Golfo Persico tra Patriot e sabotaggi alla ricerca della "pistola fumante" (di U. De Giovannangeli)
Golfo Persico tra Patriot e sabotaggi alla ricerca della "pistola fumante" (di U. De Giovannangeli)
Stretto
di Hormuz, la pistola fumante può essere quella dei sabotaggi. Il
ministero dell’Energia saudita ha denunciato che due petroliere sono
state attaccate al largo delle coste degli Emirati Arabi Uniti e hanno
subito “danni significativi”.
Le petroliere
saudite sono state attaccate alle sei di domenica mattina al largo
della costa orientale degli Emirati Arabi Uniti mentre si preparavano ad
attraversare il Golfo Persico. L’attacco non ha causato perdite di
greggio, ma ha provocato “danni significativi alle strutture delle due
navi”. Il ministro ha definito l’incidente un “atto criminale di sabotaggio” mentre il governo iraniano ha messo in guardia dall’”avventurismo di potenze straniere” per destabilizzare la regione.
Una
delle navi era diretta al porto saudita di Ras Tanura sul Golfo Persico
per caricare petrolio diretto verso gli Stati Uniti. L’attacco alle
navi saudite è avvenuto nello stesso giorno in cui gli Emirati Arabi Uniti hanno segnalato attacchi a quattro navi commerciali vicino alle sue acque territoriali al largo della costa dell’emirato orientale di Fujairah, uno dei 7 che compongono gli Emirati Arabi Uniti.
In
una dichiarazione, il ministero degli Esteri emiratino ha detto che è
in corso un’indagine sull’incidente “in collaborazione con enti locali e
internazionali”, ma non è stato diffuso niente di più specifico a
proposito di quello che è stato definito “un sabotaggio”: “La comunità
internazionale (deve) assumersi le proprie responsabilità per impedire a
qualsiasi parte di tentare di minare la sicurezza e la sicurezza del
traffico marittimo”, dice il governo di Abu Dhabi.
Ancheil
Consiglio di cooperazione per gli Stati arabi nel Golfo (GCC) ha
rilasciato una dichiarazione per condannare l’attacco: ”È uno sviluppo
pericoloso e un’escalation che riflette le cattive intenzioni di coloro
che hanno pianificato e portato a termine queste operazioni che mettono
in pericolo la sicurezza della navigazione marittima nella regione e
minacciano la vita degli equipaggi civili delle navi”, si legge nella
dichiarazione.
Giovedì
scorso, le autorità statunitensi che si occupano di monitorare i
traffici marittimi (considerati, soprattutto sugli stretti, cruciali per
la proiezione internazionale americana, secondo i principi della
talassocrazia) avevano messo in guardia sul fatto che le rotte
commerciali potessero essere oggetto di azioni iraniane o dei gruppi
armati collegati. “Dall’inizio di maggio, vi è una maggiore possibilità
che l’Iran e/o i suoi delegati regionali possano agire contro gli
interessi degli Stati Uniti e dei partner, compreso sulle infrastrutture
di produzione petrolifera, dopo aver recentemente minacciato di
chiudere lo Stretto di Hormuz”, scrive il warning diffuso da Washington.
Lo Stretto di Hormuz è un punto strategico per le forniture mondiali di petrolio. Un
terzo del gas naturale liquefatto del mondo e del petrolio trasportato
via mare scorre attraverso lo stretto per l’esportazione dai paesi del
Golfo Persico.Falih
ha invitato la comunità internazionale a proteggere la navigazione
marittima e le petroliere, sottolineando il pericolo per i mercati
energetici e l’economia globale.Il Pentagono ha mobilitato una task force aeronavale –
con portaerei, unità d’assalto anfibio, bombardieri B52 – in risposta a
possibili azioni da parte dell’Iran e delle milizie alleate. Una mossa
innescata da una imbeccata dell’intelligence israeliana e dai movimenti
di un mercantile con a bordo forse dei missili. La decisione del
Pentagono è stata letta come una nuova prova di
forza di Trump verso gli ayatollah, anche se diversi osservatori hanno
parlato di gesto più di pressione psicologica che reale.
“I
discorsi sul trasferimento di portaerei nella regione del Golfo Persico
non sono una novità: (gli Usa, ndr) cercano di aumentare le probabilità
che scoppi una guerra”, avverte il contrammiraglio Hossein Khanzadi, comandante della Flotta militare iraniana,Intanto, ritornano a salire le tensioni nel Qatif, la regione orientale dell’Arabia Saudita a maggioranza sciita.
