Jonathan Cook L’”accordo del secolo” di Trump non porterà pace; questo era il piano
Gran parte del molto anticipato “accordo del secolo” di Donald Trump non ha costituito una sorpresa. Negli ultimi diciotto mesi dirigenti israeliani ne avevano fatto trapelare molti dettaglia.
La cosiddetta “Visione per la pace” svelata martedì ha semplicemente confermato che il governo statunitense ha pubblicamente adottato il consenso di lungo corso in Israele: che il paese ha titolo tenersi permanentemente larghi strati del territorio che ha illegalmente sequestrato nell’ultimo mezzo secolo e che negano ai palestinesi qualsiasi speranza di uno stato.
La Casa Bianca ha abbandonato la tradizionale posa statunitense di “mediatore onesto” tra Israele e i palestinesi. I leader palestinesi non sono stati invitati alla cerimonia e non ci si sarebbero recati se lo fossero stati. Questo è stato un accordo ideato più a Tel Aviv che a Washington, e il suo punto consisteva nell’assicurare che non ci fosse alcun partner palestinese.
Cosa importante per Israele, otterrà il permesso di Washington di annettere tutti i suoi insediamenti illegali, ora sparpagliati in tutta la West Bank, nonché il vasto bacino agricolo della Valle del Giordano. Israele continuerà ad avere il controllo militare sull’intera West Bank.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato la sua intenzione di portare proprio tale piano di annessione davanti al suo gabinetto al più presto possibile. Indubbiamente sarà il punto centrale dei suoi sforzi per vincere l’elezione generale fortemente contrastata prevista il 2 marzo.
Il piano di Trump approva anche l’esistente annessione israeliana di Gerusalemme Est. Ci si aspetta che i palestinesi fingano che un paese della West Bank fuori dalla città sia la loro capitale di “Al Quds”. Ci sono indicazioni incendiarie che a Israele sarà consentito di dividere con la forza il complesso della moschea Al Aqsa per creare uno spazio di preghiera per ebrei estremisti, come è successo a Hebron.
Inoltre risulta che l’amministrazione Trump starebbe valutando di dare semaforo verde alle speranze a lungo coltivate dalla destra israeliana di ridisegnare gli attuali confini in modo da trasferire potenzialmente centinaia di migliaia di palestinesi che attualmente vivono in Israele quali cittadini nella West Bank. Ciò costituirebbe quasi certamente un crimine di guerra.
Il piano non prevede alcun diritto al ritorno, e pare che dal mondo arabo ci si aspetti che paghi il conto di risarcire milioni di profughi palestinesi.
Una mappa statunitense distribuita martedì mostrava enclave palestinesi collegate da un dedalo di ponti e tunnel, tra cui uno tra la West Bank e Gaza. I soli alleggerimenti concessi ai palestinesi sono promesse statunitensi di rafforzare la loro economia. Considerate le precarie finanze dei palestinesi dopo decenni di furti di risorse da parte di Israele, non sono poi queste grandi promesse.
Tutto questo è stato travestito da “soluzione realistica a due stati”, offrendo ai palestinesi quasi il 70 per cento dei territori occupati, che a loro volta comprendono il 22 per cento della loro patria originale. In altri termini ai palestinesi è richiesto di accettare uno stato sul 15 per cento della Palestina storica dopo che Israele si è impossessato di tutta la terra agricola migliore e delle migliori risorse idriche.
Come tutti gli accordi irripetibili, questo “stato” a mosaico – privo di un esercito e in cui Israele ne controlla sicurezza, confini, acque costiere e spazio aereo – ha una data di scadenza. Deve essere accettato entro quattro anni. Diversamente Israele avrà mano libera nel cominciare a saccheggiare ancora altro territorio palestinese. Ma la verità è che né Israele né gli Stati Uniti si aspettano o vogliono che i palestinesi collaborino.
E’ per questo che il piano include – oltre all’annessione degli insediamenti – una serie di precondizioni irrealizzabili prima che possa essere riconosciuto quel che resta della Palestina: le fazioni palestinesi devono disarmarsi, con Hamas smantellato; l’Autorità Palestinese guidata da Mahmoud Abbas deve privare le famiglie dei detenuti politici dei loro stipendi; e i territori palestinesi devo essere reinventati come una Svizzera mediorientale, una democrazia fiorente e una società aperta, il tutto sotto lo stivale di Israele.
