Gideon Levy : Israele , quei bimbi ucraini sacrificati nel "baratto" con Putin di Umberto De Giovannangeli
Israele, quando la memoria difetta. E un bambino ucraino non ha peso sulla coscienza di una nazione che pure ha fatto di una tragedia immane il fondamento della sua identità nazionale. E di popolo.
Una memoria selettiva
A darne conto, con la consueta forza intellettuale e capacità di scrittura, è l’icona del giornalismo radical israeliano: Gideon Levy.
Scrive Levy: “Il paese che ha fatto di più per prendersi cura dei suoi cittadini in Ucraina, e degli ebrei lì, è anche il paese che ha chiuso i suoi cancelli – e in una certa misura il suo cuore – a tutte le altre vittime. Il paese il cui ethos si basa su un’accusa feroce al mondo che ha taciuto, guardato altrove e chiuso i suoi cancelli sta facendo esattamente la stessa cosa in questo momento di verità. Il paese che ha fatto così abilmente leva sul senso di colpa del mondo per raggiungere i suoi obiettivi politici potrebbe trovarsi ad affrontare una nuova prospettiva nel mondo, un mondo che potrebbe non dimenticare il suo silenzio e le sue esitazioni e che un giorno regolerà i conti con lui. E infine, il paese che l’ha fatta franca con la sua occupazione senza fine potrebbe trovarsi ad affrontare un nuovo mondo che forse, solo forse, non sarà più d’accordo e non rimarrà più in silenzio.
È commovente vedere i diplomatici israeliani fare di tutto per liberare dall’inferno ogni possessore di passaporto israeliano, compresi quelli che non hanno quasi mai messo piede in Israele, anche se per settimane sono stati esortati a uscire e non gliene fregava niente. In un paese i cui cittadini cercano un secondo passaporto per sicurezza, il passaporto israeliano è stato improvvisamente scoperto come una polizza assicurativa. La preoccupazione per gli ebrei a cui non è mai venuto in mente di trasferirsi qui potrebbe solo eccitare gli aficionados della Yiddishkeit. Ma quando i rifugiati di guerra vengono fermati all’aeroporto di Israele, deportati o obbligati a depositare somme enormi che non hanno per poter assaporare la libertà e la sicurezza, è chiaro che qualcosa nella bussola morale di Israele è distorto, persino patologico.
Occuparsi dei propri poveri va bene, ma occuparsi solo di loro è mostruoso. La preoccupazione per la propria gente è comprensibile, ma preoccuparsi solo per loro è perverso.
C’è davvero una differenza tra un bambino ucraino in fuga per la sua vita, qualcuno che non ha una bisnonna ebrea, e un bambino ucraino che ce l’ha? Qual è la differenza? La differenza si chiama razzismo. Questo rovistare nel sangue, in un momento di guerra ancora, si chiama selezione.
Mentre l’Unione Europea si sveglia lentamente, rivelandosi molto più unita e ideologica di quanto pensassimo, emerge la brutta faccia del paese dei rifugiati e dell’Olocausto. Decenni di selezione all’aeroporto Ben-Gurion, compreso l’allontanamento dei rifugiati da tutto il mondo, hanno lasciato il segno; anche i decenni di espropriazione e occupazione che sono rimasti impuniti dalla comunità internazionale stanno dando i loro frutti. In quest’ora di oscurità che è scesa sul mondo, Israele sta emergendo come la terra delle tenebre per le nazioni. Nessuno si sarebbe dovuto aspettare che fosse una luce per le nazioni. Perché sulla terra la luce, perché? Ma almeno ci si poteva aspettare che fosse come tutti gli altri. Quanto sarebbe stato bello se Israele avesse agito come l’oscura Polonia o la cupa Ungheria, per non parlare della Svezia o della Germania, che ora sono la vera luce per le nazioni, e avesse aperto le nostre porte come loro.
Israele ha un impegno verso i rifugiati non solo a causa del suo passato – è anche obbligato verso i rifugiati ucraini soprattutto a causa della grande comunità di lavoratori ucraini in Israele. Un paese che proibisce ai devoti custodi dei suoi anziani e agli addetti alle pulizie delle sue case di invitare i loro parenti per salvare le loro vite è chiaramente un paese immorale. La miriade di scuse meschine sulla condotta dell’Ucraina durante l’Olocausto peggiora solo il quadro, punendo i nipoti dei nipoti per i peccati dei loro padri e madri.
