Amira Hass* “ISRAELE VUOL DISTRUGGERE IL NOSTRO FUTURO”



Lo “scolasticidio” operato da Israele attraverso le restrizioni alla politica dei visti. L’esempio dell’Università di Bir Zeit

Tra i tanti problemi all’Università di Birzeit in Cisgiordania, i problemi dei professori stranieri non sono una priorità. Ma come mette in luce Mudar Kassis, professore associato di filosofia, “all’improvviso mi sono guardato intorno e ho scoperto che i miei colleghi venivano obbligati a lasciare il paese”.

Ha infatti scoperto che i loro visti non vengono prolungati ed è loro richiesto di partire prima della fine dell’anno accademico, altrimenti non verranno autorizzati a ritornare l’anno prossimo. Alcuni hanno deciso di non abbandonare i loro studenti a metà anno e quindi sono lasciati senza un visto valido. Di fatto sono imprigionati nell’enclave di Ramallah. Non partono per paura che ad un checkpoint un militare che controlli il loro passaporto, ordini la loro deportazione.

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Una Università, come dice la parola stessa, è universale – dice Kassis – che è anche direttore del Birzeit’s Muwatin Institute for Democracy and Human Rights. E’ importante per noi che i professori illustrino i loro punti di vista, che vengono da diversi retroterra, in modo che gli studenti possano ampliare la loro visione del mondo e sviluppare posizioni critiche. Ogni Università nel mondo ha professori provenienti da altri paesi. La loro assunzione fa parte dell’autonomia universitaria ed è naturale che anche noi possiamo disporre di questa libertà accademica”.

La scoperta di Kassis è stata possibile grazie alle crescenti difficoltà, ormai da tre anni, di ottenere un visto per entrare e restare nelle aree palestinesi. Israele controlla l’entrata in Cisgiordania. Anche prima del recente peggioramento, professori e altri cittadini esteri dovevano far fronte ad una vaga procedura, lungaggini burocratiche e inspiegabili fluttuazioni di trattamento da parte delle autorità israeliane.

Tutto questo si verifica dopo che i professori hanno ottenuto l’approvazione della sicurezza. E per queste difficoltà sono stati obbligati ad assumere avvocati per gestire la sfibrante corrispondenza con il Coordinatore di Israele delle Attività nei Territori prima di ogni prolungamento del visto o per ottenerne uno nuovo.

Ogni docente con relativo avvocato – in molti casi Lea Tsemel – si è trovato da solo nel condurre una battaglia per il diritto di insegnare nella università di sua scelta, come se il problema fosse personale e non derivasse dalla politica israeliana.

Adesso l’Università di Birzeit ha deciso di affrontare la violazione della sua libertà di scelta in quanto istituzione. Con l’aiuto di gruppi che si occupano di diritti, come Al Haq e Adalah, chiede che l’autorità israeliana rispetti questa libertà e metta fine all’accumulo di difficoltà sull’assunzione di docenti stranieri nelle università Palestinesi.

Questo percorso è cominciato con una lettera della Procuratrice Sawsan Zaher di Adalah al Procuratore Generale Avichai Mendelblit, all’avvocato militare Generale Sharon Afek, al Ministro degli Interni Arye Dery e al capo del COGAT Kamil Abu Rokon. La lettera è stata spedita il 30 aprile. Zaher ha deliberatamente insistito sul principio non su casi individuali. Ha scritto che secondo la Convenzione dell’Aja, una forza occupante deve consentire la continuazione della vita normale, incluso lo studio.

Il diritto di una Università sotto occupazione di definirsi realizzando la sua libertà accademica, in particolare riguardo alle decisioni di sviluppare e migliorare i suoi standards accademici, non viene revocata o sospesa a causa dell’occupazione, specialmente quando non ci sono considerazioni di sicurezza a giustificarlo” ha scritto, aggiungendo che questo si applica ancora quando l’occupazione dura innaturalmente da oltre 52 anni.

L’ufficio del Procuratore generale ha risposto che la lettera di Zaher è stata trasmessa alla vice Procuratrice Generale Dina Zilber, che se ne sta occupando. Haaretz ha chiesto agli interpellati se, dopo aver ricevuto la lettera, si sono incontrati o hanno previsto di incontrarsi per risolvere il problema. Haaretz ha anche chiesto una risposta alla affermazione che le restrizioni erano indirizzate a danneggiare le istituzioni Palestinesi in generale e l’università in particolare.