Sabato 8 membri di una presunta “cellula terroristica” sono stati
uccisi nel corso di un blitz compiuto dalla polizia. Secondo Riyadh, il
gruppo si preparava a compiere “attività terroristiche” contro le forze
di sicurezza del Paese. Il portavoce della sicurezza saudita ha detto
che le vittime avevano sparato colpi di arma da fuoco contro gli agenti
di polizia che avevano circondato un appartamento nel quartiere di
Sanabis. “Li avevamo invitati ad arrendersi, ma loro hanno aperto il
fuoco contro di noi” ha spiegato il portavoce, chiarendo che nessun
civile o poliziotto è rimasto ferito nel corso del blitz. I media localiriferiscono che le forze di sicurezze hanno circondato la cittadina di Umm al-Hamam nel Qatif per più di 15 ore nel tentativo di arrestare i presunti responsabili di “atti di terrorismo” compiuti nella parte orientale del Paese.
A
inizio anno, in un episodio molto simile a quello accaduto sabato, le
forze di sicurezza avevano ucciso diverse persone nel corso di una
sparatoria avvenuta nell’area. Il
Qatif resta una regione incandescente: nel 2011, sulla scia delle
proteste arabe, è stato infatti il centro delle proteste antigovernative.
Alla base del malcontento della popolazione dell’area, c’è il fatto che
gli sciiti dell’Arabia Saudita – circa il 10-15% dei 32 milioni di
abitanti del Paese – lamentano di essere discriminati dalle autorità
sunnite (Riyadh respinge le accuse). Le tensioni nel Qatif si sono fatte
poi tesissime nel 2016 quando il noto leader religioso sciita Nimr
al-Nimr è stato giustiziato “per terrorismo”. La sua uccisione ha
amplificato il settarismo nel Golfo e ha esacerbato il conflitto (per
ora per procura) tra Arabia Saudita e la sua rivale Iran. Dai sabotaggi
alla diplomazia internazionale.
Il
Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, oggi ha fatto tappa a Bruxelles
alla vigilia dell’incontro a Sochi con il presidente russo Vladimir
Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Salta quindi il
passaggio a Mosca, dove avrebbe dovuto incontrare lo staff
dell’ambasciata. La diplomazia americana ha annunciato colloqui con
funzionari di Francia, Regno Unito e Germania, i tre paesi europei che
hanno firmato l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano.
“L’Unione
europea continua a sostenere l’accordo nucleare con l’Iran e la sua
piena attuazione”, “cosa ben nota a Washington e Teheran”. Lo ha
affermato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera dell’Ue
Federica Mogherini al suo arrivo al Consiglio Esteri a Bruxelles. “Per
noi rimane un pilastro fondamentale per la sicurezza nella nostra
regione - ha precisato -. Il dialogo è la soluzione migliore per
affrontare le divergenze e per evitare ogni tipo di escalation nella
regione che è già abbastanza tesa”. “Più che una mossa diplomatica nei
confronti dell’Iran - commenta ai microfoni di Radio VaticanaVittorio Emanuele Parsi,
docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica - a me
sembra che quella di Pompeo sia una mossa diplomatica nei confronti
degli europei, per spiegare che gli Stati Uniti non torneranno indietro
sulla loro decisione, anche perché ricordiamoci che negli scorsi giorni
hanno inviato una portaerei con i B52 nel Golfo e oggettivamente questo
costituisce una minaccia per l’Iran”.
Il Pompeo-pensiero, rafforza e attualizza le riflessioni di Pierre Haski, analista di punta del settimanale francese Obs, in un articolo su Internazionale: “Di
fatto, una parte degli Stati Uniti non ha mai rinunciato a premere per
un cambiamento di regime in Iran, in particolare nel corpo dei marines,
che vive nella memoria dell’attentato di Beirut, e tra le fila dei
neoconservatori, che hanno oggi il vento in poppa. Paradossalmente
questi si rivelano essere, di fatto, gli alleati del clan dei falchi
vicini alla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, e dei
comandanti del corpo dei Guardiani della rivoluzione e dei servizi di
sicurezza della Repubblica islamica, che non hanno mai veramente
digerito i negoziati per l’accordo nucleare con il ‘grande Satana’ da
parte del governo moderato guidato dal presidente Hassan Rohani...I
falchi di Teheran, come quelli di Washington, non avevano niente da
guadagnare dalla distensione auspicata tanto da Barack Obama quanto da
Hassan Rohani.
La
scommessa dei due uomini si fondava sull’idea che il miglioramento
della situazione economica cui aspira la popolazione iraniana, in
particolare le classi medie urbane, le meno soggette all’influenza
religiosa, avrebbe portano a una definitiva distensione tra i due
Paesi”. Ma la distensione, almeno in Medio Oriente, non è una priorità
per Pompeo. O meglio, la distensione, nell’ottica dell’America first”,
per essere contemplata deve venire a seguito di un ridimensionamento
sostanziale della presenza iraniana in Medio Oriente; ridimensionamento
che, nello schema trumpiano, è un passaggio ma non la meta. Perché la
“meta” resta l’abbattimento del regime degli ayatollah. Per innescare la
resa dei conti serve una “pistola fumante”. La ricerca è iniziata.
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