By Umberto De Giovannangeli La “Jihad dei coltelli” che allarma l’Europa


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Prima a Londra, poi a l'Aja. I lupi solitari che spaventano perché sono più imprevedibili e meno tracciabili da parte dei servizi d’intelligence


Prima Londra, poi l’Aja. È la “Jihad dei coltelli” che allarma l’Europa. Una “Jihad” condotta da “lupi solitari” senza supporto operativo, almeno così sembra, da parte delle centinaia di “cellule dormienti” messe in piedi dall’Isis e da al-Qaeda nel Vecchio Continente. Non hanno l’addestramento dei foreign fighters, formatisi nei campi di battaglia di Siria e Iraq, non hanno i mezzi o le capacità per costruire un ordigno da uomo-bomba,.  ma non per questo sono meno pericolosi. Perché i lupi della “Jihad dei coltelli” sono più imprevedibili, meno tracciabili da parte dei servizi d’intelligence, anche se qualcuno di loro era già stato individuato e arrestato in passato. È il caso di Usman Khan, l’attentatore ventottenne, che ieri sul London Bridge ha accoltellato i passanti, uccidendone due e ferendone altri tre, prima di essere a sua volta ucciso dalla polizia. Khan era stato rilasciato in libertà vigilata l’anno scorso, dopo aver scontato sei anni per reati di terrorismo. Khan era stato condannato nel 2012 e rilasciato a dicembre 2018 “su licenza”, il che significa che avrebbe dovuto soddisfare determinate condizioni o sarebbe tornato in carcere. Diversi media britannici hanno riferito che indossava un braccialetto elettronico alla caviglia.
Prima dell’attacco Khan stava partecipando a un evento a Londra ospitato da Learning Together, un’organizzazione con sede a Cambridge che lavora nell’istruzione dei carcerati. L’antiterrorismo britannica afferma che la polizia non sta attivamente cercando altri sospetti. Trascorrono poche ore, è il terrore ghermisce l’Aja, dove tre minorenni sono stati feriti a coltellate in una via dello shopping della città olandese. La polizia ha reso noto che un sospetto è in fuga. L’uomo, di carnagione scura e di circa 45-50 anni, indossa una maglia nera, sciarpa e pantaloni da jogging grigi.  Un attacco che ha fatto ripiombare l’Aja nella paura, riportando alla mente l’attentato del maggio del 2018, quando al grido di “Allah Akbar” un uomo ha accoltellato tre passanti. In quell’occasione si parlò di uno squilibrato.

