come il padre non sarebbe rimasto coinvolto in una sparatoria, pensavano i suoi figli. Ma non molto tempo dopo, la loro sorella sposata Shireen, che vive a Nablus, ha chiamato per dire loro che il padre era stato gravemente ferito, secondo le notizie dei social media.
Nel frattempo erano arrivate le ruspe dell'esercito che stavano devastando le auto e le bancarelle sulla strada principale. Le immagini mostrano la massiccia distruzione operata dai pesanti mezzi, con le auto accatastate l'una sull'altra. Le ruspe hanno distrutto sei auto, di proprietà dei tenaci abitanti del campo, ma giocattoli per l'esercito. L'Unità del Portavoce dell'IDF ha dichiarato ad Haaretz questa settimana che: "l'operazione ha impiegato macchine escavatrici per spianare la strada e mantenere la sicurezza delle forze, causando danni alle proprietà lungo il percorso". Ebbene, è stato causato un danno alle proprietà, e allora?
Gli scontri a fuoco e la squadra di demolizione dell'esercito hanno impedito ai figli di Ghazi di uscire in strada per scoprire cosa fosse successo al loro padre. Solo intorno alle 7 del mattino, quando le truppe si ritirarono, poterono correre all'Ospedale Thabet Thabet di Tul Karm, dove era stato portato il padre. Lì aveva subito un intervento chirurgico, ma a causa della gravità delle sue condizioni è stato trasferito all'Ospedale Rafadiya di Nablus, dove i medici hanno cercato di fermare l'emorragia interna all'addome. Quando i suoi figli, accompagnati dallo zio, arrivarono a Nablus, le condizioni di Ghazi erano critiche. Morì più tardi quel giorno, alle 17:00.
L'Unità del Portavoce dell'IDF questa settimana ha dichiarato: "Le forze di sicurezza hanno operato per arrestare individui ricercati e confiscare materiale da combattimento nel campo profughi di Nur al-Shams l'11 maggio. Allo stesso tempo, è stata segnalata la morte di Ramzi Shihab. Le circostanze della sua morte sono oggetto di indagine. Durante l'operazione è iniziata una sparatoria in cui numerosi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro le forze dell'IDF contemporaneamente al lancio di ordigni esplosivi".
Gli alberelli di ulivo sono stati annaffiati questa settimana nel vivaio dove si nascondevano i soldati. Il proprietario ci ha mostrato l'apertura nel recinto praticata dalle truppe.
Ghazi aveva un gatto grigio di nome Rami, di un anno e mezzo. Un video mostra Rami rannicchiato tra le braccia di Ghazi e lui che gioca con l'animale. In un video successivo, si vede Rami sdraiato sulla tomba di Ghazi, che non vuole andarsene.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell'Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell'Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l'Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.





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