Amira Hass: l'attacco dei coloni nelle colline di Hebron è funzionale alla politica israeliana di espulsione dei palestinesi
Traduzione sintesi
Testimonianze terrificanti
Le descrizioni fornite dai testimoni oculari dell'attacco, presumibilmente compiuto da cittadini ebrei israeliani durante la festa di Simhat Torah di martedì contro i residenti del villaggio palestinese di Khirbat al-Mufkara, sono terrificanti.
Basel Adraa, un attivista del vicino villaggio di al-Tuwani, ha scritto che dozzine di uomini mascherati “sono andati di casa in casa, hanno rotto le finestre, hanno fracassato le auto con coltelli e martelli. Una grossa pietra che hanno lanciato, ha colpito alla testa un bambino di 3 anni, Mohammed ora in ospedale. I soldati li hanno protetti con i lacrimogeni. I residenti sono fuggiti. Non posso dimenticare come gli abitanti del villaggio hanno lasciato le loro case, terrorizzati, i bambini urlavano, le donne piangevano, mentre i coloni entravano nei loro soggiorni, posseduti dalla violenza e dall'ira”.
Al-Mufkara resiste
Al-Mufkara è uno dei villaggi rupestri alla periferia della città di Yatta nelle colline meridionali di Hebron, dove per decenni Israele ha cercato di sradicare i residenti e demolire i villaggi. I residenti, a loro volta, hanno mostrato una resistenza eccezionale e sono rimasti. Rifiutano di lasciare le loro case nonostante le difficili condizioni di vita che i divieti israeliani impongono loro: è vietato connettersi alle infrastrutture idriche, vietato connettersi alle infrastrutture elettriche, vietato costruire - comprese cliniche e scuole e campi da gioco. È vietato pavimentare o riparare strade di accesso tra di loro. Tuttavia ci sono molti, per lo più giovani, che se ne vanno proprio a causa di questi divieti draconiani e del modo in cui sono limitate le loro possibilità di crescita.
Il processo ufficiale e governativo per sradicare una popolazione rurale dalle loro case richiede molto tempo e scartoffie: ci sono petizioni all'Alta Corte di Giustizia, appelli, pareri legali, un po' di supervisione internazionale e condanne europee piuttosto deboli. Una minaccia diretta alla vita dei residenti, rappresentata da questo attacco, è un mezzo di espulsione diretta.
Questo e centinaia di altri attacchi avviati dagli ebrei israeliani, interessati agli immobili in Cisgiordania,hanno lo scopo di rendere intollerabile la vita dei palestinesi. A Masafer Yatta, come nel resto del territorio della Cisgiordania, la violenza apparentemente privatizzata dei coloni ,è al servizio della politica ufficiale.
Israele nega il fatto che i villaggi rupestri di Masafer Yatta esistessero anche prima della fondazione dello stato, e certamente prima che conquistasse la Cisgiordania nel 1967. È interessato a cancellare la loro storia e lo stile di vita che esiste lì. L'allevamento di pecore e l'agricoltura modesta e senza irrigazione per i bisogni delle famiglie, sono una parte inseparabile della storia e della geografia palestinese nella regione. I villaggi e le loro estensioni sono un tessuto sociale organico e praticano reciproche interazioni familiari, economiche, sociali e culturali tra loro e la città di Yatta.
La giustificazione legale è il poligano militare
La giustificazione legale per la richiesta israeliana di sradicare i residenti è questa: si trovano nel poligono di tiro 918, destinato alle esercitazioni militari. I residenti di una dozzina di villaggi della regione erano già stati sfrattati dalle loro case alla fine del 1999 dai militari, sulla base dell'accusa che stavano sconfinando in una zona di tiro. Le forze militari hanno confiscato tende, demolito le strutture, confiscato beni mobili. Hanno caricato persone su camion e le hanno scaricate a Yatta. Ehud Barak era all'epoca primo ministro e ministro della difesa.
In risposta all'urgente petizione presentata all'epoca dall'Associazione dei diritti civili in Israele e dall'avvocato Shlomo Lecker, l'Alta Corte ha autorizzato il ritorno delle persone provvisoriamente , ma non ha permesso loro di ricostruire le strutture, collegarsi alle infrastrutture e costruire secondo la crescita naturale e lo sviluppo dei bisogni e delle esigenze del 21° secolo. Di conseguenza, queste comunità palestinesi soffrono da anni delle ondate di demolizioni che l'Amministrazione Civile effettua sulle semplici strutture che costruiscono.
Di recente, i giudici hanno accolto la richiesta del consiglio di Masafer Yatta, rappresentato dall'avvocato Netta Amar-Shiff, e a novembre dovrebbe tenersi un'udienza decisiva contro lo sradicamento dei residenti dai loro villaggi e contro la demolizione dei villaggi.
Circa un anno fa l'Akevot Institute ha trovato un documento dal quale si evince che il definire l' area come poligono di tiro ,avesse lo scopo di bloccare lo sviluppo naturale palestinese nella regione.
