In ricordo di Vittorio Arrigoni : testimonianze di Misna, Ramzy Baroud , Paola Caridi , Ebrei contro l'occupazione (prima parte)
scintille di luce e lotta popolare non violenta
1 MISNA
In ricordo
dell’attivista italiano Vittorio Arrigoni, rapito e ucciso a Gaza ieri, alcuni
articoli dell’archivio MISNA che lo riguardano. Il primo risale all’agosto
2008, quando Arrigoni stava organizzando il suo primo viaggio in barca per
rompere l’assedio israeliano di Gaza. Quindi il racconto di una delle tante
limitazioni di cui sono vittima i palestinesi, in questo caso l’impossibilità
di poter pescare. Infine, una delle testimonianze rilasciate alla nostra
agenzia durante i giorni dell’operazione israeliana ‘Piombo fuso’ che tra
dicembre 2008 e gennaio 2009 causò oltre 1400 vittime civili a Gaza.
Cipro, agosto 2008
‘LIBERTY’ E ‘FREE
GAZA’ PRONTE A SALPARE CONTRO L’ASSEDIO
“Siamo tutti convinti
sostenitori dei diritti umani, frustrati dalla passività della comunità
internazionale nei confronti delle continue violazioni israeliane sul popolo
palestinese”: Vittorio Arrigoni, l’unico italiano a bordo delle due navi che
salperanno nei prossimi giorni da Cipro per Gaza, presenta così alla MISNA gli
‘equipaggi’ di ‘Liberty’ e ‘Free Gaza, che cercheranno di rompere l’isolamento
imposto sulla Striscia, da oltre un anno, dalle autorità israeliane. “Le navi
stanno facendo rotta verso Cipro, da dove partiranno sabato mattina per una
traversata di circa 24 ore verso la Striscia di Gaza” racconta Arrigoni
rivelando che tra i partecipanti all’iniziativa, sostenuta dalla Mezzaluna
rossa palestinese, dai premi Nobel Jimmy Carter e Desmond Tutu, dalla
vicepresidente dell’Europarlamento, Luisa Morgantini, e dalle associazioni Pax
Christi, Libera, Assopace “c’è un po’ di tensione, soprattutto perché non
sappiamo come gli israeliani, che pattugliano le acque al largo del territorio
palestinese reagiranno al nostro avvicinamento”Nonostante il cosiddetto
‘disimpegno’ del 2005, il ritiro delle truppe e degli insediamenti israeliani
dalla Striscia, deciso dall’allora primo ministro Ariel Sharon, gli israeliani
non hanno mai smesso di controllare lo spazio aereo e di pattugliare le coste
della Striscia, imponendo un limite di distanza massima consentita di 11
chilometri alle imbarcazioni di pesca provenienti dal territorio palestinese.
“Abbiamo tutto il diritto di fare quello che stiamo facendo, visto che le
nostre imbarcazioni navigheranno in acque internazionali, su cui Israele non ha
alcun diritto di sovranità” aggiunge Arrigoni, ricordando che “la prima cosa
che faremo, una volta riusciti ad attraccare, sarà condurre i pescatori
palestinesi al largo e aiutarli a pescare con le nostre reti, visto che il
porto di Gaza è chiuso dal 1967 e Israele non gli consente di allontanarsi a
più di un miglio dalla costa”. Obiettivo dell’impresa, non è solo quello di
entrare a Gaza, ma “rompere il blocco e creare un transito tra Cipro e la
Striscia che consenta l’ingresso ad operatori umanitari e aiuti – aggiunge
Arrigoni – perché se assistiamo impotenti alle catastrofi naturali che uccidono
ogni anno migliaia di persone, non siamo costretti ad assistere a una
catastrofe umanitaria come quella che a Gaza coinvolge un milione e mezzo di
palestinesi”. [AdL]
Striscia di Gaza, 1
dicembre 2008
ANCHE PESCARE CON
L’ASSEDIO È UN REATO DA PUNIRE
“Sul ponte di una nave
da guerra israeliana: 15 pescatori palestinesi della Striscia di Gaza costretti
in mutande a stare in ginocchio, incappucciati, mani legate dietro le spalle,
catene alle caviglie; così per 50 chilometri fino al primo porto israeliano e
al carcere”. È stata questa, nel racconto fatto alla MISNA dall’attivista
italiano per i diritti umani Vittorio Arrigoni, la prima punizione inflitta a
un gruppo di pescatori che a bordo di tre pescherecci era stato bloccato il 18
novembre scorso al largo della Striscia di Gaza; in quell’occasione Arrigoni,
insieme ad altri due stranieri, l’americana Darlene Wallach e lo scozzese
Andrew Muncie, si trovavano a bordo dei pescherecci e dopo qualche giorno di
detenzione erano stati espulsi. “Io ero finito in acqua colpito dalla scarica
di una ‘taser’, una pistola a scarica elettrica in mano a un soldato
israeliano. Poi noi stranieri siamo stati portati sotto coperta, ai pescatori
palestinesi è invece toccata la sorte peggiore: nudi, incatenati per 50
chilometri ed esposti al vento gelido di questa stagione. Ma che è
avvenuto, da quelle parti, è purtroppo la prassi; lo testimoniano anche le
tante cicatrici di questi pescatori, segnati da anni di colpi di cannone,
mitragliate e abusi che non sempre si riesce a evitare”.