A Galina, una donna delle pulizie che vive in questo paese da anni, viene proibito di portare i suoi figli nella sua nuova casa solo perché non sono ebrei. Questo succede davvero e a quanto pare è anche accettato dalla maggior parte degli israeliani.
No, non è paura della Russia. La paura della Russia è solo una scusa. Non è nemmeno il governo, quello attuale o un altro. Questa crisi ha finalmente dimostrato che non c’è differenza morale tra il governo attuale e il suo abominevole predecessore.
Sono entrambi ugualmente ottusi e senza cuore. Naftali Bennett è lo stesso di Benjamin Netanyahu, Miri Regev è la stessa di Ayelet Shaked, e anche Merav Michaeli è un partner.
È qualcosa di sepolto nel profondo del DNA nazionale, in mezzo ad anni di lavaggio del cervello sul bisogno di essere forti, solo forti, in mezzo a racconti altisonanti sul popolo eletto e le uniche vittime della storia, autorizzate a fare qualsiasi cosa. E questa immagine è accompagnata da una coltivazione della xenofobia in dimensioni illegali in qualsiasi altro paese. Tutto questo sta venendo alla luce in uno spettacolo particolarmente brutto.
Forse è il peccato originale di un paese che è stato fondato sull’espulsione di centinaia di migliaia di rifugiati, forse è la religione sionista che sostiene la supremazia ebraica in ogni aspetto. Qualunque siano le ragioni, niente di tutto ciò giustifica la richiesta di un deposito di un solo shekel da parte di un rifugiato di guerra all’aeroporto Ben-Gurion.
E l’oscurità era sulla faccia dell’abisso”.
Così Levy.
Perché Israele non può dare lezioni alla Russia
A spiegarlo è una firma storica di Haaretz: Zvi Bar’el.
“Con cautela esagerata – annota Bar’el – Israele ha camminato su una corda stretta con un bordo affilato e mortale, che si estende da Gerusalemme a Mosca e minaccia di strangolarlo. Con le sue stesse mani, Israele si è legato questa corda intorno al collo quando ha forgiato una “alleanza militare” con la Russia in base alla quale Mosca gli permette di attaccare la Siria come se quest’ultima fosse il suo parco giochi privato.
Israele vede questa libertà d’azione come di suprema importanza militare, poiché Israele cerca di impedire che Hezbollah riceva armi e qualsiasi altro sofisticato equipaggiamento militare che si faccia strada dall’Iran attraverso Damasco fino a Beirut. Senza uno stretto coordinamento con il Cremlino e il contingente delle forze aeree russe di stanza nella base di Khmeimim nel distretto siriano di Latakia, gli aerei israeliani non sarebbero in grado di bloccare questo percorso di armi.
È diventato un assioma che le buone relazioni con la Russia siano una condizione necessaria per la tattica offensiva di Israele, anche se non è chiaro quanto sia stato efficace nel fermare l’approvvigionamento di armi di Hezbollah – specialmente considerando le stime dell’intelligence secondo cui l’organizzazione ha già più di 130.000 missili diretti verso Israele. Israele sperava anche che attaccare gli obiettivi iraniani in Siria avrebbe accelerato l’uscita delle forze iraniane e filo-iraniane che hanno combattuto a fianco del presidente siriano Bashar Assad e ostacolato il radicamento dell’Iran vicino al confine con Israele. Queste giustificazioni sono così profondamente radicate nella mente degli israeliani che non c’è praticamente nessun dibattito pubblico su di esse. È come se questo accordo fosse sempre esistito e continuerà ad esistere per sempre finché Israele continuerà a placare la Russia.
La domanda fondamentale è perché Israele non ha attaccato e distrutto le basi missilistiche di Hezbollah in Libano? Se questi missili, e la paura che diventino più precisi, sono la principale minaccia contro di noi, il Libano dovrebbe essere segnato come obiettivo.
La spiegazione accettata è che a causa dell’equilibrio della deterrenza tra Israele e Hezbollah, qualsiasi attacco israeliano al Libano provocherebbe automaticamente una risposta che potrebbe mettere in pericolo vite israeliane. Al contrario, distruggere i missili in Siria non ha provocato nessuna risposta del genere finora.
