PORTA D’ORIENTE Parroco di Gaza: le scuole cristiane fondamenta di ‘verità, carità, libertà’

Dopo due anni di chiusure e didattica a distanza si apre un nuovo capitolo per gli istituti cristiani della Striscia. Al loro interno la maggioranza degli studenti è di fede musulmana, nel rispetto dei “valori e identità”. Per i palestinesi l’istruzione è la via per il riscatto. Con il lockdown aumentata la violenza fra i giovani, fondamentale ricostruire la socializzazione. Milano (AsiaNews) - La missione delle scuole cristiane della Striscia è di “testimoniare” la nostra fede “in modo diretto, mostrandone i valori e rispettando l’identità delle persone”, considerando anche il fatto che “la maggior parte” degli alunni iscritti “sono musulmani, e tali rimangono”. É un’idea di cultura e di condivisione ben precisa quella che ispira gli istituti cattolici nell’enclave palestinese, come racconta ad AsiaNews il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, sacerdote argentino del Verbo incarnato, secondo cui anche la maggioranza islamica “percepisce qualcosa di speciale” al loro interno. “Che è - sottolinea - libertà e rispetto delle differenze, senza però cadere nel relativismo perché siamo noi i primi ad essere fieri della nostra identità cattolica”. 

Convivenza e dignità

Nella Striscia di Gaza ci sono cinque scuole cristiane: di queste tre sono cattoliche, una ortodossa e una protestante. I cristiani dell’area sono poco più di mille, di cui 134 cattolici. Rappresentano una percentuale minima rispetto al totale di 2,3 milioni di persone che abitano quella che attivisti e ong hanno spesso ribattezzato una “prigione a cielo aperto” a causa del blocco imposto da Israele in seguito all’ascesa di Hamas. Gli istituti legati al Patriarcato latino di Gerusalemme sono due: la Scuola parrocchiale del Patriarcato latino, che è anche l’istituzione educativa privata più antica di Gaza, con 210 alunni che vanno da quattro a 14 anni, la maggior parte dei quali musulmani (35 in totale i cristiani) e circa 90 dipendenti, compresi i professori. A questa si aggiunge la Scuola della Sacra famiglia, dalla materna fino al “Tawjihi”, il periodo di preparazione agli esami universitari; vi studiano 630 alunni, di cui circa 70 cristiani. 

Al loro interno, racconta p. Romanelli, “cerchiamo di garantire un buon livello di istruzione, mostrando a tutti che cristiani e musulmani possono convivere” e fondando questo stare in comune “sui valori che sono propri di una società cristiana e della Chiesa”. A partire dalla “dignità della persona umana, la carità e il rispetto della verità su Dio e il mondo”, una sorta di “oasi in cui persone di buona volontà possano dissetare l’anima, trovare conforto e ricevere un grado di istruzione adeguato”.

Una missione i cui risultati si vedono anche a distanza di tempo, come spiega il parroco traendo spunto da un episodio del recente passato: “Lo scorso anno sono venuti nella nostra scuola - ricorda - il rettore e alcuni professori di una università di Gaza, per farci gli auguri di Natale. Fra questi vi era anche uno sheikh, un docente di religione islamica, che mi ha detto di aver studiato da noi fino alla classe sesta e sono stati ‘gli anni più belli della mia vita’. Ricorda con affetto suor Abel, la sua insegnante. Ecco, questo mostra lo spirito della scuola: pur mantenendo la nostra identità si possono seminare pace, giustizia e carità e ciascuno può fornire il proprio contributo per una vera riconciliazione” fra i due popoli israeliano e palestinese. 

Covid, Dad e ripartenza

In questi due anni e mezzo di pandemia, la sfida maggiore è stata quella di garantire la continuità nell’insegnamento fra lockdown, didattica a distanza, difficoltà economiche e una sensazione crescente di isolamento e abbandono fra i ragazzi. “Dopo due anni di Covid-19, si riparte” sottolinea con entusiasmo p. Romanelli. “Cerchiamo il contatto personale, di accorciare le distanze, riunire educando ed educatore - prosegue - perché abbiamo visto in questi due anni che i ragazzi, soprattutto gli adolescenti, hanno coltivato una sorta di violenza sia interna che fra di loro.

Questo aggrava una situazione già critica con i disastri provocanti dai conflitti, dalla guerra-lampo del maggio 2021 all’attacco improvviso di Israele a inizio agosto che ha colto di sorpresa”. Il fatto di non poter uscire di casa ha influito sulla personalità dei giovani, quindi quest’anno più che mai anche la scuola deve diventare un luogo in cui riscoprire la socializzazione e sanare le ferite dell’isolamento, della separazione, della paura del contatto generate dal virus. “La speranza - afferma il parroco di Gaza - è che sia un anno di libertà accademica dopo chiusure e mascherine, proprio per questo abbiamo iniziato nei giorni scorsi [l’anno scolastico è da poco iniziato, ndr] con un open-day, una giornata di festa per creare un clima di fiducia fra le famiglie e verso la scuola”. Anche questo, aggiunge, “è un modo per contrastare la crescente violenza fra i giovani e che, fenomeno nuovo, investe anche i professori ed educatori. Nella cultura araba è strano vedere una mancanza di rispetto, una violenza verso il padre, il maestro, verso l’autorità più anziana, ma questa è un’altra delle conseguenze legata ai due anni di pandemia”. 

L’istruzione, un valore

“Stiamo lavorando affinché quest’anno bambini e ragazzi crescano nel senso di appartenenza alla scuola, alla rete degli istituti cattolici e alla società palestinese nel suo complesso” sottolinea la direttrice della scuola del Patriarcato latino a Gaza. “Vogliamo offrire - aggiunge Um Fady, come viene chiamata da docenti e studenti - qualcosa di concreto garantendo educazione e cultura. Per la ripresa dell’anno abbiamo inoltre preparato alcuni regali agli alunni, per incoraggiarli dopo questi ultimi due anni di difficoltà causate dalla pandemia”. 

I palestinesi sono molti legati al valore dell’istruzione, frequentare la scuola è di fondamentale importanza e hanno coscienza che da questo dipende il loro futuro. E le scuole cristiane garantiscono un valore aggiunto per l’elevato livello di istruzione, tanto da spingere molte famiglie musulmane a sceglierle anche per i loro figli sapendo che vengono rispettati “valori e identità”. Curiosità e desiderio di conoscenza vengono coltivati anche nei mesi di vacanza, quando giovani e bambini frequentano centri estivi e corsi di lingua. “Quest’estate in parrocchia - racconta il sacerdote - abbiamo promosso due mesi di campo scuola per 230 persone, di cui 180 bambini e circa 50 adolescenti, quasi un quarto dei cristiani di Gaza. Per un mese li abbiamo coinvolti da mattina a sera con messa, colazione, lezioni di religione, giochi e gare, momenti musicali, adorazione del santissimo e benedizione prima di tornare a casa”. “Siamo parte - conclude p. Romanelli - di un unico corpo, che è quello delle scuole del patriarcato in tutta la Terra Santa, pur rispettando le peculiarità di ciascun territorio dalla Giordania alla Palestina, a Gaza”.


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