Il 12 luglio 1981 l'allora ministro dell'Agricoltura,Ariel Sharon, disse: "Vogliamo proporvi ulteriori aree di addestramento... al confine tra le pendici del Hebron Hills e il deserto della Giudea a causa dell' espansione degli arabi rurali verso il deserto". A seguito dell'incontro, un'area di circa 33.000 dunams fu espropriata.
Documentazione storica
Ci sono più documenti che testimoniano l'età dei villaggi delle grotte , che Amar-Shiff ha presentato ai giudici dell'Alta Corte. Il geografo e geologo ebreo ,Natan Shalem, nato a Salonicco, visitò la regione nel 1931 e scrisse nel suo libro "Il deserto della Giudea" sulle estensioni (khirab) che Yatta aveva nella zona e sull'efficacia delle abitazioni nelle grotte . Fotografie aeree del 1945, un rilievo britannico del 1879 e una mappa fisica del 1933 ,citate in vari pareri professionali presentati alla corte, testimoniano anche l'esistenza di queste comunità alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX secolo. .
Mahmoud Hamamda è nato nel 1965 in una grotta nel villaggio di al-Mufkara, che ancora oggi funge da residenza. A febbraio ha detto ad Haaretz: “Era la grotta di mio padre e prima ancora di suo padre. C'erano 22 antiche grotte qui. Mio fratello ed io abbiamo studiato nella scuola di Yatta perché mia nonna viveva lì, vicino alla scuola. Partivamo la mattina a piedi e tornavamo la sera. Quando pioveva, dormivamo a casa sua».
Durante lo sgombero del 1999, aveva 34 anni. Nell'attacco di martedì, lui e uno dei suoi nipoti sono rimasti feriti. Come ha scritto in tempo reale il giornalista della rivista online Siha Mekomit, Yuval Abraham: “Una pietra ha colpito la testa di un bambino di tre anni, Mohammed, che è stato portato in ospedale, e ora è lì. Ha una frattura al cranio, un'emorragia interna e domani sarà operato. Sul pavimento della sua casa rimane una macchia di sangue. Era a casa quando gli uomini mascherati hanno attaccato con le pietre. Suo nonno è qui con noi, sta morendo di preoccupazione, anche lui ferito».
Perchè le autorità non bloccano i coloni . La rispostta
Ci sono israeliani che si chiedono perché le autorità incaricate dell'applicazione della legge, come l'esercito e la polizia, e l'Amministrazione Civile – un altro organismo governativo che opera in Cisgiordania – non stiano bloccando i coloni violenti e non stiano prevenendo gli attacchi violenti contro gli abitanti dei villaggi palestinesi, effettuati anche in pieno giorno e davanti alle telecamere. Una delle risposte è che tali istituzioni stanno attuando la politica del governo israeliano di sfrattare i residenti palestinesi dall' Area C e di espandere gli insediamenti.
I soldati che hanno sparato sui residenti palestinesi percè volevano difendersi dai loro aggressori, i soldati che quasi due settimane fa hanno attaccato gli attivisti di Combatants for Peac, solo perché volevano portare l'acqua a una famiglia di al-Mufkara, hanno interiorizzato ,durante il loro servizio,il messaggio ufficiale e governativo : la terra non appartiene a nessuno , i palestinesi residenti lì sono un surplus ridondante che deve essere sradicato. Anche se questa è una totale violazione del diritto internazionale.
Settler Attack in Hebron Hills Serves the Israeli Policy of Palestinian Eviction
Israel has been trying to uproot the residents of the caves of the Hebron Hills for years by declaring it a military zone. Tuesday’s attack is another attempt to drive them out
Amira Hass
29.9.2021
The descriptions given by eyewitnesses of the attack allegedly carried out by Jewish Israeli citizens on Tuesday’s Simhat Torah holiday against the residents of the Palestinian village of Khirbat al-Mufkara are horrifying.
Basel Adraa, an activist from the nearby village of al-Tuwani, wrote that dozens of masked men “went from house to house, and broke windows, smashed cars with knives and hammers. A large stone they threw hit a 3-year-old boy, Mohammed, in the head, who is now in the hospital. The soldiers supported them with tear gas. The residents fled. I can’t forget how the villagers left their houses, terrified, the children screaming, the women crying, while the settlers entered their living rooms, like they were possessed with violence and wrath.”
Al-Mufkara is one of the cave villages on the outskirts of the city of Yatta in the southern Hebron Hills, where for decades Israel has tried to uproot the residents and demolish the villages. The residents, in turn, have shown supreme stamina and endurance, and have remained. They refuse to leave their homes in spite of the difficult living conditions that the Israeli prohibitions force on them: They are forbidden to connect to the water infrastructure, forbidden to connect to the electricity infrastructure, forbidden to build – including clinics and schools and playgrounds. It is forbidden to pave or repair access roads between them. Nonetheless, there are many, mostly young people, who leave exactly because of these draconian prohibitions and the way they limit their possibilities to develop.