Arrigoni si trovava a
Gaza da agosto quando era riuscito a violare l’assedio imposto anche via mare
alla Striscia di Gaza dall’esercito israeliano; a bordo di una imbarcazione e
insieme ad altri attivisti, era partito dal porto cipriota di Larnaca riuscendo
infine a sbarcare a Gaza con un carico di medicinali e aiuti umanitari
destinati alla popolazione. “Da allora – ha detto ancora alla MISNA – abbiamo
cominciato a ‘scortare’ i pescherecci palestinesi oltre il limite di 6 miglia
imposto dagli israeliani contro ogni norma internazionale; così, ognuno di noi,
di giorno in giorno, saliva su un peschereccio, manifestava la sua presenza a
bordo con comunicazioni radio alle quali gli israeliani non rispondevano mai, e
consentiva ai pescatori di andare un po’più al largo dove i banchi di pesce
sono più ricchi; il giorno che ci hanno catturato stavamo comunque ben dentro
le sei miglia e ci trovavamo più vicini al confine egiziano che a quello
israeliano”. In circa tre mesi di attività, in base alle tabelle compilate dai
capitani dei pescherecci, nelle reti è finita in media una quantità di pesce
superiore di 10, 15 volte quella del periodo precedente e vicina ai livelli
pre-assedio. “Non tutti lo dicono – ha concluso Arrigoni – ma gli israeliani
hanno distrutto i sistemi di depurazione delle acque fognarie di Gaza, di
conseguenza in prossimità della costa l’acqua è molto inquinata; i banchi di
pesce si trovano più al largo, impedire ai pescatori di andare significa
bloccare un settore dell’economia che sostiene migliaia di famiglie”. [GB]
Striscia di Gaza, 12
gennaio 2009
TESTIMIONIANZA DAL
FRONTE: “SIAMO IN UNA TRAPPOLA MORTALE”
“Uomini di Hamas negli
scantinati degli ospedali e nelle scuole? Sono più che sicuro che nessuno tra i
combattenti palestinesi si sta nascondendo mettendo a rischio i civili, perché
conosco gli ospedali e ho visto ambulanze che nemmeno raccolgono i feriti di
Hamas se non sono in gravi condizioni, proprio per evitare potenziali
rappresaglie degli israeliani che dall’alto vedono e controllano tutto”:
Vittorio Arrigoni, attivista italiano per i diritti umani che ha deciso di
rimanere a Gaza anche dopo l’inizio dell’operazione ‘Piombo fuso’, racconta
alla MISNA gli ultimi sviluppi dell’offensiva israeliana e smentisce la tesi di
Tel Aviv secondo la quale i combattenti palestinesi si nascondano in strutture
sanitarie e civili. L’aspetto che secondo Arrigoni non emerge in tutta la sua
drammaticità all’esterno sono le condizioni in cui è costretto a vivere il
milione e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza.
“Qui manca tutto – continua – dal gas, all’elettricità, al pane, all’acqua. Si va avanti come si può e non bastano certo i camion dell’Onu autorizzati da Israele a trasportare aiuti fin dentro Gaza”. La Striscia, continua l’attivista italiano, è diventata una trappola mortale con migliaia di sfollati che non sanno dove andare: “Sono profughi figli di profughi, li ho visti lasciare il campo di Jabaliya per andare da parenti o nelle scuole e poi essere costretti ancora a spostarsi perché un volantino avvertiva che il posto dove avevano trovato riparo poteva essere un obiettivo. In giro vedo facce disperate, ma anche bambini da soli che hanno perso i genitori; negli ospedali vedo sfortunati che hanno perso braccia, gambe e che saranno costretti a una vita da disabile. Questa è Gaza, adesso”. [GBARRIGONI (3): DALL’ARCHIVIO DELLA MISNA
Ramzy Baroud :RESTIAMO UMANI: L’EREDITÀ DI VITTORIO ARRIGONI
Il corpo di Arrigoni è
stato trovato in una casa abbandonata alcune ore dopo che era stato rapito. I
suoi assassini non hanno onorato nemmeno l’ultimatum di 30 ore che essi stessi
avevano fissato. Il gruppo, noto come ‘Tawhid e Jihad’, è uno dei gruppi
marginali noti a Gaza come salafiti. Essi riemergono con diverse sigle e
denominazioni, per scopi specifici – spesso sanguinosi.
