Umberto De Giovannangeli In Cisgiordania ruspe e 6mila nuove case per i coloni: così Israele "spiana" l'Autorità palestinese
Padroni della Cisgiordania. Al punto da “spianare” quel poco che restava degli accordi di Oslo-Washington. È la politica della ruspa e del cemento portava avanti da Israele e che ha avuto un passaggio politicamente decisivo con l’approvazione da parte del governo delle destre guidato da Benjamin Netanyahu della costruzione di 6.000 nuove case per i coloni israeliani e 715 nuove case per i palestinesi in un’area della Cisgiordania occupata dove Israele ha il pieno controllo. La decisione del governo israeliano di approvare i permessi di costruzione per i palestinesi in Cisgiordania fa parte di una svolta politica volta a respingere il coinvolgimento dell’Autorità palestinese nella pianificazione e costruzione nei territori, confidano fonti informate ad Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv che ha rivelato i dettagli del piano. Il ministro dei trasporti e leader dell’Unione dei partiti di destra Bezalel Smotrich ha confermato che la decisione fa parte di un piano di estensione della sovranità israeliana in Cisgiordania. In un post di Facebook, ha scritto che l’obiettivo centrale della sua carriera politica è “impedirel’istituzione di uno stato terroristico arabo nel cuore di Israele, proteggere tutta la nostra Terra di Israele e sviluppare insediamenti e sovranità in tutti i suoi spazi”. “Dopo aver criticato 10 anni di “abbandono e illegalità” israeliani e di costruzione palestinese nell’area C, Smotrich esulta: “Ora, finalmente, grazie a Dio, arriva la svolta nell’approccio del governo israeliano alla diffusione del cancro terroristico dentro di noi ... In Israele si sta formando un piano strategico per fermare la creazione di uno stato palestinese all’interno del paese ”.
Secondo Smotrich, il piano strategico di Israele include il divieto ai palestinesi che si sono trasferiti in città e villaggi designati nell’area C dopo gli Accordi di Oslo del 1994 di costruire nell’area, e “residenti originali” possono costruire solo in luoghi “che non danneggiano gli insediamenti e la sicurezza di Israele e non creerebbe continuità [palestinese] né creerebbe una situazione di stato palestinese di fatto ”. Il ministro ha aggiunto che questi luoghi servirebbero gli “interessi strategici dello stato di Israele” e non gli “interessi nazionali degli arabi”. Ma c’è chi non si accontenta. Secondo la radio dei coloni Canale 7 l’iniziativa di Netanyahu - che ha destato nel governo la opposizione di ministri contrari ad alcuna concessione ai palestinesi - è stata elaborata per favorire la riuscita della visita in Israele, dove è arrivato in serata, di Jared Kushner, uno degli artefici del cosiddetto “Accordo del secolo’” elaborato dall’amministrazione Trump per gettare le basi di una soluzione del conflitto israelo-palestinese (un piano rispedito al mittente dalla dirigenza palestinese). Con questa proposta - ha aggiunto l’emittente - Netanyahu vorrebbe inoltre ridurre le tensioni creatasi con l’Autorità nazionale palestinese con la recente demolizione di 12 edifici a sud di Gerusalemme. Shlomo Ne’eman, capo del Consiglio regionale di Gush Etzion, e uno dei leader del movimento dei coloni di Giudea e Samaria, ha contestato il piano facendo riferimento alla “ sofferenza della patria, conosciuta come Area C, dopo il disastro di Oslo”. “Abbiamo scoperto che l’approccio arabo di rubare un dunam e un altro dunam ... paga per loro”, ha aggiunto Ne’eman.
