Pino Lorizio SENZA ISLAM NON AVREMMO AVUTO NÉ SAN TOMMASO NÉ DANTE

 


Senza Islam non avremmo avuto né san Tommaso né Dante


Le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri hanno occupato le pagine culturali, e non, di giornali e riviste e gli spazi televisivi e radiofonici, distanziandoci almeno per una giornata dalle paure, dalle preoccupazioni e dalle angosce della pandemia. Non è mancata qualche polemica soprattutto dall’estero. La prima riguardava la notizia che dalla traduzione in fiammingo della Commedia si sarebbe espulso il nome di Maometto, nei versi dell’Inferno che lo situano fra gli eretici. La seconda, che un ministro ha liquidato con i versi dello stesso poeta: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inferno, III, 51, riferito agli ignavi). Aveva di mira l’editoriale di un giornale tedesco, che riteneva il sommo poeta italiano non così geniale, come è e sembra, ma un assemblatore di idee altrui, indicando nel Libro della Scala (una serie di testi mistici islamici del XIII secolo attribuiti a diversi autori) la principale fonte del suo capolavoro. Invece, al contrario del ministro, noi ragioniamo e ci lasciamo pungolare anche dalle critiche. 

Quanto alla prima polemica, va rilevato che, poiché il punto di vista del poeta è quello cristiano, non aveva altra scelta che quella di situare Maometto agli inferi, bisogna tuttavia, per onestà intellettuale riconoscere che riserva tale destino anche ad alcuni Papi. Ma ciò che fa riflettere e ragionare in questo contesto, rappresentato anche in San Petronio, a Bologna, da Giovanni da Modena (per il quale affresco si sono dovute attivare imponenti misure di vigilanza, a causa dei possibili attacchi dei fondamentalisti), è appunto la collocazione di Mohammed fra gli eretici (IX bolgia del VII cerchio). Ciò sta a significare che la cultura medievale in cui il poeta si innesta considerava l’Islam come un prodotto (certamente spurio) del cristianesimo. Del resto, come sappiamo dalla storia, la figura di Maometto si staglia in un contesto “cristiano”  (le tribù dell’Arabia del suo secolo), in cui prevale la concezione di Nestorio, secondo cui in Cristo alle due nature, corrispondono due persone. Il profeta dell’Islam era ossessionato dall’idea dell’unicità di Dio, da preservare e custodire contro ogni idolatria. In nome di tale unicità negava a Gesù la natura divina, pur considerandolo un grande profeta e riservando a sua madre, la vergine Maria un ruolo molto importante nel Corano (Sura XIX di Maria). In tal senso Maometto sarebbe più vicino ad Ario che al Concilio di Calcedonia. 

La seconda polemica riguarda il destino dell’uomo dopo la morte. È stata sollevata da un editoriale del quotidiano tedesco Frankfurter Rundshau, firmato da Arno Widman il 25 marzo scorso (data delle celebrazioni dantesche). Qui si sostiene che l’escatologia dantesca e quindi la Commedia
sarebbe una grande bufala, in quanto la struttura dell’aldilà e la vicenda stessa sarebbero “copiate” dai testi mistici dell’Islam, e quindi non avrebbero alcuna originalità. L’editorialista fa riferimento al fondamentale volume di Miguel Asín Palacios sull’escatologia islamica nella 
Divina commedia, pubblicato in prima edizione nel 2019 e che l’anno scorso la Luni editrice ha riproposto in lingua italiana, con in appendice le polemiche che lo hanno accompagnato. Certo le sorprendenti analogie che lo storico spagnolo rileva fra i contenuti dell’opera poetica e quelli degli scritti mistici islamici, è sorprendente, ma neppure tanto, se consideriamo che a livello escatologico, come per esempio anche nella dottrina della creazione, la fede cristiana e quella islamica coincidono. Uno dei luoghi
che ha attratto la mia attenzione è quello concernente la dottrina del Purgatorio. A tal proposito Palacios cita un testo islamico, che fa riflettere: «Ci sono due inferni o gehenna di fuoco: uno è chiamato interno e l’altro esterno. Da quello non può uscire nulla. Questo invece è il luogo in cui Dio castiga i fedeli che hanno peccato, per tutto il tempo che gli piace. Poi Dio accontenta gli angeli, i profeti e i santi che intercedono per loro, e li trae dal fuoco, carbonizzati […] sulle loro
fronti viene impresso: liberti di Dio». È il tema della seconda possibilità (second change), che persino dopo la morte viene offerta ai credenti. Ma rilevare analogie, provenienti da contenuti di fede affini, non significa supporre una dipendenza diretta da una fonte, sulla cui conoscenza da parte di Dante bisogna essere cauti, come suggerisce un autorevole dantista quale Vittorio Sermonti. 

In ogni caso il genio del poeta può lasciarsi ispirare da qualsiasi fonte, ma consiste nella relazione strutturale e direi ontologica tra forma e contenuto: ineguagliabile nel nostro poeta. Ma l’argomento più intrigante sta nella presenza/influsso/confronto generativo dell’Occidente medievale tra cultura cristiana e pensiero islamico. Apparteneva tale influsso all’aria stessa che Dante respirava, al di là della conoscenza che poteva avere, più o meno direttamente, dei testi. Così, il poeta situa nel limbo personaggi fondamentali per la cultura del suo tempo, di fede islamica, qualiAverroè ed Avicenna (Inferno, IV, 144). Non sappiamo se per Dante questo limbo sarà superato nel giudizio universale, ma sappiamo bene che, senza l’influsso del pensiero arabo, quello di Aristotele non sarebbe penetrato nell’Occidente medievale. Tramite il commento alla Metafisica di Averroè e il De anima di Avicenna, non avremmo potuto dissetarci alla lezione di Tommaso d’Aquino, del quale la Fides et ratio dice: «Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo» (n. 43). Altro che “conflitto di civiltà”! La cultura occidentale europea deve molto al pensiero islamico, perché anche di esso si è nutrita, ma non l’ha semplicemente assimilato, bensì trasformato in maniera decisamente geniale come in Tommaso e Dante.



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