I lupi della “Jihad dei coltelli” sono solo una parte dell’allarme rosso scattato in Europa subito dopo l’uccisione del “califfo” dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. I suoi seguaci hanno voglia di vendicarne la morte. Gli ideologi del Califfato li hanno esortati a usare metodi inusuali per ammazzare. Persino una pietra, un coltello da cucina, un’ascia, la vettura sono sufficienti, hanno ribadito con gli appelli sul web. La creatività del terrorista fai-da-te. Ma la preoccupazione più forte riguarda i foreign fighters di ritorno. In Europa, il Paese che ha più foreign fighters in rapporto alla popolazione è il Belgio, con 440 combattenti su 11.4 milioni di abitanti. Segue la Francia, con 1.200 combattenti espatriati. La Gran Bretagna si attesta ufficialmente a quota 600, anche se MI6, l’intelligence esterno britannico sostiene che il numero potrebbe essere molto più elevato e arrivare fino alle 2.000 unità. Dall’Irlanda sono partiti in 30. La Germani ne annovera  tra i 500 e i 600 e di questi molti ricoprono il ruolo di comandanti all’interno della gerarchia jihadista. In Svezia fonti d’intelligence ne indicano tra i 250 e i 300. In Olanda se ne calcolano tra i 200 e i 250, in Danimarca 100-150, in Norvegia 60 e in Finlandia tra i 50 e i 70. E ancora. Da un recente rapporto Onu, sempre per restare all’Europa, si indica tra i 50 e 100 jihadisti provenienti dalla Spagna, dall’Italia 80. I foreign fighters provengono anche dall’Austria (150 e si ritiene che circa 60 abbiano già fatto ritorno nel Paese), dalla Svizzera (40) e dall’Albania (90, dalla Serbia (70)). A questi vanno aggiunti circa 340 combattenti provenienti dalla Bosnia Erzegovina e 150 dal Kosovo. I macedoni sono 12.  Non si tratta solo di “lupi solitari” reclutati attraverso i social, indottrinati e preparati all’azione sulle “moschee” e campi di addestramento “mediatici” (sono oltre 1700 i siti che fanno riferimento alla galassia dell’Islam radicale). L’Isis ha cellule terroristiche clandestine in Gran Bretagna e Germania, analoghe ai gruppi che hanno condotto gli attentati di Parigi e Bruxelles. A lanciare l’allarme, è stato il direttore della National Intelligence americana, James R. Clapper. Alla domanda se l’Isis sia impegnato in attività clandestine in quei Paesi, Clapper ha risposto affermativamente, sottolineando come questo sia oggetto di preoccupazione “per noi e per i nostri alleati europei”. Stando ad un rapporto di Europol, intitolato ‘Cambiamenti nel Modus Operandi dell’Isis rivisitato’, “squadre assemblate in Siria” sarebbero state inviate in Europa via Ucraina e Paesi Baltici, dove avrebbero già acquistato armi sul mercato nero. Ma anche la Libia è considerata uno dei trampolini di lancio, forse per compiere azioni parallele in Nord Africa. Squadre composte da “diverse decine di persone e dirette dall’Isis” potrebbero già essere presenti in Europa per commettere attacchi terroristici”. Dodicimila foreign fighters che tornano in libertà, non più “custoditi” dalle milizie curde impegnate nel respingere l’invasione turca, per scatenare una nuova, sanguinosa Jihad globale.
Dodicimila combattenti di Daesh (Isis) a cui si aggiungono i 70mila loro famigliari prigionieri dei curdi nel nord della Siria, tra i quali vi sono molti adolescenti indottrinati alla causa del Califfato e della Jihad e potenzialmente addestrati a compiere attacchi e attentati suicidi. Una potente arma di ricatto all’Europa in mano al i presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Il “Sultano di Ankara”, ha mandato avanti il suo ministro degli Interni, il falco Suleiman Soylu, a minacciare di nuovo l’Europa: “Rimanderemo i membri dell’Isis nei loro Paesi, anche se gli è stata revocata la cittadinanza”. Si parlerebbe, secondo Ankara di circa 1.200 foreign fighters dello Stato Islamico detenuti nelle prigioni turche, di cui 287 (45 turchi e 242 di 19 diverse nazionalità) catturati durante l’operazione “Fonte di pace” con cui la Turchia ha invaso il nord est della Siria il 9 ottobre scorso. Dopo la sconfitta militare imposta all’Isis in Siria e Iraq, l’allerta è soprattutto in relazione al concreto rischio del cosiddetto “effetto blowback”, vale a dire alla possibilità che, una volta rientrati nei Paesi d’origine, i foreign fighters decidano di passare all’azione.

Nel rapporto dell’Europol di fine giugno si evidenziava proprio come i foreign fighters stiano tornando in massa in Europa. Il Regno Unito è in testa ai Paesi europei con la più alta percentuale di combattenti di ritorno con il 45% di sospetti jihadisti rientrati da Siria e Iraq. A seguire c’è la Germania, mentre l’Italia ha visto finora un ritorno di jihadisti “approssimativamente tra il 20 ed il 30%”, si legge nel rapporto. Secondo l’Europol, i foreign fighter di ritorno continuano ad utilizzare sia le rotte balcaniche che quelle mediterranee per tornare in Europa. Lupi solitari più foreign fighter di ritorno. Una miscela esplosiva per l’Isis 2.0. I comandi militari del Daesh hanno rivisto i propri piani, cambiando strategia e puntando ad una Jihad globale che abbia l’Occidente, e in esso in particolare l’Europa come teatro di battaglia. Ecco allora l’attivazione di cellule “dormienti”, l’indicazione ai “mujahiddin” con passaporto europeo di rientrare a casa per seminare morte e terrore nel Vecchio continente. Martin Chulov, giornalista del Guardian, esperto di terrorismo jihadista, aveva rivelato che prima degli attentati di Parigi i leader dello Stato islamico si erano riuniti vicino a Raqqa, a quei tempi la “capitale” del Califfato in Siria, e in quell’occasione avevano deciso di mettere in piedi una nuova strategia che prevede grandi attentati nelle capitali europee. Guy van Vlierden è un reporter belga specializzato nel seguire i foreign fighters partiti da Francia e Belgio per la Siria e poi tornati. “E’ perfettamente possibile – annota - che esista un grande network e che ci siano decine di attentatori, perché sappiamo che hanno gestito un viavai di volontari a Leros e nei centri per rifugiati in tutta Europa – in Germania, in Austria e forse anche in Ungheria”. I servizi segreti tedeschi valutano che in Germania vi siano circa 600 veterani della guerra in Siria, cioè addestrati ad azioni di guerra e terrorismo, e ben 43 mila estremisti salafiti ideologizzati ma non addestrati militarmente. Numeri che potrebbero moltiplicarsi se i 12mila foreign fighters torneranno liberi. Liberi di colpire. Anche da noi.

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