Ahmad Tibi : "A Gantz dico: siamo pronti a sostenere dall'esterno un governo senza Netanyahu"
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Quei tre distinguo non hanno permesso a Benny Gantz di avere dal presidente israeliano il mandato di formare il nuovo governo; incarico che per un voto al premier uscente Benjamin Netanyahu. Ora, però, qualcosa di importante è avvenuto nel campo dei partiti arabi israeliani, la cui Lista unita (Joint List) ha ottenuto 13 seggi alle elezioni del 17 settembre, diventando la terza forza alla Knesset, il Parlamento israeliano. Ahmad Tibi, leader storico degli arabi israeliani, già vice presidente della Knesset, in questa intervista esclusiva concessa ad HuffPost manifesta una disponibilità che, se accolta e sviluppata, può cambiare il segno delle trattative in corso e aprire una prospettiva fino a ieri impensabile: “A determinate condizioni – dice Tibi – siamo disposti a un appoggio esterno ad un governo Gantz, con dentro i partiti della sinistra e gli ortodossi”.
In Israele sono ore decisive per la trattativa sulla formazione del nuovo governo. Voci sempre più ricorrenti dicono che il tentativo di Netanyahu di formare un governo Likud-Kahol Lavan dovrebbe concludersi con un nulla di fatto. Se così fosse Israele è condannato a nuove elezioni anticipate, le terze nel giro di pochi mesi?
”Non è affatto scontato, anche se Netanyahu piuttosto che farsi da parte è disposto a far saltare il tavolo e costringere il Paese a nuove elezioni. Ma i numeri dicono che sono possibili altre soluzioni di governo, a patto che si abbia la volontà politica di perseguirle”.
A cosa si riferisce?
”Numeri alla mano, esiste la possibilità di dare vita a un governo senza il Likud di Netanyahu e i partiti della destra più oltranzista. Kahol Lavan, Labour, Meretz e gli Haredim (ultraortodossi, ndr) possono provarci...”.
Numeri alla mano, Lei dice. Ma ammesso che quei partiti trovino una intesa, per ottenere luce verde dalla Knesset sarebbero indispensabili i 13 voti della Joint List. Vuol dire che sareste disponibili a essere parte del governo?
”No, ma a certe condizioni potremmo dare il nostro appoggio esterno, permettendo così il raggiungimento della maggioranza di 61 seggi indispensabili per far nascere il nuovo esecutivo”.
È una apertura importante, la sua. Ma solo pochi giorni fa, Lei ha sostenuto che non esistevano le condizioni perché Joint List desse al presidente Rivlin il sostegno ad una investitura di Gantz. Lei è uno dei tre firmatari della lettera che sottraeva i numeri necessari al leader di Blu e Bianco per avere più preferenze di Netanyahu. La sua è dunque una marcia indietro?
”Con tutto il dovuto rispetto al Presidente, non è corretta la sintesi secondo cui la Joint List, in tutte le sue componenti, non sarebbe stata disposta a sedersi al tavolo con Kahol Lavan. Noi, e quando dico noi mi riferisco in primis ai parlamentari di Balad, opponiamo ad un governo di destra estrema che tale sarebbe se avesse dentro Netanyahu e le destre più estremiste con cui è alleato. Ma lo scenario che descrivo è tutta un’altra storia. Ed è una storia che ha un importante precedente...”.
A Cosa si riferisce?
”A quanto avvenuto negli anni 90, con il secondo governo guidato da Yitzhak Rabin. Un governo che fu sostenuto dall’esterno dai partiti arabi”.
