Emanuele Gibilaro Trump benedice Conte: i motivi dietro l’assenza di reazioni dalla politica

Ma se le parole di stima provenienti da Bruxelles, Parigi e Berlino hanno suscitato le ire dell’ex alleato Salvini, il quale ha apostrofato il probabile Conte-bis come Governo dell’establishment e della tecnocrazia europea; l’endorsement di Donald Trump non ha prodotto le stesse reazioni, nonostante sia arrivato nei momenti più caldi della trattativa tra Movimento 5 Stelle e PD per la formazione del nuovo esecutivo. Oggi quell’endorsement, che ai tempi della Prima, ma anche della Seconda Repubblica, poteva apparire come un tentativo di ingerenza negli affari politici interni italiani, fa discutere solo la stampa internazionale, e non i partiti politici di casa nostra.
Le ragioni meritano di essere snocciolate, perché danno la misura della deferenza della politica italiana nei confronti dell’istrionico Presidente americano.Il Partito Democratico, storicamente allineato con l’omonimo partito americano e che ritiene Trump il simbolo della destra mondiale più regressiva, non ha replicato per non creare imbarazzo o rallentamenti nella trattativa con i pentastellati sul nome di Conte; così come le formazioni politiche più a sinistra dello spettro politico italiano (Sinistra Italiana e Liberi e Uguali), grandi ammiratori del principale oppositore di Trump, Bernie Sanders. Medesime bocche cucite da parte degli esponenti dei partiti sovranisti. In particolare, la Lega, che sembrava l’interlocutore preferito dall’amministrazione Trump, ha suscitato perplessità in riferimento all’inchiesta, ancora in corso, sui presunti finanziamenti russi.
Nonostante ciò, Salvini non è interessato a commentare, poiché è troppo alto il rischio di attirare le antipatie del Presidente americano, suo mentore per quanto riguarda alcune strategie comunicative. Per non andare troppo lontano, quando la contrapposizione tra i blocchi mobilitava le piazze contro il filo americanismo, possiamo notare come, una volta scomparsa la tensione ideologica tra URSS e USA, la pratica dell’endorsement abbia caratterizzato tutte le stagioni politiche italiane. Nel 2006, alla vigilia delle elezioni generali, il Presidente Bush ha consentito al Primo Ministro Berlusconi di rivolgersi ad una sessione congiunta del Congresso e, durante la successiva conferenza stampa, ha approvato la sua rielezione. Nel 2016, a quasi due mesi dal referendum costituzionale, il Primo Ministro Renzi volava in visita ufficiale a Washington.
Alla fine della visita, il Presidente Obama parlava così del referendum su cui Renzi aveva investito il suo futuro politico: “Il prossimo referendum per modernizzare le istituzioni politiche italiane è qualcosa che gli USA sostengono fortemente perché contribuirà ad accelerare il percorso dell’Italia verso un’economia più vibrante e dinamica, nonché un sistema politico più reattivo”. In entrambi i casi gli endorsement dalla Casa Bianca avevano suscitato le reazioni furibonde delle opposizioni, le quali puntavano il dito sull’errato tempismo dei Presidenti americani, sottolineando la possibile interferenza nel regolare svolgimento delle consultazioni elettorali.
Oggi tutto è mutato: la politica italiana non ha le energie necessarie per reagire alle intromissioni della politica americana sugli affari politici interni, elettorali e non. Dal canto loro, i Presidenti americani hanno sempre selezionato ex post il proprio favorito nei palazzi romani. Al di là delle sintonie ideologiche o personali, da Bush a Trump, il cavallo su cui riporre il sostegno americano è sempre stato il leader del partito di maggioranza relativa in Parlamento (e Conte sembra essere diventato il massimo esponente del Movimento 5 Stelle). D’altronde è sempre utile stringere i rapporti con il capo del Governo di una media potenza in pianta stabile nel G7, soprattutto se basta una conferenza stampa o addirittura un misero tweet. 

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