Moni Ovadia: «L’esilio è la vera condizione di dignità dell’essere umano»

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 Cosa significa, per Moni Ovadia, essere «Un ebreo contro». L’artista, ma anche «musico, teatrante e saltimbanco», lo spiega bene nel volume edito da Edizioni GruppoAbele che sarà presentato al Salone del Libro, domenica 17 ottobre alle 14.15 in Sala Ambra. A leggerlo, in una forma di dialogo sempre illuminante e scorrevole, sembra di averlo accanto, anche grazie alle doti maieutiche di Livio Pepino che lo stimola su argomenti più vari. «Con Livio c’è un rapporto di stima — premette Ovadia —; l’idea del libro è sua e i proventi andranno al Gruppo Abele perché, da sempre, sono solidale con don Ciotti».



Ci può anticipare alcuni dei contenuti?
«Comincerei dal titolo che rappresenta il mio pensiero sulla distorsione dell’etica ebraica rispetto al concetto di sionismo, ovvero quel nazionalismo aggressivo fatto di colonizzazione e vessazione continua del popolo palestinese».

«Nazionalismo: non c’è niente di più stupido». Lo scrive nel suo libro, perché?
«Perché provoca discriminazione e sangue. È nella sua vocazione. Ecco perché, dopo tutto ciò che gli ebrei hanno subito, piuttosto che diventare nazionalista mi possono sparare in testa».

Come si rapporta con ebrei e Israele?



«Lo voglio precisare; io mi sento profondamente ebreo e lo Stato di Israele ha la sua piena legittimità, certo, nel limite dei confini stabiliti con la risoluzione 194 dell’Onu. Ma per esprimere questa ovvietà, sono stato insultato e minacciato. Hanno perfino aperto pagine Facebook che inneggiavano alla mia morte».

Lei parla di «contraddizione dell’etica ebraica». Cosa intende?
«L’etica dello straniero è stata spazzata via da questa deriva fascistoide fomentata da un’educazione razzista, e segregazionista. Ne prendo atto e continuo a fare il mio dovere di militante per i diritti delle minoranze, come sempre nella mia vita».

Ciò contrasta anche con i principi della cultura Yiddish, non trova?
«La cultura Yiddish è stata letteralmente il vertice della spiritualità ebraica. Mai prima e mai dopo sarà possibile raggiungere le vette di splendore umano di quella “nazione dell’esilio” che ha resistito per 1000 anni. Partita come cultura spirituale e religiosa, dalla seconda metà del ‘700 si è laicizzata con risultati clamorosi sul piano culturale, sociale ed etico. Io mi ispiro a quella cultura, a quel tempo e a quel popolo che l’umanità non meritava».

Cosa ne è rimasto?
«In seguito agli shock del nazismo, dell’Europa e infine di Stalin, oggi sopravvive grazie alla trasfigurazione artistica, a cominciare dall’immenso Marc Chagall. Prima i rabbini non erano verdi; i violinisti non erano rosa e gli ebrei non volavano; grazie a lui hanno imparato a librarsi tra terra e cielo».

Esilio. Un concetto che nel suo libro, torna spesso; in cosa l’affascina?
«È la vera condizione di dignità dell’essere umano. Perché ti libera dalla costrizione nazionale e un uomo libero brilla per la sua anima e la sua intelligenza. Gli ebrei in esilio hanno dato il meglio di loro stessi, basti pensare ai “famosi” sei nomi: Abramo, Mosè, Gesù, Marx, Freud, Einstein».

E la politica?
«Nel libro dico che è morta, ma voglio precisare che non lo penso in quanto concetto di “arte al servizio della società per trasformarla in termini di uguaglianza, giustizia e redenzione”. Mi riferisco a quella che dovrei chiamare “partitica”, di quei partiti che si occupano solo degli affari loro».

Come se ne esce?
«Dovrebbero sorgere centinaia di movimenti per scardinare il sistema, porre fine ai mestieranti della politica e poi dare spazio a gente capace».

Come si coniuga, nella pratica, il movimentismo alla professionalità?
«Voglio una scuola di formazione per politici. Vuoi candidarti? Prima dai l’esame e poi ti puoi candidare. Così si bloccherebbero i populisti, perché devono studiare e devono conoscere la nostra costituzione».

E i cittadini?
«C’è gente in giro dall’ignoranza raggelante. Imporrei lo studio della Carta dei Diritti Universali e della Costituzione a cominciare dalle elementari e se non passi quell’esame non puoi andare a votare. Insomma, non voglio un popolo di intellettuali ma di competenti. Chiedo troppo?».

Moni Ovadia: «L’esilio è la vera condizione di dignità dell’essere umano»

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