“L’assassinio ha provocato dolore a Gaza, ma anche disperazione”, si legge
in un editoriale apparso il 16 aprile sul britannico Independent. “Non solo
Arrigoni era conosciuto e benvoluto laggiù, ma a nessuno è sfuggito che questo
sequestro è stato il primo dopo quello del giornalista della BBC Alan Johnson
nel 2007″.Tuttavia i rapitori di Johnson, il cosiddetto Esercito dell’Islam (un
piccolo gruppo di fanatici affiliati a un clan di Gaza), tennero il loro
ostaggio per 114 giorni. Ci fu tutto il tempo per organizzarsi ed esercitare
pressioni sui criminali affinché lo liberassero. Nel caso di Arrigoni, solo
poche ore sono trascorse tra l’uscita di un raccapricciante video che mostrava
l’attivista bendato e livido, e il ritrovamento del suo corpo senza vita. Il
referto legale afferma che è stato strangolato. I suoi amici hanno detto che è
stato torturatoNell’elenco di Pipes, tuttavia, non troverebbero spazio nomi
come Rachel Corrie, Tom Hurndall e James Miller, perché queste persone sono
state uccise tutte dalle forze israeliane. Pipes ha anche fatto a meno di
menzionare i nove attivisti turchi assassinati a bordo della Mavi Marmara che
si apprestava a rompere l’assedio a Gaza nel maggio 2010, e i nove attivisti a
bordo della Irene (l’imbarcazione ebraica diretta a Gaza) che sono stati
intercettati, sequestrati e umiliati da truppe israeliane prima di essere
deportati fuori dal paese nel settembre 2010. L’ottantaduenne Reuben
Moscowitz, un sopravvissuto all’Olocausto, era uno degli attivisti a bordo
della Irene, come Lillian Rosengarten, un’americana “sfuggita ai nazisti da
bambina a Francoforte”, secondo un blog del New York Times.Le persone di cui
Pipes non è riuscito a parlare rappresentano veramente un miraggio di umanità.
Uomini e donne di tutte le età, razze e nazionalità sono stati e continueranno
a stare al fianco dei palestinesi. Ma questa storia è stata selettivamente
ignorata da pseudo-intellettuali pronti ad accantonare l’umanità pur di
sostenere Israele. Essi si rifiutano di vedere i modelli che hanno di fronte,
perché sono troppo impegnati ad inventare i loro.
Scrivendo sul Guardian da Roma, il 15 aprile, John Hooper ha affermato: “la
vita di Arrigoni era tutt’altro che al sicuro. Nel settembre 2008 fu ferito
(dalle truppe israeliane) mentre accompagnava i pescatori palestinesi in mare.
Due anni fa ha ricevuto una minaccia di morte da un sito web americano di
estrema destra che ha fornito a qualsiasi eventuale aspirante killer una foto e
dettagli per distinguere i suoi tratti fisici, come un tatuaggio sulla spalla”.Il
gruppo che ha assassinato Arrigoni, come altri del suo genere, è emerso per
compiere uno specifico episodio di violenza prima di scomparire del tutto. La
missione, in questo caso era uccidere un attivista dell’International
Solidarity Movement (ISM) che aveva dedicato diversi anni della sua vita alla
Palestina. Poco prima di essere rapito, egli aveva scritto dell’assedio
“criminale” di Israele a Gaza. Aveva anche pianto i quattro poveri palestinesi
che sono morti in un tunnel sotto il confine tra Gaza e l’Egitto, mentre
trasportavano cibo e altri beni.Prima del suo assassinio, Arrigoni stava
aspettando l’arrivo di un’altra flottiglia – che avrebbe portato attivisti
provenienti da 25 paesi a bordo di 15 navi – la quale dovrebbe salpare per Gaza
a maggio. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha categoricamente
invitato i paesi dell’Unione Europea a impedire ai propri cittadini di prendere
parte a questa spedizione. “Penso che sia nel vostro e nostro comune interesse…
che questa flotta venga fermata”, ha detto ai rappresentanti europei a
Gerusalemme, secondo un dispaccio dell’AFP dell’11 aprile.
