Alberto Negri - La pace torna in piazza in Italia e nel mondo. Ma noi facciamo le guerre degli altri

I partiti che si avvicendano nei nostri governi non hanno da tempo una politica estera se non l’ancoraggio all’atlantismo, ormai da tempo comatoso. Non difendono né gli interessi nazionali né la pace. Però facciamo le guerre degli altri.
Oggi tornerà in piazza in Italia e nel mondo, la pace, quella «potenza mondiale» che in milioni si mobilitò contro la guerra di Bush all’Iraq nel 2003 e che venne sconfitta. Nella protesta italiana sarà forte il ruolo della Cgil, dell’Arci, della Fiom, dell’Anpi e non solo, tanto che quel che ci ostiniamo a chiamare sinistra dovrebbe esserne scossa. Ma la guerra e la mancanza di pace, nonostante siano così decisive – basta pensare alla tragedia dei migranti -, vengono omesse se non nascoste dalla politica.
È tempo di interrogarsi su perché non è ben identificato in Italia un interesse per la pace né per una politica estera? La questione è abbastanza semplice: i partiti che si avvicendano nei nostri governi non hanno una politica estera se non l’ancoraggio all’atlantismo, ormai da tempo comatoso, oppure quello a un’Unione europea, che non ha una politica estera comune, e dove gli stati membri maggiori, pur architettando operazioni cosmetiche come la missione Sophia per la Libia, vanno in ordine sparso. Ma chi l’ha vista una vera tregua in Libia?
Persino davanti all’emergenza delle ondate terroristiche degli ultimi anni l’Europa ha fatto fatica a collaborare. E per un semplice motivo: gli europei stessi hanno tollerato se non appoggiato il jihadismo quando c’era da abbattere il regime di Assad in Siria insieme alla Turchia, agli Usa e alle monarchie del Golfo. Quando il jihadismo è stato “tradito” – ovvero gli Usa e gli europei hanno deciso di non bombardare Assad – il terrorismo si è rivoltato contro gli stati europei.
I RAID CONTRO GHEDDAFI nel 2011 sono stati lo spartiacque che ha condannato l’Italia all’irrilevanza. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti bombardando Gheddafi sapevano perfettamente di bombardare anche l’Italia e noi non solo abbiamo subito, concedendo l’uso delle basi, ma ci siamo uniti ai raid della Nato con l‘idea di difendere i nostri interessi economici e quelli energetici dell’Eni. Il risultato di quella mossa lo abbiamo sotto gli occhi: a Tripoli ci sono i turchi e in Cirenaica i russi mentre i nostri presunti alleati non sappiamo neppure bene con chi stiano. Cosa fanno la Francia e gli Usa con Haftar? Lo appoggiano e lo combattono? Lo appoggiano ma fanno finta di sostenere un governo Sarraj che pur riconosciuto dalla comunità internazionale nessuno vuole perché legato ai Fratelli Musulmani e contrario agli interessi di maggiori acquirenti di armi occidentali.
IL CASO DELLA SIRIA è più o meno simile. L’Italia ha seguito quello che le dicevano di fare gli Stati uniti della signora Clinton e si sono ritrovati regolarmente spiazzati con Assad, sostenuto dalla Russia e dall’Iran, che è ancora al potere. Alla vigilia della rivolta siriana l’Italia, superando la storica preminenza della Francia, era diventato il primo partner europeo di Damasco, dove pochi mesi prima era stato in visita il presidente della repubblica.
Non abbiamo mai avuto il coraggio di una mossa autonoma o per lo meno di tiraci fuori con la scusa delle neutralità. E ora a febbraio andremo in delegazione a Mosca per incontrare Lavrov e lo stesso il ministro della Difesa russo che soltanto due mesi fa avevamo rifiutato di ricevere a Roma dicendo che «non eravamo interessati».
Votare per un governo italiano o un altro sarebbe praticamente inutile sotto il profilo della politica estera: non ne abbiamo una autonoma. E se vince la Lega le cose potrebbero andare anche peggio che in passato. La Lega non è un partito italiano o padano ma vuole svendere l’Italia alla destra al governo in Israele – strumentalmente, perché come per ogni destra estrema questo legame serve per coprire il suo strutturale razzismo – portandoci fuori da un solco di politica estera che cercava almeno nell’equidistanza tra arabi e israeliani di mantenere una rotta di galleggiamento. La Lega tra l’altro si è opposta anche alla firma di accordi per aggirare le sanzioni Usa all’Iran. Per la verità gli sbandamenti, e grossi, ci sono stati anche prima. Il governo Gentiloni aveva stretto un’intesa per una linea di credito con l’Iran e poi ha di fatto bloccato il decreto attuativo su pressione Usa e israeliana dimostrando tutta la sua insipienza.
L’ITALIA NON HA NEPPURE partecipato al sistema Instex per aggirare le sanzioni Usa dove ci sono sei Paesi europei. Pur di non irritare il “capo” – Usa e Israele – abbiamo paura della nostra ombra.
E ancora prima, e soltanto per un soffio, si è evitato che il governo Renzi appaltasse la nostra cyber-security a una società registrata in Israele di un tipo che oggi è console onorario di quel Paese. Ma questi da noi sono argomenti tabù, come ormai tabù persino parlare dei palestinesi e dei loro diritti anche dentro le aule delle università che si stanno vendendo le cattedre alle monarchie del Golfo. Esattamente in linea con quanto hanno già fatto abbondantemente le accademie inglesi, cosa denunciata a Londra soltanto dal compianto professor Fred Halliday, decano del Medio Oriente.
Il risultato di questa pochezza e mancanza di autonomia è che oggi non abbiamo nessuna leva per negoziare con l’Egitto sulla verità per l’uccisione di Giulio Regeni o con la Turchia per la questione del gas a Cipro. Nei rapporti con Ankara pensiamo che prima o poi gli Usa interverranno a difenderci ma finora Trump ha assecondato Erdogan lasciandogli massacrare i curdi siriani, tollerando gli acquisti di armi russe, il suo espansionismo neo-ottomano in Libia e proclamandosi, durante la sua visita a Washington, il «suo maggiore tifoso». E lo stesso Trump è pure «tifoso» dell’Italia: vuole le nostre truppe in Iraq per sostituire le sue e avere mano più libera contro l’Iran e le milizie sciite. Più o meno direttamente parteciperemo così alla nuova tecno-guerra Usa contro Teheran nella speranza, sempre delusa, di avere qualche cosa in cambio. Altro che pace.



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