Mahmoud Soliman :Il sorriso come atto di resistenza nella Palestina occupata
I palestinesi che vivono nella Palestina occupata hanno subito pulizia etnica e sfollamenti forzati dai loro villaggi per più di sette decenni. Tutto questo è stato perseguito attraverso demolizioni di case, restrizioni di movimento, coprifuoco, arresti e detenzioni arbitrarie, confische di terre e la negazione dell’accesso all’acqua, all’elettricità, alla salute e all’istruzione. Eppure i palestinesi hanno resistito con l’obiettivo di ricostruire le case distrutte, porre fine all’occupazione israeliana e riconquistare finalmente la loro libertà.
Nell’aprile 2021, una nuova ondata di rivolte è iniziata contro lo sfratto di 28 famiglie palestinesi (circa 500 residenti) nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Durante gli avvenimenti, alcune riprese in cui giovani palestinesi venivano picchiati e umiliati prima di essere ammanettati dai soldati israeliani sono diventate virali sui social media. Si può solo immaginare la miserabile angoscia dopo un trattamento così disumanizzante. Eppure, con sorpresa dei soldati israeliani e del mondo, i giovani detenuti palestinesi hanno risposto alle oscenità con dei bellissimi sorrisi, interrompendo l’apparato di intimidazione di Israele.
Una di queste foto ha catturato l’arresto di Meryam Afifi, una giovane donna palestinese che vive a Sheikh Jarrah. La sua famiglia è una delle 28 minacciate di sfratto. Durante un’intervista con Afifi, pochi giorni dopo il suo rilascio, ha detto:
Mi hanno arrestato mentre cercavo di proteggere il mio amico… il soldato mi ha provocato quando mi ha detto: “Ora voglio vedere cosa sai fare”. Come se mi dicesse: “Ti ho sconfitto e non puoi farci niente. Sei impotente”. In quel momento ho sorriso. In quel momento ho sentito la vittoria. Era chiaro che era stato sconfitto nel momento in cui si è infuriato. Poi, il sorriso si è diffuso tra i giovani e l’esercito ha iniziato a coprire i volti dei detenuti per impedire [ai fotografi] di catturare i loro sorrisi.
Alcuni spettatori, specialmente quelli pro-Israele, percepiscono i sorrisi dei detenuti come un’espressione di noncuranza per la loro situazione. Nulla di più sbagliato. Guardando attraverso una lente stretta la situazione dei palestinesi, questa audience non capisce il contesto in cui si svolge la vita quotidiana degli abitanti di Gerusalemme, sotto l’occupazione israeliana. I palestinesi, quindi, hanno spiegato attraverso discorsi, conversazioni e testimonianze postate sui social media che sorridere durante l’arresto può trasmettere tanti messaggi diversi ed è un potente atto di resistenza.
LA STORIA DI SHEIKH JARRAH
I membri delle 28 famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah sono rifugiati espulsi dalle loro case nel 1948. Vivono a Sheikh Jarrah dal 1956. A quel tempo, fu fatto un accordo tra il ministero giordano dell’Edilizia e dello Sviluppo e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), il quale stabiliva che il governo giordano fornisse la terra mentre l’UNRWA avrebbe coperto i costi di costruzione degli alloggi. Ma il dominio giordano della Cisgiordania durò solo fino al 1967, quando Israele la conquistò. Nel 1972, due organizzazioni di coloni israeliani rivendicarono la proprietà della terra e a questo punto iniziò la battaglia delle famiglie all’interno dei tribunali penali di Israele per impedire l’espulsione dalle loro case.
