AMIRA HASS - SEI FALSITÀ SUGLI AVAMPOSTI DI INSEDIAMENTO ISRAELIANI NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI

Six lies about Israel's Wild West settlement outposts | Opinion
Di solito, le menzogne dei politici e degli alti funzionari del governo sono irritanti e ci danno la sensazione che ci considerino stupidi. Ma in un campo conosciuto, l’ottusità popolare e auto indotta.
Da una risposta delle Forze di Difesa Israeliane a una richiesta di informazioni, alcune menzogne che ci piace credere siano state eliminate, come merce avariata. Le menzogne non si trovano nella risposta stessa, ma riguardano fatti che devono essere raccontati integralmente per comprendere la concisa risposta dell'esercito.
Mi riferisco a sei avamposti che sono allevamenti di bestiame e aziende agricole nella Valle del Giordano settentrionale, e sono menzionati nella stessa richiesta di informazioni, presentata nell'agosto 2020 da diversi attivisti per i diritti umani. Gli avamposti sono conosciuti con i nomi dei loro ispiratori, Tzuri, Uri, Asael, Menachem e Moshe, e ce n'è anche uno appartenente alla famiglia Amosi nella Fattoria Tene Yarok.
Alla base della richiesta c'è la questione se gli agricoltori israeliani che vivono in questi avamposti abbiano effettivamente ricevuto un permesso speciale per far pascolare le loro mandrie in aree dichiarate "zone di fuoco", mentre l'esercito e l'Amministrazione Civile espellono i pastori palestinesi da quelle stesse aree e distruggono le loro comunità (vedi Khirbet Humsa solo nelle ultime due settimane).
La prima menzogna è che le vaste zone di fuoco nella Cisgiordania occupata esistono a causa di una necessità oggettiva di addestramento militare. Questa menzogna era evidente per i palestinesi nel primo momento in cui i blocchi di cemento sono stati posti sul loro territorio diversi decenni fa, avvertendo del pericolo di accedere alle loro terre. I documenti pubblicati decenni dopo essere stati originariamente scritti o divulgati dimostrano che i palestinesi hanno ragione.
Ad esempio: c'era una richiesta dell'allora Ministro dell'Agricoltura Ariel Sharon nel 1981 che l'esercito dichiarasse Masafer Yatta (un comprensorio di 19 villaggi palestinesi nelle colline sud di Hebron) una zona di fuoco, al fine di frenare "la diffusione degli arabi"; e ci sono i verbali di una riunione a porte chiuse nel 2014 in cui un ufficiale dell'IDF ha ammesso che la "riduzione" delle manovre di addestramento "fa crescere le erbacce" (cioè le comunità palestinesi).
La seconda menzogna è che, secondo le mappe ufficiali, i suddetti avamposti non esistono nemmeno. Basta dare un'occhiata alla mappa del Consiglio dei Coloni della Valle del Giordano e non se ne troverà traccia. Ma in realtà, a partire da venerdì scorso, tutti e sei esistono e sono disposti lungo circa 16 chilometri, in un'area di circa 100 chilometri quadrati tra il villaggio palestinese di Ein al-Beida a nord e il villaggio di tende di Al Hadidiyah che Israele continua a demolire, nel sud.
La terza menzogna riguarda gli ordini di demolizione emessi automaticamente dall'Amministrazione Civile contro gli avamposti, il primo dei quali è stato costruito a settembre 2016 e l'ultimo a novembre 2020. Gli ordini di demolizione sono validi, ma gli avamposti si espandono e prosperano liberamente. La classica risposta, che l'esecuzione verrà effettuata in conformità con "l'ordine delle priorità", è una straordinaria combinazione di inganno e verità, al punto da renderli indistinguibili: a capo dell'elenco del cosiddetto ordine di priorità c'è il mitzvah (comandamento) per diseredare ed espellere i palestinesi.
La quarta menzogna è sottintesa dagli stessi ordini di demolizione: come se gli avamposti apparissero all'improvviso, interi e completi e del tutto inaspettatamente, e nel momento in cui vengono scoperti le forze dell'ordine si affrettassero a fare il loro lavoro ed emanare gli ordini. Ma la costruzione è stata eseguita in pieno giorno nel tempo e davanti agli sguardi complici di ufficiali dell'esercito e soldati della Brigata Valle del Giordano dell'IDF. C'è la casa prefabbricata che è stata trasportato dentro, il bulldozer che ha appiattito il terreno, il recinto per le mucche e le pecore, la strada asfaltata, la recinzione in costruzione che incorporerà una riserva naturale in un avamposto, tubature che portano l'acqua da una vicina base militare o insediamento.
La quinta menzogna è ciò che ha spinto Dafna Banai di Machsom Watch (un gruppo di donne attiviste anti-occupazione), Itamar Feigenbaum di Combatants for Peace (Combattenti per la Pace) e il Rabbino Arik Ascherman di Torat Tzedek (Torah della Giustizia) a presentare una richiesta di informazioni all’esercito, tramite l'avvocato Itay Mack. Da quando è stato costruito il primo dei sei avamposti fuorilegge, gli attivisti hanno sentito ripetutamente da soldati e ufficiali della Brigata Valle del Giordano che i coloni avevano ricevuto il permesso ufficiale di pascolare i loro animali nelle zone di fuoco.
