Donatella Di Cesare: IL PD IMPONE IL PENSIERO UNICO CON L'ELMETTO
- 28 aprile 2022
In un articolo di qualche giorno fa (Repubblica del 21 aprile), ripreso poi in un'intervista alla Stampa (del 23 aprile), Michele Serra lamenta quello che chiama "l'autogol" della sinistra italiana affetta da una "forte dose di scemenza". E parla di "caciara irrispettosa e ingombrante", di "disastro polifonico".
In breve: questa guerra, che avrebbe dovuto mettere in difficoltà la destra degli ex amici di Putin, ha invece diviso la sinistra. Il suo punto di vista è solo apparentemente super partes, perché poi Serra indica la causa dello "sconquasso": la sfortuna di avere troppi intellettuali, molto loquaci e onnipresenti sui giornali e nei talk show. Questa interpretazione guarda oculatamente già al futuro e avverte tra le righe che, semmai le destre dovessero prendere un bel po’ di voti alle prossime elezioni, com'è facile prevedere, la colpa andrebbe imputata non al PD e alle sue avventate scelte militaristiche, come sembrano indicare le piazze del 25 aprile, bensì a coloro che, in questi due mesi di guerra, hanno osato parlare di pace.
Il ragionamento è davvero singolare. Ma quel che colpisce di più è che nella compattezza di giudizio viene visto un valore da salvaguardare, mentre dissenso e opposizione sono additati come un ingombro, se non un rischio. Ho sempre pensato il contrario, cioè che un dibattito è democratico perché sa ospitare voci discordanti. Il problema riguardante la sinistra è, però, se la divisione emersa in questi giorni sia casuale, temporanea, dovuta a polemiche inutili, e perciò alla fin fine superflua. Non lo credo. Nel popolo della sinistra italiana c'è una rottura profonda, che si è aggravata negli anni, e che ora appare in tutto il suo spessore e in tutta la sua serietà. È forse ormai una frattura insanabile. Anche questo è un portato della nuova guerra europea. D'altronde il tema delle armi, la pulsione bellica, il progetto di riarmo non sono minuzie e banalità.
Devo ammettere che, percependo da tempo quella rottura politica, mi sarei attesa in un frangente così delicato, un confronto aperto da parte di chi a sinistra ha responsabilità di dirigenza e di governo. Era questo il momento giusto per tentare di riannodare un rapporto con la base e con le voci degli intellettuali che la pensano diversamente. Il blocco politico-mediatico intorno al PD (e ad altre forze affini), che ha un dominio, ma non un'egemonia, si è invece arroccato ancor più, si è ottusamente militarizzato, limitandosi ad attacchi pretestuosi e personali contro chi osi criticare, attacchi non di rado appaltati a blog anonimi sui social. Metodi staliniani per intimidire e silenziare. Dunque: né intellettuali, né popolo. Mi chiedo da che parte vogliano andare questi generali senza esercito.
Sono loro ad avere i paraocchi ideologici, non solo mentre interpretano questa guerra come uno scontro di civiltà fra democrazie e autocrazie, ma anche quando pretendono di bollare chi li critica da sinistra, le cui posizioni sarebbero autoritarie, antistoriche, sovietiche, neostaliniste, putiniste, ecc. Loro sarebbero progressisti e gli altri arretrati. L'impressione è di essere ricacciati in un orizzonte novecentesco. La conferma viene dall'uso aberrante della parola "resistenza" che, sovrapponendo due periodi storici, serve solo a legittimare l'interventismo italiano. Questo grottesco ritorno al Novecento in pieno 21° secolo, e in piena guerra europea dai contorni nucleari, è molto frustrante per me, come per tutti coloro che in questi ultimi decenni hanno seguito il dibattito europeo e internazionale tentando di ripensare criticamente concetti tradizionali, quello di "nazione" e quello di "sovranità", di elaborare nuove categorie politiche come quella di "rifugiato", di riflettere sul tema della democrazia, che non è un insieme di procedure da esportare, ma una forma di vita indispensabile. Per non parlare delle analisi sulla violenza, dunque sulla guerra globale, ma anche sulla pace che, come insegnano le grandi voci filosofiche degli ultimi anni, non è paralisi ed equidistanza, bensì capacità di guadagnare una prospettiva altra.
Che peccato che la sinistra di potere e di governo sia così lontana dal dibattito filosofico e culturale contemporaneo, prenda come bibbia le pagine datate di Bobbio, e si identifichi acriticamente in un vecchio neoliberalismo. Non stupisce che si condanni all'afasia su grandi temi come, ad esempio, la crisi migratoria e la cittadinanza, o si riduca, come in questa guerra, alla ripetizione di slogan reazionari. Letta ha parlato di "sinistra vincente", ma non si sa su che base. Tanto più che nessuno ha capito quali siano visione e strategia politica al di là dell'invio di armi e degli elmetti che impediscono un confronto aperto. Vanno ricercate qui le responsabilità se le destre vinceranno, e la guerra avrà effetti devastanti sulla sinistra.
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