Il portavoce dell’esercito e il Ministero della giustizia hanno solo risposto che la richiesta era seguita e che si sarebbe risposto direttamente. Il Ministro degli interni e il COGAT hanno detto di non aver ricevuto la lettera – inviata per fax. Il secondo ha detto che risponderà quando la riceverà.

Zaher ha detto ad Haaretz che la lettera è stata inviata come un passo legale preliminare, e che se le cose non cambiassero, si andrà a un ricorso in tribunale.

Come Zaher ha sottolineato nella sua lettera, quando i docenti stranieri vengono accettati nelle Università di Israele, l’istituzione li rappresenta e compila le carte, secondo una regola speciale per i visti di ricercatore/docente B1. Il primo visto è valido fino a due anni, con la possibilità di prolungamento fino a cinque anni e oltre, con il permesso di ingressi multipli.

Più che una semplice lungaggine …

Invece, anche senza il peggioramento del processo, il regolamento COGAT per l’ingresso nelle zone Palestinesi non distingue tra docenti e altri visitatori, e la sua vaghezza consente un grande arbitrio, lungaggini e mancanza di trasparenza.

L’esercito e la Population and Immigration Authority hanno risposto alle domande di Haaretz dicendo che non c’è stato nessun cambiamento nelle regole per l’entrata nelle zone Palestinesi. E al telefono COGAT ha dato la stessa risposta.

Ma i fatti sul campo dicono il contrario, come già scritto in numerosi articoli di Haaretz l’anno scorso e secondo le interviste fatte a diversi docenti di Birzeit. Hanno avuto visti più corti del semestre e i prolungamenti sono più brevi del solito o non ci sono proprio stati, i visti sono con unica entrata, l’entrata a Gerusalemme e in Israele è vietata, il tempo di elaborazione del visto o il suo rinnovo si trascina senza nessuna chiara motivazione, e ai docenti è proibito entrare o uscire dall’aeroporto Ben Gurion – rendendo in tal modo più costosi e complicati i loro viaggi all’estero in particolare se devono andare per brevi Conferenze o se devono fare un viaggio di emergenza.

Ad alcuni è anche stato richiesto di pagare decine di migliaia di shekel alla Amministrazione Civile come garanzia che non avrebbero violato le condizioni del loro visto. Inoltre ai docenti viene dato un visto turistico e non di lavoro. Così il capo del registro della popolazione presso l’Amministrazione Civile richiede ai docenti sposati con Palestinesi residenti di dimettersi dal loro lavoro universitario in cambio di un prolungamento del visto, richiesta che rifiutano.

A mercoledì scorso, 9 dei 19 docenti a tempo pieno in Birzeit dal 2018, non avevano un visto valido. Cinque di loro sono restati a Ramallah. Quattro sono partiti e non sanno se potranno tornare ad insegnare in autunno. Dei 10 che hanno ottenuto il visto, tre lo hanno ricvuto più breve del periodo di insegnamento previsto nel loro contratto. Gli altri sette sono fortunati. Lavorano per un programma finanziato dai Governi tedesco, spagnolo, italiano, e statunitense, che hanno sistemato i loro visti.

Cinque dei 13 docenti part time non hanno avuto il visto, quattro sono partiti e non sanno se potranno tornare. Uno è rimasto. Al conservatorio nazionale di musica Edward Said, parte di Birzeit, dove a 19 docenti stranieri e tre insegnanti è stato negato il visto di ingresso durante l’anno accademico 2018-19 e a cinque è stato rifiutato il prolungamento del visto.

Tutti i docenti sono esperti nel loro campo (come linguistica, teatro, cinese ed ecologia) e per loro al momento non c’è possibilità di rimpiazzo in Cisgiordania. Così quelli forzati a lasciare a metà dell’anno hanno continuato le loro lezioni via Skype, comprese quelle di violoncello.

Uno dei risultati traumatici dell’odissea visti, anche prima del peggioramento attuale delle politiche del COGAT, è stato il ritardo di un anno nell’apertura di un asilo nido a Birzeit. L’incertezza ostacola la ricerca, le relazioni con gli studenti e l’umore generale.