The official, governmental process of uprooting a rural population from their houses takes lots of time and paperwork: There are petitions to the High Court of Justice, appeals, legal opinions, a little bit of international oversight and rather weak European condemnations. But a direct threat to the lives of the residents, which was represented by this attack, is a means of direct expulsion. This and hundreds of other attacks initiated by the Jewish Israelis interested in the West Bank real estate are meant to expedite the process of making Palestinian life intolerable. In Masafer Yatta, as in the rest of the territory of the West Bank, the seemingly privatized violence of the settlers serves the official policy.
Israel denies the fact that the cave villages of Masafer Yatta existed even before the founding of the state, and certainly before it conquered the West Bank in 1967. It is interested in erasing the history of those helmets’ development from caves to above-ground structures. It also seeks to erase the lifestyle that exists there. The sheep herding and modest, unirrigated farming for household needs are an inseparable part of the Palestinian history and geography in the region. The villages and their extensions are an organic social fabric and they practice longstanding mutual family, economic, social and cultural interactions between themselves and the city of Yatta.
The legal justification for the Israeli demand to uproot the residents is that they are located in Firing Range 918, which is intended for military exercises. The residents of some dozen villages in the region were already evicted from their homes at the end of 1999 by the military, based on the claim that they were trespassing on a firing zone. Military forces confiscated tents, demolished the structures, confiscated movable goods, put people on trucks and dropped them off in Yatta. Ehud Barak was prime minister and defense minister at the time.
In response to the urgent petition filed at the time by the Association of Civil rights in Israel and attorney Shlomo Lecker, the High Court allowed the return of the people in an interim order, but did not allow them to rebuild the structures, connect to infrastructure and build according to the natural growth and development of the needs and requirements of the 21st century. As a result, these Palestinian communities have been suffering from waves of demolitions for years that the Civil Administration carries out on the simple structures that they build.
The second incarnation of these petitions – from 2013 – is still waiting for the justices’ ruling. Recently, the justices agreed to the request from the Masafer Yatta council, represented by attorney Netta Amar-Shiff, to join the legal proceeding as a friend of the court. A decisive hearing on the case against the uprooting of the residents from their villages and against the demolition of the villages is supposed to be held in November.
About a year ago, the Akevot Institute found a document that proves that the government’s declaration of the area as a firing range was intended to block natural Palestinian development in the region. In the meeting of the joint committee for settlement of the government and the World Zionist Organization on July 12, 1981, then-Agriculture Minister Ariel Sharon said: “We want to propose to you additional training areas … on the border between the slopes of the Hebron Hills and the Judean Desert.” Sharon explained that the government showed interest in a military presence in these areas because of the “expansion of the rural Arabs of the hills on the mountain ridge toward the desert.” As a result of the meeting, an area of about 33,000 dunams (8,250 acres) – the public and agricultural space of the communities of Masafer Yatta – was declared a military zone.
There are more documents that testify to the age of the cave villages, which Amar-Shiff submitted for the information of the High Court justices. The Jewish geographer and geologist Natan Shalem, who was born in Salonika, visited the region back in 1931 and wrote in his book “The Judean Desert” on the extensions (khirab) that Yatta has in the area and the effectiveness of the cave dwellings. Aerial photographs from 1945, a British survey from 1879 and a physical map from 1933 that are mentioned in various professional opinions submitted to the court also testify to the existence of these communities back at the end of the 19th century and the beginning of the 20th century.
Mahmoud Hamamda was born in 1965 in a cave in the village of al-Mufkara, which serves to this day as a residence. In February he told Haaretz: “It was my father’s cave and his father’s before that. There were 22 ancient caves here. My brother and I studied in the school in Yatta because my grandmother lived there, near the school. We would leave in the morning on foot and return in the evening. When it rained, we slept at her house.”
During the eviction in 1999, he was 34. In Tuesday’s attack, he and one of his grandchildren were injured. As the journalist from the online magazine Siha Mekomit, Yuval Abraham, wrote in real time: “One stone hit the head of a three year old child, Mohammed, who was taken to the hospital, and he is there now. He has a fracture of his skull, internal bleeding, and tomorrow he will undergo an operation. On the floor of his house, a bloodstain remains. He was at home when the masked men attacked with stones. His grandfather is with us here, dying of worry, also injured.”
There are Israelis who are wondering why the law enforcing authorities, such as the military and the police, and the Civil Administration – another governmental body that operates in the West Bank – are not blocking violent settlers and are not preventing violent attacks against Palestinian villagers, even in broad daylight and in front of cameras. One of the answers is that such institutions are implementing the Israeli government’s policy of evicting the Palestinian residents of what is called Area C and expanding the settlements.
On Tuesday, the soldiers who fired on the Palestinian residents who wanted to defend themselves from their attackers, and the soldiers who attacked the activists of Combatants for Peace almost two weeks ago just because they wanted to bring water to a family in al-Mufkara, internalize during their service the official, governmental message. That is, that the land belongs to no one and that the Palestinian residents there are a redundant surplus which must be uprooted – a possible and profitable act. Even though this is an outright violation of international law.
Commenti
Posta un commento