Francesca Bellino. : Intervista a Najwan Darwish, poeta e scrittore palestinese – più nulla da perdere
Palestinesi: cultura-storia-.società civile-economia
Articolo pubblicato originariamente su Confronti.net
Intervista a cura di Francesca Bellino. Giornalista e scrittrice.
Najwan Darwish è nato a Gerusalemme nel 1978. Dalla pubblicazione della sua prima raccolta, nel 2000, le sue opere sono state tradotte in venti lingue. Più nulla da perdere (Il ponte del sale, 2022) è la sua ultima raccolta di poesie tradotte in italiano.
Una delle ambizioni del poeta palestinese Najwan Darwish è «frantumare i confini tra le identità, coglierne gli elementi comuni e attraversarle» con la leggerezza e l’apertura di chi si è liberato del marchio dell’appartenenza e ha abbracciato il mondo intero. Nella sua seconda raccolta pubblicata in italiano Più nulla da perdere (Il ponte del sale), tradotta e curata da Simone Sibilio e con la prefazione di Franca Mancinelli, il poeta dichiara da subito la sua rinuncia alle frontiere e il suo inglobare in sé una geografia ampia. Najwan Darwish, nato a Gerusalemme nel 1978, non si sente soltanto arabo, ma anche curdo, egiziano, iracheno, ebreo. Nella poesia in prosa che apre la raccolta, Carta d’identità, incontriamo il poeta libero dal fardello identitario che sceglie di rendere visibili tracce di passato attraverso il presente e dà il benvenuto al lettore con titolo che evoca l’omonima poesia di Mahmud Darwish (1941-2008), considerato il più grande poeta palestinese del quale porta il cognome pur non essendogli imparentato.
Considerato una delle voci poetiche più originali della sua generazione a livello internazionale, Najwan Darwish, tra gli ospiti dell’edizione 2022 di Ritratti di poesia a Roma, utilizza forme, registri, toni diversi. Più nulla da perdere, raccolta uscita nel 2015 negli Stati Uniti con il titolo Nothing More to Lose, è suddivisa in sette sezioni e comprende testi scritti tra il 1998 e il 2013 sia in versi, sia in prosa. La sua poesia incarna il giusto equilibrio tra tradizione e modernità, mescola riferimenti storici e religiosi, sia biblici sia coranici, contiene l’urlo dell’umanità oppressa e calpestata dal potere ed è attraversata da una ironia lucida e spiazzante.
Najwan, cosa rappresenta per lei l’identità?
Le identità sono rappresentazioni costruite. Potrei dire che sono contro l’idea di identità. Uno dei problemi delle identità è che talvolta si trasformano in gabbie per chi le possiede o prigioni in cui porre il prossimo. Una delle mie ambizioni è annullare i confini tra le identità e attraversarle. Penso che ogni poeta abbia il compito di rendere manifesto che l’esperienza umana è unica.
Quanto il cognome che porta ha condizionato le sue scelte?
Non ha avuto un grande impatto. Quando ero giovane pensavo che sarei diventato molto più importante di Mahmoud Darwish! Forse, se mi fossi reso conto della sua importanza, avrei scelto uno pseudonimo. Ma non è andata così! Pur condividendo con lui il cognome e il paese di origine, facciamo parte di due famiglie poetiche diverse. I poeti sono come alberi e crescono sulle proprie radici, e noi abbiamo radici diverse. Abbiamo una sensibilità poetica diversa e abbiamo scritto cose molto diverse. Mahmoud Darwish non è tra i miei poeti preferiti e non ho letto tutti i suoi libri. Ho preso decisioni nella vita opposte alle sue. Abbiamo una differente relazione con il potere e una differente visione del ruolo del poeta. A me non piace l’idea del poeta nazionale e nazionalista che si erge a campione dell’identità nazionale. Guardo sempre con sospetto il potere di turno e mi trovo spesso a contrappormi al potere e, per quanto riguarda la poesia, mi contrappongo anche alle autorità poetiche. Non mi definisco neanche poeta. Ho pudore. Definirsi poeta è presuntuoso. I poeti che pensano di essere grandi star mi fanno ridere, ci scherzo su.
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