Nel 2008, le autorità israeliane hanno sfrattato la prima famiglia palestinese da Sheikh Jarrah. Da allora, i residenti hanno organizzato diverse forme di resistenza nonviolenta, tra cui sit-in e azioni collettive. Nel frattempo, le autorità di occupazione israeliane hanno iniziato a intensificare il processo di annessione delle terre e la costruzione di insediamenti in tutta la parte occupata della Palestina. Nell’aprile 2021, Israele ha costruito, in una sola settimana, un insediamento composto da più di 20 unità abitative per 50 famiglie di coloni nel villaggio di Beita, a sud della città di Nablus. Con il sostegno di molti attivisti, i residenti di Beita hanno organizzato una campagna di resistenza continua per riprendersi la loro terra. Nello stesso periodo, Israele ha intensificato le demolizioni di case e i furti nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est, e anche in quella occasione i residenti hanno condotto una campagna di resistenza.
Le azioni di Israele hanno rafforzato la mobilitazione dei palestinesi a Gerusalemme e altrove nella Palestina storica. I palestinesi interpretano lo sfratto delle famiglie come un ulteriore atto di pulizia etnica che perpetua la loro Nakba (catastrofe), e le proteste si sono diffuse nella città vecchia di Gerusalemme, in Cisgiordania e nella stessa Israele, coinvolgendo decine di migliaia di palestinesi.
Le forze di occupazione israeliane hanno brutalmente soppresso queste proteste non violente. Per reprimere i manifestanti e privare i palestinesi del loro spirito di resistenza, le campagne di detenzione sono tra gli strumenti più efficaci. Durante il mese di Ramadan, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato più di 400 partecipanti per impedire loro di organizzare proteste e sit-in nelle piazze della Città Vecchia di Gerusalemme, come la piazza della Porta di Damasco.
GIOVANI SOTTO OCCUPAZIONE
I giovani palestinesi di oggi sono nati sotto l’occupazione israeliana. Hanno vissuto sulla loro pelle la quotidiana oppressione sistematica e le discriminazioni. Hanno costruito le loro case, e, se vogliono trasferirsi, sono obbligati dalle autorità israeliane a demolirle, altrimenti sono costretti a pagare il governo israeliano quando Israele le demolisce con la forza. Sono cresciuti agli arresti domiciliari; da bambini, all’età inferiore di 12 anni, non avevano il permesso di andare a scuola e rischiavano l’arresto se ci provavano. La quotidianità degli abitanti di Gerusalemme è difficile, anche solo da immaginare, per chi non la vive.
Lo spirito della gioventù di Gerusalemme può essere riassunto dalle parole di un palestinese di mezza età che, frapponendosi tra un soldato israeliano e un giovane, si è rivolto al primo: “Senti, tu non conosci la gioventù di Gerusalemme, forse vieni da un’altra città per servire qui. Qui, ai giovani non importa se li arrestate. Rideranno se li arrestate. Ti consiglio di lasciare la città e di non provocare”.
Per incoraggiare la mobilitazione locale, nazionale e internazionale ed elevare la copertura mediatica della loro lotta, i giovani palestinesi stanno usando una serie di tattiche creative. Sorridere è una tattica creativa che trasferisce il potere dall’oppressore all’oppresso in modi che il primo non può semplicemente ignorare. Sorridere aumenta l’efficacia di qualsiasi rifiuto di cooperare con le autorità di occupazione israeliane e sostiene azioni positive che aiutano a costruire alternative. Come mi ha spiegato un giovane detenuto: “L’esercito vuole farci sentire soli e colpevoli. Sorridendo sfidiamo l’esercito, e questa è resistenza”.
Sorridere durante un arresto è dimostrazione di grande coraggio. Lo scopo della detenzione è quello di spaventare i partecipanti, punirli per il loro coinvolgimento nelle manifestazioni o nei sit-in e impedire loro di prendere parte a qualsiasi nuova protesta. In passato, si diceva ai detenuti: “Non preoccupatevi, siate forti”. Ma in quest’ultima rivolta, ai detenuti viene ricordato di sorridere. Incoraggiandoli a sorridere, viene detto a chi è affranto dal terrore e dal dolore, “Non abbiate paura”. Pertanto, il sorriso è diventato una nuova norma per i detenuti; e viene ricordato a tutti coloro che se ne dimenticano, facendo in modo che impavidità e coraggio diventino collettivi.
