Fondi verso le colonie illegali di Israele da 672 istituzioni finanziarie internazionali. Anche l'Italia è presente

 


Italia, presente! C’è anche la UniCredit tra le 672 istituzioni finanziarie, gestori patrimoniali, compagnie assicurative e fondi pensione che hanno rapporti con 50 aziende attivamente coinvolte nelle attività degli insediamenti coloniali che Israele, violando la legalità internazionale, ha costruito nei Territori palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est dopo averli occupati militarmente nel 1967. La rivelazione è contenuta in rapporto – che prende in esame il periodo tra gennaio 2018 e maggio 2021 – pubblicato dalla coalizione Don’t Buy into Occupation (DBIO), un progetto congiunto di 25 ong palestinesi, regionali ed europee con sede in Irlanda, Francia, Olanda, Norvegia, Spagna, Belgio e Regno unito.

La pubblicazione è stata diffusa mentre non si attenua lo sdegno per l’assalto lanciato a inizio settimana da dozzine di coloni israeliani mascherati al piccolo (e poverissimo) villaggio palestinese di Khirbat al Mufkara sulle colline a sud di Hebron. I coloni hanno lanciato pietre contro gli abitanti ferendo una ventina di persone, tra cui un bimbo di tre anni che ieri era ancora ricoverato in ospedale. Hanno inoltre danneggiato una decina di auto e cisterne d’acqua. A loro volta i palestinesi hanno risposto lanciando pietre che hanno ferito tre israeliani. «Tutto è cominciato con i coloni che hanno ammazzato alcune pecore di un nostro pastore, non le volevano vicino al loro insediamento», ha raccontato Basel Adraa, un attivista del vicino villaggio di Tuwani «poi (i coloni) hanno raggiunto Khirbat al Mukfara e hanno cominciato a spaccare tutto quello che avevano davanti e a lanciare pietre. Gli abitanti a quel punto si sono difesi ma i soldati giunti poco dopo hanno sparato lacrimogeni solo verso di loro». Al Mufkara è uno dei villaggi nelle colline meridionali di Hebron dove da decenni coloni ed esercito israeliano cercano di sradicare i residenti e di demolire le loro case, spesso delle grotte. Ma i palestinesi resistono nonostante le difficili condizioni di vita: non possono collegarsi alle reti idrica ed elettrica, non possono costruire scuole e centri sanitari e neppure asfaltare o riparare le strade di collegamento con i centri più grandi. L’obiettivo è di cacciarli via e di espandere le colonie, le aree militari e i poligoni di tiro presenti in quella zona.

Nella prefazione al rapporto della coalizione DBIO, Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, scrive che «il coinvolgimento nelle colonie – attraverso investimenti, prestiti bancari, estrazione di risorse, contratti infrastrutturali e attrezzature e accordi di fornitura di prodotti – assicura loro l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per crescere e prosperare». Tra il 2018 e il 2021 istituti di crediti ben noti come BNP Paribas, Deutsche Bank, HSBC, Crédit Agricole e Santander hanno garantito alle 50 aziende coinvolte 114 miliardi di dollari. L’italiana UniCredit, afferma DBIO, ha messo a disposizione 3,58 miliardi di dollari. Fondi che sarebbero serviti per comprare dispositivi di sicurezza volti a controllare la popolazione civile palestinese e a limitarne i movimenti, ad acquistare attrezzature per demolire case palestinesi e i materiali per l’espansione delle colonie. Willem Staes, uno dei redattori del rapporto, ha denunciato che «nonostante la natura illegale degli insediamenti israeliani secondo il diritto internazionale, le istituzioni finanziarie europee continuano a fornire un’ancora di salvezza finanziaria alle società che operano nelle colonie mentre dovrebbero seguire l’esempio di alcune istituzioni norvegesi che hanno interrotto il loro coinvolgimento».

Per il diritto internazionale, gli insediamenti israeliani sulle terre occupate nella guerra del 1967 sono illegali e la loro costruzione costituisce una violazione della Convenzione di Ginevra e un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.




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