Di seguito la risposta che Mack ha ricevuto dal portavoce dell'IDF, il Generale di Brigata Hidai Zilberman, responsabile delle richieste di informazioni pubbliche: "Le autorizzazioni scritte, concesse dagli organismi autorizzati dell'IDF, per quanto riguarda l'ingresso nelle zone di fuoco, non includono i permessi di ingresso nelle zone di fuoco nelle aree indicate nella vostra richiesta." Quindi i soldati della Brigata locale hanno mentito agli attivisti? I comandanti propinavamo menzogne alle loro truppe e ai loro stessi superiori? Gli ufficiali superiori sono bugiardi? Chi lo sa.
La sesta menzogna sta nella definizione di questi e molti altri avamposti come "singole fattorie", da cui si potrebbe concludere che ogni fattoria è l'iniziativa personale di un diverso colono. Non c'è bisogno di aspettare 50 anni per un documento che riveli che tutte queste fattorie condividono un unico Dio. Le somiglianze nel loro modo di agire e la loro ricchezza rivelano un unico modello e gestione, il cui indirizzo esatto non fa differenza.
Questo è il modello: i giudeo-samariani si stanno insediando lungo il perimetro delle zone di fuoco e in aree coltivate di proprietà dei palestinesi da generazioni. Ufficialmente, i loro avamposti fanno parte degli insediamenti esistenti. Di fatto sono deliberatamente lontani, come i nuovi insediamenti costruiti come apparenti "quartieri" a una distanza di diverse cime montuose dall'insediamento di provenienza, e quindi riempiendo lo spazio che li separa di strade di collegamento mentre l'accesso dei palestinesi al propri terreni agricoli o aree di pascolo vengono bloccati per "motivi di sicurezza".
La creazione di aziende agricole che coltivano la terra o allevano bestiame è un trucco che consente un accaparramento di terreni più rapido, economico ed efficiente rispetto alla costruzione di unità abitative aggiuntive su un insediamento. Qui tutto ciò che serve sono lauti finanziamenti governativi travestiti da donazioni anonime, un paio di affaristi guidati dalla lussuria immobiliare camuffata da eccitazione religiosa, inviati dal Mather Movement (detto ironicamente, un movimento anti-occupazione), giovani con il testosterone alle stelle e abiti religiosi alla moda, armati fino ai denti.
Le fattorie espandono continuamente la loro area di dominio, sia che siano protette dalla violenza dei soldati e dalle menzogne ​​delle autorità, sia che i loro proprietari esercitino il loro talento nel perpetrare violenze contro i pastori palestinesi. O una combinazione di queste due forme di violenza.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro "Bere il mare di Gaza". Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
Traduzione: Beniamino Rocchetto
Usually, the lies of politicians and senior government officials are annoying, and give us the feeling that they consider us to be dumb. But in one known area, the public’s stupidity is by choice. From an Israel Defense Forces response to a request for information, some lies that we love to believe have been peeled off, like skins of onion. The lies are not found in the reply itself but rather concern facts that must be retold in full in order to understand the army’s laconic response. I am referring to six outposts that are livestock and agricultural farms in the northern Jordan Valley, and are mentioned in that same request for information, submitted in August 2020 by several human rights activists. The outposts are known by the names of their chief cowboys – Tzuri, Uri, Asael, Menachem and Moshe – and there is also one belonging to the Amosi family in the Tene Yarok Farm. The basis of the request is the question of whether Jewish farmers living in these outposts indeed received an exceptional permit to graze their herds in areas declared “firing zones,” while the army and the Civil Administration expel Palestinian shepherds from those same areas and destroy their communities (see Khirbet Humsa in the past two weeks alone). The first lie is that the extensive firing zones in the occupied West Bank exist due to an objective need for military training. This lie was self­-evident to the Palestinians the first moment concrete blocks were put in place in their own territory several decades ago warning of the danger of accessing their lands. Documents published decades after they were originally written or leaked prove that the Palestinians are right. Open gallery view Residents of Khirbet Humsa after its demolition, November 2020. Residents of Khirbet Humsa after its demolition, November 2020.Credit: Meged Gozani For example: There was a demand by then-Agriculture Minister Ariel Sharon in 1981 that the army declare Masafer Yatta (a collection of 19 Palestinian villages in the South Hebron Hills) a firing zone, in order to curb “the spread of the Arabs”; and there are minutes of a closed meeting in 2014 where an IDF officer admitted, that “thinning out” the training maneuvers “gives rise to weeds” (namely, Palestinian communities). The second lie is that, according to official maps, the above-mentioned outposts don’t even exist. Take a look on the Jordan Valley’s settlers’ council map and you will not find a trace of them. But in