Il sorriso rientra nella cultura della resistenza degli abitanti di Sheikh Jarrah, dove l’occupazione e la repressione dei coloni ha reso la vita quotidiana insostenibile. Come ha spiegato Mariam Afifi ai giornalisti: “Ho sorriso mentre ero in arresto per mostrare all’esercito che non ho paura e non sono stata sconfitta, nonostante l’oppressione usata contro di me. Quando sorridiamo l’esercito si imprigiona e noi ribaltiamo l’equilibrio del potere”.
Come residente in Cisgiordania, io stesso sono stato detenuto molte volte ma non sono mai riuscito a sorridere. Sorridere durante la detenzione richiede un coraggio e una forza interiore grande quanto la gioventù di Gerusalemme. Esprime l’importante messaggio che gli attivisti non hanno paura e che la detenzione non è riuscita a intimidirli.
CAMBIARE L’IMMAGINE DEI DETENUTI PALESTINESI
Sorridere durante il momento dell’arresto trasmette vari messaggi – uno specificamente diretto ai media. Gli attivisti stanno cercando di cambiare l’immagine che spesso ritrae i palestinesi con volti abbattuti e occhi bassi. Sebbene i media locali palestinesi mostrano frequentemente la brutalità dell’occupazione israeliana e l’illegalità delle sue politiche, questo tipo di raffigurazione perpetua il ruolo dei palestinesi come vittime. Nel frattempo, i media israeliani ignorano la resistenza nonviolenta palestinese e rappresentano i palestinesi come violenti, al fine di prevenire il tipo di solidarietà israeliana che si è verificata durante la Prima Intifada. I media mainstream internazionali generalmente ignorano l’oppressione israeliana e rappresentano i palestinesi come persone violente, povere e arrabbiate.
Smiling ha sfidato queste rappresentazioni nei media locali, israeliani e internazionali, plasmando una nuova immagine della gioventù palestinese e creando un cambiamento nell’opinione internazionale e israeliana. Due giovani palestinesi di Sheikh Jarrah, i gemelli Mohammed e Muna El Kurd, sono stati intervistati molte volte dai media mainstream occidentali, come CNN e BBC.
La preoccupazione per il fenomeno del sorriso sta crescendo tra le forze di occupazione israeliane. Molti attivisti sono stati interrogati dopo aver sorriso mentre venivano arrestati. La preoccupazione di Israele è di mantenere la sua immagine nel mondo come un paese potente con uno dei più forti eserciti del Medio Oriente.
Sorridere trasmette anche un messaggio alle famiglie di Sheikh Jarrah che i detenuti stanno bene. Le politiche coloniali israeliane hanno a lungo cercato di smantellare l’identità collettiva e l’indigenità degli abitanti di Gerusalemme, frammentando e isolando il popolo attraverso posti di blocco, restrizioni e piazzando nuovi coloni a Sheikh Jarrah che attaccano le famiglie palestinesi locali. Ogni palestinese deve avere un telefono cellulare per rimanere in contatto con le proprie famiglie perché una volta lasciata casa si rischia di non tornarci più. I genitori sono sempre preoccupati per i loro figli, anche quando vanno a scuola.
Quando le forze israeliane arrestano un giovane, lo isolano e gli impediscono di contattare la sua famiglia, con lo scopo di aumentare la paura dei familiari su ciò che gli accadrà. Quando avevo 18 anni e sono stato arrestato per la prima volta, mio padre ha dormito tre notti davanti alla prigione, aspettando di vedere qualsiasi prigioniero rilasciato per chiedere loro se mi avevano visto o sentito parlare di me. I primi momenti dell’arresto sono i più difficili per la famiglia, perché la vita dei detenuti è incerta. Come spiega un giovane: “[Sorridere] era un messaggio per la mia famiglia: sto bene e sono forte. Quando sono stato detenuto e ho visto tutti gli attivisti che mi guardavano, ho pensato che il modo migliore per comunicare con loro e per dire loro che sto bene è sorridere, perché sapevo che i soldati mi avrebbero picchiato se avessi parlato”.