Il piano di Trump uccide invece la farsa che il processo di Oslo, vecchio di 26 anni, mirasse a qualcosa di diverso dalla capitolazione palestinese. Esso allinea interamente gli Stati Uniti con gli sforzi israeliani – perseguiti da tutti i partiti politici del paese nel corso di molti decenni – di preparare il terreno per un apartheid permanente nei territori occupati.
Trump ha invitato al lancio sia Netanyahu, il primo ministro provvisorio di Israele, e il suo principale rivale politico, l’ex generale Benny Gantz. Entrambi sono stati ansiosi di esprimere il loro sostegno sfrenato.
Tra loro, rappresentano quattro quinti del parlamento israeliano. Il principale campo di battaglia nelle elezioni di marzo sarà quale dei due potrà affermare di essere posizionato meglio per attuare il piano e in tal modo sferrare un colpo mortale ai sogni palestinesi di essere uno stato.
Nella destra israeliana ci sono state voci di dissenso. Gruppi di coloni hanno descritto il piano come “lungi dall’essere perfetto”, un punto di vista quasi certamente condiviso privatamente da Netanyahu. L’estrema destra di Israele si oppone a qualsiasi discorso di uno stato palestinese, per quanto illusorio.
Ciò nonostante Netanyahu e la sua coalizione di destra accoglieranno con gioia i regali offerti dall’amministrazione Trump. Contemporaneamente l’inevitabile rifiuto del piano da parte della dirigenza palestinese servirà, lungo il percorso, da giustificazione per arraffare ancora altra terra.
Ci sono altri, più immediati omaggi offerti dall’”accordo del secolo”.
Consentendo a Israele di tenersi il maltolto dalla sua conquista di territori palestinesi nel 1967, Washington ha avallato ufficialmente una delle maggiori aggressioni coloniali dell’era moderna. L’amministrazione statunitense ha in tal modo dichiarato guerra aperta ai già deboli limiti imposti dalla legge internazionale.
Anche Trump ne beneficia personalmente. Questo offrirà una distrazione dalle audizioni per la sua messa in stato d’accusa e offrirà anche una potente tangente alla sua base evangelica ossessionata da Israele e a grandi finanziatori quali il magnate statunitense dei casinò Sheldon Adelson nell’approssimarsi delle elezioni presidenziali.
E il presidente statunitense sta accorrendo in aiuto di un utile alleato politico. Netanyahu spera che questa spinta dalla Casa Bianca catapulterà al potere a marzo la sua coalizione ultranazionalista e intimidirà i tribunali israeliani nel soppesare le accuse penali contro di lui.
Come egli programma di ricavare utili personali dal piano di Trump è stato evidente martedì. Ha strigliato il procuratore generale di Israele per aver accolto le accuse di corruzione affermando che era stato messo in pericolo un “momento storico” per lo stato d’Israele.
Nel frattempo Abbas ha accolto il piano con “un migliaio di no”. Trump lo ha lasciato completamente esposto. O l’Autorità Palestinese abbandona il suo ruolo di appaltatore della sicurezza per conto di Israele e si scioglie, oppure continua come prima ma ora esplicitamente privato dell’illusione che sia perseguito uno stato.
Abbas cercherà di indugiare, sperando che Trump sia cacciato nell’elezione di quest’anno e che una nuova amministrazione statunitense ritorni alla finzione di far avanzare il piano di pace di Oslo da tempo scaduto. Ma se Trump vincerà, le difficoltà dell’Autorità Palestinese di aggraveranno rapidamente.
Nessuno, meno di tutti l’amministrazione Trump, crede che questo piano condurrà alla pace. Una preoccupazione più realistica è quanto rapidamente esso aprirà la strada a un maggiore bagno di sangue.
Una versione di questo articolo è apparsa inizialmente su The National, Abu Dhabi.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale per il Giornalismo Martha Gellhorn. I suoi libri comprendono ‘Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East’ (Pluto Press) e ‘Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair’ (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net.
da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/trumps-deal-of-the-century-wont-bring-peace-that-was-the-plan/
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons
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