Vik firmava i suoi messaggi con la frase “Restiamo umani”. Il suo libro,
che descrive in dettaglio le sue esperienze a Gaza, era intitolato anch’esso
“Restiamo umani”. Mary Hughes Thompson ha condiviso con me alcuni messaggi di
posta elettronica che Arrigoni le aveva mandato. “Riesco a malapena a
sopportare di rileggerli”, mi ha scritto. Questo è un estratto di uno di essi:
“Comunque finiremo la missione … sarà una vittoria. Per i diritti umani,
per la libertà. Se l’assedio non verrà fisicamente spezzato, si spezzerà
l’assedio dell’indifferenza, dell’abbandono. E tu sai molto bene quanto questo
gesto sia importante per la gente di Gaza. Detto questo, ovviamente siamo in
attesa al porto! Con centinaia di palestinesi e compagni dell’ISM, vi verremo
incontro navigando, come la prima volta, ricordi? Tutti le barche disponibili
navigheranno verso Gaza per salutarvi. Scusa per il mio pessimo inglese …
abbraccio grande … Restiamo umani. Tuo Vik ”
Gli assassini di Vik non sono riusciti a vedere la sua umanità. Ma molti di
noi ricorderanno sempre, e continueranno a cercare di “restare umani”.
Ramzy
Baroud è un giornalista palestinese di nazionalità americana; è direttore
del Palestine Chronicle; è autore del libro “The Second Palestinian Intifada: A
Chronicle of a People’s Struggle” (Pluto Press, London)
Paola Caridi : Omaggi
Io continuo a pensare che i social network abbiano un loro significato – appunto – sociale. Sono un’agorà, una piazza, una tipografia, una sala riunioni, persino un cimitero, un posto in cui commemorare una persona cara. O giusta. Possono essere tante cose, ma io sono d’accordo col mio amico caro Pino Bruno. I social network bisogna tenerceli cari. E quindi, quando in molti mi hanno chiesto se ci saranno iniziative a Gerusalemme est e in Cisgiordania per ricordare Vittorio Vik Arrigoni, ho scatenato il social network di riferimento, Facebook, e per ora sono riuscita a sapere che ci sarà tra pochissimo, all’una, una manifestazione a Ramallah, davanti alla Muqata, per ricordare non solo Vittorio Arrigoni ma anche Juliano Mer Khamis. Una commemorazione comune che mi fa sentire, a dire il vero, anche meno sola. Siamo in tanti, insomma, a pensare che su queste due morti bisogna piangere e pensare, insieme. L’altro appuntamento è a Beit Jalah, alle sei di questo pomeriggio, per una messa per Vittorio Arrigoni.E a proposito di fede, un mio amico caro, uno di quegli uomini che sa guardare negli occhi dell’altro, mi ha detto stamane di Vittorio, che non conosceva: “in quella foto aveva il volto santo”. Chi è cattolico sa il significato di questa frase che mi ha colpito non poco perché io, da vecchia laica, non ci avevo pensato, ieri. L’innocenza e la sensibilità di altri hanno compreso oltre ciò che è semplice e superficiale Vorrei, però, spendere qualche parola in più sui social network, evitando, invece, di sprecare parole sulla rassegna stampa di oggi, su Vittorio Arrigoni, per carità di patria e di categoria… Un’altra occasione persa per raccontare ciò che va oltre gli stereotipi e i ritratti manieristici. I social network, dicevo. Se è vero che si potrebbe fare qualcosa di più per le strade e le piazze, è altrettanto vero che la realtà virtuale, quella alla quale Vittorio Arrigoni parlava, ha mostrato un afflato incredibile. Dalle pagine Facebook ai blog, ai video postati in modo virale, alla foto di Vik usata come profilo (la sto usando anch’io, per un piccolo, personale, intimo omaggio…). Quella pagina We are all Vittorio Arrigoni ricorda così decisamente la pagina We are all Khaled Said da essere un’altra conferma che tutto, in questa regione, ora, si tiene. We are all…, che è così simile a Per chi suona la campana,tanto per pensare ad altre generazioni di ragazzi che avevano a cuore il mondo e i dirittiLa foto che ho scelto fa parte di questi fili colorati che stanno riempiendo il mondo arabo. E’ stata scattata il 15 marzo a Gaza. Il 15 marzo, tra Gaza e Ramallah, sono scesi in piazza i ragazzi palestinesi, quelli nonviolenti. Chiedevano, e chiedono ancora, la riconciliazione, e un nuovo modo di far politica. Come gli altri ragazzi arabi. Tra loro c’era anche Vittorio Arrigoni, a quanto pare…
Paola Caridi : (da inviseblearabs) Vik e i ragazzi di GAZA
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