I residenti di Sheikh Jarrah si conoscono da decenni. Hanno forti legami sociali e ogni sera si riuniscono nei cortili per mangiare insieme. Il sorriso rappresenta la solidarietà che li unisce e li fa sentire protetti.
L’AMORE PER LA VITA E LA LOTTA PER LA LIBERAZIONE
Il sorriso è di solito un’espressione di felicità, un modo per le persone di trasmettere la loro gioia in un preciso momento. Ma in tempi difficili, sorridere è anche un modo potente per trasmettere messaggi contraddittori. I detenuti palestinesi di Gerusalemme hanno trasformato il sorriso in un atto di resistenza. In queste situazioni, ci si aspetta che i detenuti siano confusi, spaventati e tristi. Eppure, loro sono capaci di preservare il loro orgoglio anche nei momenti più bui.
A volte un sorriso da solo può ottenere una vittoria. I sorrisi degli attivisti palestinesi distruggono l’immagine dell’occupazione e scuotono i suoi agenti dall’interno. Questo spiega perché l’esercito di occupazione israeliano cerca di coprire i loro volti in modo che i loro sorrisi non incoraggino gli altri o siano catturati dalle telecamere. Come ha riassunto un attivista durante un incontro:
“Il mio sorriso era una risposta e una presa in giro del mio arresto… Quando siamo afflitti dal dolore, come esseri umani dovremmo piangere e questo è un segno di sconfitta di fronte ai soldati israeliani. Ma quello che facciamo noi è esattamente il contrario. Voi mirate a spezzarci, ma noi ci facciamo beffe del vostro sistema, tanto da farlo apparire inutile, inefficace… e i soldati che trascinano una persona sorridente sembrano così stupidi.”
Il governo israeliano ha mantenuto la sua supremazia militare dotando il suo esercito di armi moderne, comprese le armi di distruzione di massa. Ma la sua supremazia militare non è in grado di contrastare il sorriso della resistenza e della speranza. Come mi ha detto un altro attivista: “Il nostro sorriso batte la loro brutalità”.
Molti gruppi che non conoscono questo contesto storico e la cultura palestinese pensano che i palestinesi debbano essere arrabbiati – come se la felicità non fosse pensata per i palestinesi e ciò che si adatta ai popoli oppressi è la rabbia e la tristezza. L’ho sperimentato quando degli internazionali hanno visitato il mio villaggio e hanno partecipato alle nostre manifestazioni contro il muro di separazione. Alcuni di loro hanno iniziato a piangere di fronte alla violenza dei soldati israeliani; altri si sono subito arrabbiati e hanno iniziato a urlare contro i soldati. Sono stati ispirati dal modo in cui i palestinesi amano la vita e rubano un sorriso in mezzo al buio.
Questa passione per la vita e la speranza per il futuro si riflette nella letteratura palestinese, ad esempio nella poesia di Mahmoud Darwish:
Amiamo la vita ogni volta che possiamo.Rubiamo un filo da un baco da seta per tessere un cielo e un recinto per il nostro viaggio.
Nei sorrisi dei giovani di Sheihk Jarrah si riflette una visione felice per il futuro della generazione palestinese che ama la vita e lotta per la propria liberazione. I loro sorrisi rappresentano il fallimento dell’occupazione.
Mahmoud Soliman
Mahmoud Soliman è un attivista nonviolento e accademico palestinese. Ha oltre 15 anni di esperienza nell’organizzazione di campagne nonviolente ed è un membro fondatore del Popular Struggle Coordination Committee. Mahmoud è un membro affiliato della facoltà di sociologia dell’UMass Amherst. Il suo dottorato si è concentrato sulla mobilitazione della società palestinese verso la resistenza nonviolenta dal 2004-2014.
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