reality, as of last Friday, all six exist and are embedded along some 16 kilometers, in an area of some 100 square kilometers between the Palestinian village of Ein al-Beida in the north and the tent village that Israel keeps demolishing, Al Hadidiyah, in the south. U.S. Reform group condemns Jewish National Fund plan to expand Israeli settlements Israeli soldiers expel Palestinians while letting settlers stay, military documents reveal Israeli children have been forsaken in the COVID crisis? Tell it to the Palestinians The third lie concerns the demolition orders issued automatically by the Civil Administration against the outposts – the first of which was established in September 2016 and the last in November 2020. The demolition orders are valid, but the outposts are steadily expanding and thriving. The standard reply, that enforcement will be carried out in accordance with “the order of priorities,” is a marvelous combination of deceit and truth, to the point where they are indistinguishable: Heading the list of the so-called order of priorities is the mitzvah to disinherit and expel the Palestinians. The fourth lie is implied by the demolition orders themselves: as though the outposts suddenly appeared, whole and complete, and entirely unexpectedly, and the moment they were discovered the law enforcers hastened to do their job and issue the orders. But the construction was done in broad daylight over time and before the winking eyes of army officers and soldiers from the IDF Jordan Valley Brigade. There’s the prefab home that was trucked in, the bulldozer that flattened the ground, the pen that was built for the cows and sheep, the road that was paved, the fence that is being built and will incorporate a nature reserve into an outpost, pipes bringing water in from a neighboring army base or settlement. The fifth lie is what prompted Dafna Banai of Machsom Watch (an anti-occupation, grass-roots women’s group), Itamar Feigenbaum of Combatants for Peace and Rabbi Arik Ascherman of Torat Tzedek (Torah of Justice) to submit the request for information to the army, through attorney Itay Mack. Since the first of the six cowboy outposts was established, the activists have heard time and again from Jordan Valley Brigade soldiers and officers that the settlers received official permission to pasture their flocks in firing zones. Get breaking news and analyses delivered to your inbox Email * Please enter a valid email address Sign Up Following is the reply Mack got from IDF Spokesperson Brig. Gen. Hidai Zilberman, who is in charge of freedom of information requests: “The written permits granted by the authorized IDF bodies regarding entry into firing zones do not include entry permits into firing zones in the areas mentioned in your request.” So did the local brigade soldiers lie to the activists? Did commanding officers feed lies to their troops and to their own superiors? Are the superior officers being deceitful? Who knows. The sixth lie is in the definition of these and several other outposts “individual farms,” from which one could conclude that every farm is the personal initiative of a different adventurer. There is no need to wait 50 years for a document that will reveal that all these farms share a single God. The similarities in their modus operandi and their wealth reveal a single pattern and a guiding hand, whose exact address makes no difference. This is the pattern: The Judeo-Samarians are settling along the edges of firing zones and in areas that have been cultivated and owned by Palestinians for generations. Officially, their outposts are part of existing settlements. De facto they are deliberately far away, like the new settlements built as ostensible “neighborhoods” at a distance of several mountain peaks from the mother settlement – and then the entire area between them fills up with connecting roads, and Palestinians’ access to their own farmland or grazing areas are blocked for “security reasons.” Setting up farms that grow crops – or raise livestock – is a trick that allows a quicker, cheaper and more efficient land grab than building additional housing units on a settlement. Here all you need is lots of government money, disguised as underground sources, a couple of adults driven by real estate lust disguised as religious excitement, sent by the mother movement, and young people with raging hormones and cool earlocks, rifles and pistols. The farms are continuously expanding their circle of domination – whether they are protected by the violence of the soldiers and the lies of the authorities, or whether their owners exercise their talent for perpetrating violence against Palestinian shepherds. Or a combination of these two forms of violence. Tags: Amira Hass


Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

giorno 79: Betlemme cancella le celebrazioni del Natale mentre Israele continua a bombardare Gaza

BDS : A guide to online security for activists

La Spoon River degli artisti di Gaza. Scrittori, poeti, pittori: almeno 10 vittime nei raid. Sotto le bombe muore anche la cultura palestinese