Di segno opposto è la reazione palestinese. “E’ la riprova della brutale mentalità colonialista che anima Israele, che ignora tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite, il diritto internazionale e gli accordi firmati”, dice ad HuffPost Hanan Ashrawi, più volte ministra, figura di primo piano dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). .Settecentocinquantamila abitanti. Centocinquanta insediamenti. Centodiciannove avamposti. Il 42 per cento della West Bank controllato. L’86 per cento di Gerusalemme Est “colonizzata”. Uno Stato nello Stato. Dominato da una destra militante, fortemente aggressiva, ideologicamente motivata dalla convinzione di essere espressione dei nuovi eroi di Eretz Israel, i pionieri della Grande Israele. Quella che si svela è una verità spiazzante: oggi in Terrasanta, due “Stati” esistono già: c’è lo Stato ufficiale, quello d’Israele, e lo “Stato di fatto”, consolidatosi in questi ultimi cinquant’anni: lo “Stato” dei coloni in Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank). A dar conto della dimensioni di questo “Stato” sono i dati di un rapporto di un recente rapporto di B’tselem (l’ong pacifista israeliana che monitorizza la situazione nei Territori) Lo Stato “di fatto” ha le sue leggi, non scritte, ma che scandiscono la quotidianità di oltre 750mila coloni.Lo “Stato di Giudea e Samaria” è armato e si difende e spesso si fa giustizia da sé contro i “terroristi palestinesi” che, in questa visione manichea, coincidono con l’intera popolazione della Cisgiordania. L’affermarsi di questo “Stato dei coloni” rappresenta la sconfitta storica del sionismo. Riflette in proposito Zeev Sternhell, il più grande storico israeliano: resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l’esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. Purtroppo, la realtà dei fatti, ultimo in ordine di tempo il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, confermano quanto da me sostenuto in diversi saggi e articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare”. La violenza dei coloni e degli attivisti di destra israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania è triplicata lo scorso anno passando dai 140 “incidenti” registrati nel 2017 ai 482 del 2018 (dato di metà dicembre). A rivelarlo è un rapporto di Haaretz. Oltre al pestaggio e al lancio di pietre, tra gli atti anti-palestinesi sono considerati anche le scritte razziste, i danni compiuti alle case e alle macchine e il taglio degli alberi (in particolar modo ulivi). Questi episodi, osserva Haaretz, erano diminuiti drasticamente nel 2016 e 2017 rispetto agli anni precedenti per il maggiore controllo operato dalle autorità israeliane in seguito all’uccisione di Saad e Riham Dawabsha e del loro figlio di 18 mesi Ali. Un attacco barbarico (le vittime furono arse vive) compiuto dai coloni nel 2015 nel villaggio palestinese di Douma (Nablus). L’atto vile ed efferato ebbe ampia eco mediatica allora, costringendo le autorità israeliane a mostrarsi per un po’ (almeno apparentemente) più intransigenti nei confronti dei settler. Lo Shin Ben (Intelligence interna israeliana) arrestò infatti nei giorni e mesi successivi alcuni estremisti di destra che avevano partecipato o erano sospettati di aver preso parte alla violenza e istigazione contro i palestinesi.
Secondo Haaretz, una serie di misure prese a quel tempo – detenzioni senza accuse, ordini di restrizione, la possibilità di interrogare i sospettati con metodi duri – contribuì ad abbassare il numero degli episodi di violenza contro i palestinesi. Tuttavia, continua il quotidiano, l’anno scorso, un po’ per il rilascio degli attivisti di destra e un po’ per la presenza di nuovi gruppi di giovani israeliani, gli atti anti-palestinesi sono aumentati. Violenza che, scrive il giornale liberal, è connessa al desiderio di vendetta degli israeliani per gli attacchi compiuti dai palestinesi. Molti attacchi contro i palestinesi sono stati registrati nelle aree di Ramallah e Nablus (Cisgiordania occupata). In particolare, nella zona vicina agli avamposti della Valle Shiloh e in quella in prossimità degli insediamenti israeliani di Yitzhar (Nablus) e Amona (Ramallah), quest’ultimo da poco evacuato dal governo israeliano. Nel villaggio di Yasuf (governatorato di Salfit), i residenti palestinesi si sono svegliati con i pneumatici di 24 auto bucati e alcune scritte razziste in ebraico (“Morte agli arabi” tra le più diffuse) lasciate sulle loro abitazioni. Sono i cosiddetti “price-tag” (tag mechir in ebraico) ovvero gli atti di ritorsione (il “prezzo da pagare”) compiuti dagli attivisti di destra e coloni israeliani contro i palestinesi in risposta ad un attacco da parte di quest’ultimi. Citando ufficiali della difesa, Haaretz scrive che gli attivisti di destra più estremisti sono “i giovani delle colline”, molti dei quali vivono negli avamposti illegali della Cisgiordania e il cui numero è stimato intorno alle trecento unità.
Un dato interessante è che la maggior parte dei responsabili delle violenze è giovanissima (tra i quindici e i sedici anni). Nel 1997, a un anno dal primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro, c’erano circa 150.000 coloni in Cisgiordania. Due decenni dopo il numero dei coloni è vicino ai 600.000, esclusi i quartieri di Gerusalemme est oltre la Linea Verde. Questi dati non includono i coloni che vivevano negli avamposti illegali (complessivamente si superano i 750.000).
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