Insomma, siamo al classico assunto per cui “il nemico del mio nemico può essere un amico”, o se non proprio tale, quanto meno il male minore.”Io rivendico con orgoglio il ruolo decisivo che gli arabi israeliani hanno avuto nell’impedire a Netanyahu e al governo più razzista e anti-arabo della storia d’Israele di poter vincere le elezioni, cosa che sarebbe accaduto se gli arabi israeliani non si fossero recati in massa alle urne. Di questo, lo stesso Gantz ci ha dato atto. Il discorso è un altro: l’uscita di scena di Netanyahu no risolve da sola il problema di un governo che non sia segnato dalla politica estremista che il Likud ha portato avanti con i suoi alleati estremisti: non mi pare che da quel partito si sia alzata una voce critica quando Netanyahu ha evocato l’annessione della Valle del Giordano o delle Alture del Golan, né quando il suo governo ha implementato la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati o minacciato una nuova guerra a Gaza. Nessuno dei dirigenti del Likud ha criticato Netanyahu quando ha demonizzato la minoranza araba. Il nostro no è a un governo Blu e Bianco-Likud. Ed è un no motivato”.
Un appoggio esterno significa comunque un’assunzione di responsabilità da parte della Joint List. Perché si “governa” anche dal Parlamento, assumendo la guida di importanti commissioni. Su questo qual è la vostra posizione?
“Siamo pronti a farlo, sul modello ‘Rabin 2’, negoziando con un accordo scritto le nostre ichieste. Membri del mio partito (Balad, ndr) non saranno ministri ma avere la presidenza della Commissione finanze, ad esempio, cosa c’è di male in questo?”.
Uno dei problemi più spinosi riguarda la contestata legge su Israele “Stato nazionale ebraico”. Da parlamentare e leader degli arabi israeliani, Lei ha avuto parole durissime verso quella legge votata a maggioranza dalla Knesset che, ha sostenuto nel corso di quell’infuocato dibattito parlamentare, apre la strada all’apartheid.
”Non rinnego una parola di quanto ho detto allora. Quella legge ha un elemento di ’supremazia ebraica e la creazione di due classi separate di cittadini, una che gode di pieni diritti e una che ne è esclusa – e anche nel secondo gruppo vi è uno sforzo per creare diverse categorie. Mi sono battuto e continuerò a farlo contro la differenziazione fatta dai sostenitori della legge sulla nazionalità tra diritti collettivi, di cui godono gli ebrei, e diritti individuali, che sono dati a tutti gli altri. I diritti individuali, compresi quelli culturali e politici, derivano dall’appartenenza a una collettività, come la grande minoranza araba in Israele. L’impegno che come Joint List abbiamo assunto in campagna elettorale è quello di batterci perché quella legge venga abolita. Un impegno. A cui non verremo meno. Al tempo stesso, dobbiamo usare la forza elettorale che ci è stata data per migliorare le condizioni di vita della nostra gente, per mettere fine alla discriminazione sui finanziamenti alle municipalità a maggioranza araba, perché le nostre scuole non vengano più discriminate. Di questo e di altro siamo disposti a discutere con Gantz e non di certo con il Likud, con o senza Netanyahu”.
Oltre che figura storica degli arabi israeliani e vice presidente della Knesset, Lei è stato anche un tempo consigliere di Yasser Arafat, il che le attirò l’accusa di tradimento dalla destra israeliana. Ipotizziamo questo scenario: il governo Gantz decide una nuova guerra a Gaza. In quel caso, il suo partito farebbe cadere il governo?
”Assolutamente sì. Ma credo che con un governo quale quello che ho indicato l’atmosfera sarebbe presumibilmente, diversa, il processo sarebbe diverso”.
Mentre parliamo, arriva la notizia che i negoziati in corso tra la delegazione del Likud e quella di Blu e Bianco sono a un punto morto.
”Per noi è una buona notizia. Perché può riaprire nuove prospettive di governo e mettere all’angolo quelle forze che hanno lacerato Israele, demonizzato le minoranze, sabotato il dialogo con i palestinesi, colonizzato la West Bank per affossare la soluzione a due Stati, l’unica che può portare a una pace giusta e duratura con i Palestinesi”.
Quello che la stampa israeliana ha definito il kingmaker del dopo voto, della Difesa e leader di Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, quando è stato consultato da Rivlin non ha indicato né Netanyahu né Gantz, ma ha affermato che se gli ultraortodossi sono avversari, “gli arabi sono nemici”.
”Lieberman è parte del problema, non certo la soluzione. Lui ha una questione personale con Netanyahu, ma quanto all’odio verso gli arabi non è secondo a nessuno”.
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