Libano: partita la campagna vaccinale. Anche per i/le palestinesi?

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Libano: partita la campagna vaccinale. Anche per i/le palestinesi? | Un Ponte Per

 Il primo lockdown è arrivato in Libano quando i casi registrati erano solo poche centinaia. Il piccolo Stato libanese devastato dalle guerre, dai conflitti settari e dall’esplosione al porto dello scorso agosto, non avrebbe avuto la forza di reggere l’impatto di una pandemia. Ora, tra le polemiche, è iniziata la campagna vaccinale anti Covid-19. Ma sarà accessibile anche ai/lle palestinesi residenti in Libano? Il Covid ha esasperato discriminazioni e ingiustizie.


È cominciata lunedì 15 di febbraio la campagna di vaccinazione anti-covid in Libano dopo che, nel fine settimana precedente, erano giunte all’aeroporto di Beirut le prime 28mila dosi di vaccino Pfizer. Ne abbiamo parlato con il nostro Capo Ufficio a Beirut, David Ruggini, ripercorrendo un po’ tutte le fasi della gestione pandemica, con uno sguardo rivolto ai/lle nostri/e beneficiari/e.

“In Libano sono pochissimi gli ospedali pubblici, come d’altronde i posti in terapia intensiva – ci ha spiegato – sembrava poco verosimile il rispetto delle regole per prevenire i contagi, per non parlare del distanziamento sociale.Nei campi palestinesi di Beirut – Shatila e Bourj El Barajneh – dove operiamo, sarebbe impossibile solo pensarlo”.


Il risultato è stato una serie di lockdown governativi a tappeto, senza nessun tipo di ristoro però verso la popolazione più in sofferenza. Così facendo si è aggravata terribilmente la forbice tra ricchi e poveri, con palestinesi e siriani/e sempre più in fondo alla piramide sociale. Ciononostante, il numero dei contagi è andato presto fuori controllo, sfiorando picchi di 5000 casi giornalieri nei mesi scorsi. Ora la campagna vaccinale e la speranza di un lento ritorno alla normalità. “Hanno cominciato dal personale ospedaliero, particolarmente esposto al contagio a causa della mancanza di materiale di protezione sufficiente – spiega David, raccontando come, ancora una volta, le persone dei campi profughi siano diventate protagoniste, malgrado loro, di un calderone di polemiche – “Dopo un dibattito iniziale particolarmente acceso, le autorità libanesi hanno infine deciso di consentire l’accesso alla vaccinazione ad ogni residente in Libano, quindi anche ai/lle rifugiati/e palestinesi, siriani/e e migranti se in regola con i documenti”.


Ad appena 10 giorni dall’inizio, arrivano i primi dubbi sull’effettiva applicazione di questa decisione che appariva di buon senso.E si registrano i primi scandali: ”Alcuni giorni fa ad un ultra 75enne palestinese, registrato regolarmente sulla piattaforma lanciata dal ministero della salute, è stata rifiutata la dose di vaccino dal Rafik Hariri University Hospital, in quanto palestinese”.L’account ufficiale dell’ospedale, in risposta alle polemiche – “ha liquidato la notizia imputando l’accaduto alla legge libanese, senza specificare di quale legge si trattasse e senza commentare oltre” – continua David.Come se non bastasse – “questa settimana è scoppiato lo scandalo riguardo a 16 parlamentari: il presidente Aoun, sua moglie, il personale dell’ufficio presidenziale e del parlamento sono stati tutti/e vaccinati nel palazzo presidenziale.

Senza rispettare la registrazione sulla piattaforma, né le graduatorie di priorità stabilite”.


In tutto ciò la Banca mondiale, il donatore principale dei vaccini per il Paese dei cedri, ha minacciato di sospendere l’erogazione dei fondi se continuano ad essere violatele regole stabilite per la somministrazione equa del vaccino. Certo è che i timori verso una gestione poco trasparente della campagna di vaccinazione non sono pochi, infatti conclude David: “Il rischio è che un numero così basso di vaccini rispetto a una popolazione che – tra libanesi, siriani/e e palestinesi – supera i sei milioni di persone, possa indurre la classe politica libanese a una gestione clientelare e poco trasparente della campagna”.


Noi di Un Ponte Per continueremo a fare la nostra parte sul campo a fianco delle persone che sosteniamo, monitorando la situazione affinchè nessuno/a – sia libanese, palestinese o siriano/a – rimanga indietro o venga discriminato/a nell’accesso al siero.


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