A causa della situazione è impossibile impegnare in programmi di scambi di facoltà o studenti con altre università. E i docenti perdono tempo prezioso a navigare nella burocrazia della Amministrazione Civile. La difficoltà di ottenimento di un visto sicuro fa sì che l’università esiti prima di prendere professori stranieri, o fa rinunciare a certe specializzazioni. E agisce come deterrente per potenziali docenti a presentare la loro candidatura.

Solidarietà e cultura

Molti dei docenti stranieri, cittadini di paesi occidentali, non sono realmente stranieri ma Palestinesi nati all’estero o che hanno perso il loro status di residenti in Cisgiordania o Gerusalemme a causa delle politiche di Israele. Loro – e docenti non palestinesi – continuano a venire nelle Università palestinesi per integrità intellettuale e non per condizioni materiali attraenti, dice Ghassan Khatib del dipartimento studi culturali, che insegna politica e comunicazione. La paga è bassa; tutte le università sono in rosso perché i già modesti fondi della Autorità Palestinese sono stati negli anni recenti ridotti a meno dell’1 % del loro bilancio. Alcuni docenti vogliono servire la loro gente o mostrare solidarietà; per altri è una nuova esperienza culturale.

La società palestinese in Cisgiordania soffre di una fuga di cervelli dice Khatib “A Birzeit perdiamo ogni anno da tre a cinque tra i migliori accademici, verso Università all’estero”.

Kassis aggiunge che l’ondata di emigrazione che Israele ha imposto negli ultimi 70 anni in vari modi, ha portato via le menti migliori. Così non è solo questione di cercare nuove prospettive ma il bisogno di conoscenza e competenza di docenti stranieri ospiti.

Inoltre, durante gli ultimi 20 anni, Birzeit e altre Università sono diventate istituzioni locali delle aree palestinesi dove sono situate; la maggior parte degli studenti a Birzeit, per esempio, provengono dalla regione di Ramallah. Diverse ragioni spiegano questa tendenza. La frammentazione della Cisgiordania attraverso checkpoints militari e la chiusura di ampie porzioni di territorio e strade hanno cambiato la percezione palestinese di spazio e tempo. Distanze vicine adesso appaiono molto lontane a causa del lungo innaturale viaggio, e oltre alla perdita di tempo ai checkpoints, le famiglie temono per i loro figli possibili pericolosi scontri con esercito e coloni. Allo stesso modo la maggior parte dei genitori è in difficoltà a pagare stanze o appartamenti per i figli.

Prima del 2000 circa un terzo di studenti di Birzeit e molti docenti erano di Gaza. Oggi Israele proibisce la loro uscita verso la Cisgiordania. In tal modo si viene a creare una monotonia sociale regionale che è anche estranea all’idea di università. Sottolinea solo il bisogno accademico e intellettuale di docenti dall’estero con diverse esperienze, stili di insegnamento e punti di vista.

Khatib dice che funzionari dell’università hanno discusso della questione con diplomatici stranieri. Ho detto loro che dovrebbero intervenire, che qui non c’è nessun problema di sicurezza. Hanno detto che riferiscono ai loro Ministri degli Esteri. Ma nessuno ha promesso di sollevare la questione di fronte alla loro controparte israeliana”.

Quando mi si chiede perché Israele sta facendo questo, rispondo che non riesco a trovare altra ragione se non il desiderio di israele di indebolire le nostre istituzioni e distruggere il futuro palestinese. Indeboliscono il nostro futuro, quando combattono contro la qualità dell’istituzione accademica Palestinese”.

NOTA. Amira Hass ha pubblicato un altro articolo dove attacca l’indifferenza e la vigliaccheria di professori e studenti israeliani. “Israel’s Academy for Indifference” (Haaretz, July 15, 2019) Perché i professori e studenti israeliani dovrebbero preoccuparsi del fatto che il loro paese stia sovvertendo la libertà accademica delle Università palestinesi e interferisca con le assunzioni di docenti stranieri? Questa continua interferenza di Israele con la normale vita delle Università palestinesi non interessa presidenti, rettori di facoltà, docenti anziani delle università di Israele, e neanche la popolazione studentesca. Le loro voci non vengono ascoltate nonostante il fatto che l’ingerenza del Ministero degli interni e del COGAT nel concedere visti ad accademici e studenti diretti nelle aree palestinesi è cominciata molto tempo fa, e si è solo esacerbata negli ultimi tre anni”. Al Haq



“ISRAELE VUOL DISTRUGGERE IL NOSTRO FUTURO” – di Amira Hass

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