Questa è una bella spiegazione, ma contiene un’assurdità intrinseca che è difficile da conciliare. Secondo questo argomento, Israele vuole mantenere l’equilibrio di deterrenza che si è creato tra lui e Hezbollah. Pertanto, cerca solo di evitare che Hezbollah costruisca ulteriormente il suo arsenale. È come se ci fosse una sorta di simmetria tra le Forze di Difesa Israeliane e Hezbollah, e se Hezbollah dovesse violare questa simmetria amplificherebbe la minaccia che l’organizzazione rappresenta per Israele.
Questa dubbia teoria ha concesso alla Russia uno status speciale come protettore della sicurezza israeliana e ora sta esigendo un alto prezzo diplomatico. Israele è stato costretto a correre nella direzione opposta rispetto alla comunità internazionale, che sta boicottando la Russia e imponendo pesanti sanzioni economiche. Di conseguenza, Israele ora sembra ipocrita. Al momento della verità, non oserà nemmeno condannare l’invasione russa con tutto il cuore.
Ci si potrebbe chiedere che diritto ha Israele di predicare la moralità alla Russia? Dopo tutto, è anche una potenza occupante che abusa sistematicamente delle persone sotto il suo controllo.
A questo proposito, un confronto con la Turchia può essere istruttivo. Anche se la Turchia ha occupato Cipro del Nord e attualmente controlla alcune parti della Siria, questi fatti non le hanno impedito di condannare con forza l’invasione dell’Ucraina, di esplorare la possibilità di chiudere gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli alle navi da guerra russe e di firmare la lettera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sostiene l’Ucraina contro la Russia. Questa posizione coraggiosa mette in pericolo la Turchia molto più di quanto una posizione simile avrebbe messo in pericolo Israele.
Israele vede un grande valore nel permesso della Russia di visitare lo spazio aereo siriano. Infatti, Israele evidentemente considera questa tattica militare più preziosa della sua appartenenza alla comunità internazionale, anche se quest’ultima si è impegnata a proteggere l’esistenza di Israele, anche impedendo all’Iran di acquisire armi nucleari. Finora non abbiamo sentito nessun impegno simile da parte della Russia.
In effetti, la posizione di Israele si basa sul presupposto che gli verrà perdonato qualsiasi cosa, perché è l’eterna vittima, accanto alla quale anche l’Ucraina impallidisce. Nel prossimo futuro, crede, sarà di nuovo in grado di mobilitare il sostegno contro l’Iran senza che nessuno tiri fuori come è rimasto in silenzio quando l’esercito del suo alleato ha occupato l’Ucraina”, conclude Bar’el.
Una conclusione amara, per la verità che contiene.
E non solo perché sacrifica agli interessi di parte un umanitarismo che in situazioni di questo genere dovrebbe scattare meccanico in quella che si autodefinisce l’”unica democrazia in Medio Oriente”. Certo, c’è questo. Ma c’è anche dell’altro. Molto altro. C’è l’uso che la calasse dirigente israeliana, quella di destra in particolare, ha sempre fatto dell’Olocausto, mettendo il mondo, e l’Europa in primis, di fronte ad un crimine che non ha eguali nella storia dell’umanità. E su quel (fondato) senso di colpa, Israele ha preteso di essere giustificato, di più, legittimato a opprimere un altro popolo e a comportamenti quali quelli così ben riassunti da Bar’el. Nel sostegno a Putin, perché questo è il segno vero dell’azione del Governo guidato da Naftali Bennett, c’è un credito che Israele prima o poi esigerà dallo Zar. Magari quando deciderà di attaccare l’Iran, o regolare i conti con Hezbollah, o scatenare un’altra guerra a Gaza. Di baratti di questo genere è piena la storia delle relazioni internazionali. I più dotti la chiamano realpolitik. Ma nessuno nel praticare questa politica pretende, neanche gli americani, di vedersi riconosciuta una legittimazione morale nel proprio agire. Nessuno, tranne Israele. Sia chiaro. Nell’affermare questo, non intendo ritirare fuori l’assunto che chi è stato vittima non può, non deve trasformarsi in carnefice. Ma neanche pretendere di usare un tragico passato per rivendicare il diritto all’impunità. O a sacrificare quei bambini ucraini.
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