Domenico Gallo «Non voglio vederlo!»
«Non voglio vederlo!»
Mentre dobbiamo tirare un sospiro di
sollievo per il cessate il fuoco annunciato poche ore fa, non possiamo
ignorare che in realtà si tratta di una tregua che non pone fine
all’aggressione scatenata dall’esercito turco contro la Federazione
democratica della Siria del Nord (Rojava). I prossimi giorni saranno
decisivi per capire come si evolve la situazione sul campo.
In questo contesto di orribile violenza,
l’evento che più ci colpisce è il martirio di Hevrin Khalaf, 35 anni,
segretaria generale del Partito siriano del Futuro e attivista dei
diritti delle donne, molto conosciuta e amata dalla sua comunità,
brutalmente uccisa alcuni giorni fa durante un’imboscata. Il suo autista
è stato subito ucciso. Lei è stata trascinata fuori dalla macchina,
probabilmente violentata, lapidata e il suo corpo è stato oltraggiato
dagli assassini, che – in un video che loro stessi hanno girato – lo
colpiscono con i piedi urlando: «Questo è il corpo del maiale». Il
Partito Futuro siriano è stato fondato e lanciato un anno e mezzo fa a
Raqqa, nel territorio della Siria settentrionale liberato dallo Stato
islamico, con l’obiettivo dichiarato di rappresentare tutte le anime
della società siriana, unendo la componente curda, quella araba e quella
cristiana-siriaca nella prospettiva di un futuro Stato post-Bashar
al-Assad democratico, multietnico e pluralistico, basato sulla civile
convivenza e sul rispetto di tutte le minoranze. Questo sogno di una
convivenza felice e armoniosa fra le diverse componenti etniche e
religiose, fondato sul rispetto dei diritti umani e sull’emancipazione
delle donne dalle catene del patriarcato, sogno che si stava incarnando
nella Federazione democratica della Siria del nord, è quanto di più
antitetico si possa immaginare alla lugubre esperienza dello Stato
islamico dell’ISIS.
Per questo l’assassinio di Hevrin Khalaf è un crimine rituale, perché simboleggia
tutto ciò che le milizie alleate del turco odiano al massimo livello e
quello a cui mira l’operazione “fontana di pace”: demolire l’esperienza
democratica curda per reinsediare lo Stato islamico. Un assassinio
rituale come fu quello di Garcia Lorca, assassinato dai falangisti il 19
agosto del 1936. Garcia Lorca non era un combattente e non
rappresentava un pericolo per nessuno, però fu fucilato perché
comunista, omosessuale e poeta, cioè esprimeva con la sua personalità
tutto ciò che i fascisti spagnoli detestavano al massimo.
Un altro evento, profondamente diverso
ma ugualmente drammatico, si è consumato nella notte tra il 6 e il 7
ottobre, quando un barcone carico di migranti si è rovesciato a poche
miglia da Lampedusa. Nelle ore successive sono state recuperate tredici
salme: tutte giovani donne, alcune incinte, fra queste anche una
ragazzina di 12 anni. Alcuni giorni dopo, ispezionando il relitto, i
sommozzatori hanno trovato il corpo di un bambino piccolo abbracciato
alla sua mamma, cullati dalle onde in fondo al mare. Apparentemente non
c’è alcun rapporto fra il martirio della giovane donna curda e la triste
vicenda della donna affogata tenendo stretta fra le braccia il suo
bambino. In realtà sono due eventi che fanno risaltare il male oscuro
che divora l’anima della nostra civiltà, devastata dalla disumanità che
avanza. Disumanità che ci ha fatto porre termine all’operazione mare nostrum
proprio per evitare di salvare i barconi dei migranti in difficoltà ed
evitare che quella donna e quel bambino giungessero sulle nostre coste.
Disumanità che ci ha consentito di dare via libera ai massacri di
Erdogan.
C’è un appello di donne che dice: «Non
parlateci più di valori occidentali se non sapete difendere i curdi. Non
parlateci più di parità se lasciate ammazzare le libere donne curde.
Non parlateci più di pace se vi girate dall’altra parte davanti alla
guerra più ingiusta del secolo. […] Non parlateci più di niente. Di
Italia, di Europa, di identità, di dignità della vita, di diritti umani,
di giustizia […] se non avete il coraggio di reagire. State zitti».
Di fronte a questi corpi martoriati,
l’unica voce che può parlare è proprio quella di Garcia Lorca, nel
lamento per la morte di Ignazio Sanchez: «Non voglio vederlo!/ Dì alla
luna che venga,/ ch’io non voglio vedere il sangue/ d’Ignazio sopra
l’arena/ non voglio vederlo!».
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