Umberto De Giovannangelis Il 'Patto di Varsavia' anti-Iran: una vittoria a metà per Netanyahu


Il 'Patto di Varsavia' anti-Iran: una vittoria a metà per Netanyahu (di U. De Giovannangeli)




La titolazione è pomposa quanto generica: "Conferenza per la stabilizzazione del Medio Oriente". Ma l'obiettivo vero di chi l'ha ideata, a Washington in primis, è la realizzazione non di una Jalta mediorientale (senza la Russia di Vladimir Putin è qualcosa di improponibile) ma di un Patto di Varsavia anti-Iran. È questo, per quanto mascherato dalle edulcorate dichiarazioni ufficiali di alcuni dei protagonisti, il senso della Conferenza apertasi oggi nella capitale polacca.
Per comprendere la valenza data alla due giorni organizzata dall'Amministrazione Usa, è sufficiente scorrere i nomi degli uomini inviati da Trump: il vice presidente Mike Pence, il segretario di Stato, Mike Pompeo, e il consigliere per i temi mediorientali, oltre che genero, dell'inquilino della Casa Bianca Jared Kushner. E a Varsavia è presente, in qualità di ministro della Difesa e degli Esteri ad interim, il più stretto alleato di Trump in Medio Oriente: il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma il Patto deve fare i conti con le divisioni esistenti nel mondo arabo. Al summit, che riunisce più di 50 Paesi, sono presenti delegazioni guidate da ministri di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Marocco, Oman, Yemen, Giordania. Mentre Egitto e Tunisia hanno inviato solo dei viceministri. Facendo il conto degli assenti, Teheran può contare sul sostegno o la neutralità di Algeria, Libia, Sudan, Libano, Siria, Iraq, Kuwait, Qatar, oltre che su quello della Turchia, potenza sunnita non araba.
In concomitanza con il vertice polacco, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si riunirà invece a Sochi con i suoi omologhi di Iran e Russia, Hassan Rohani e Vladimir Putin, in un nuovo incontro del terzetto di Astana sulla Siria. Al fronte filo-iraniano si è unito all'ultimo momento il presidente Abu Mazen, che ha rinunciato a partecipare perché "gli Stati Uniti non hanno un ruolo credibile dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele". Per il segretario generale dell'Olp e capo negoziatore, Saeb Erekat, la conferenza "è un tentativo di eludere l'iniziativa di pace araba e distruggere il progetto nazionale palestinese". "La nostra posizione rimane chiara: non parteciperemo a questa conferenza e ribadiamo che non abbiamo incaricato nessuno di parlare a nome della Palestina", ha aggiunto su Twitter.
Il portavoce di Fatah, Osama Qawassmeh, ha avvertito sabato che ogni leader arabo che incontra il primo ministro Netanyahu alla conferenza di Varsavia "pugnalerà Gerusalemme e il nostro popolo palestinese". I palestinesi, ha aggiunto, si oppongono a qualsiasi forma di normalizzazione "con l'entità di occupazione israeliana perché sarebbe un regalo a Tel Aviv" e ha aggiunto che, a loro giudizio, la conferenza intende solo eliminare la questione palestinese.
A Varsavia è presente anche il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi. "La Conferenza di Varsavia - recita una nota della Farnesina - offre l'occasione per un'approfondita riflessione sulle dinamiche in corso e sugli scenari futuri nell'area mediorientale. Una particolare attenzione è riservata alla situazione in Siria e Yemen, al processo di pace israelo-palestinese e all'Iran. È prevista una discussione sulle maggiori questioni di rilievo transnazionale, quali: l'assistenza ai rifugiati, la sicurezza cibernetica, il contrasto al terrorismo e al suo finanziamento, la proliferazione missilistica. La partecipazione del ministro Moavero – prosegue la nota - si inserisce nella scia dell'intensificazione delle relazioni tra Stati Uniti d'America e Italia, riaffermata e consolidata in occasione della missione del ministro a Washington, il 3 e 4 gennaio scorsi. Con specifico riguardo all'area del Medio Oriente, il ministro si è anche recato di recente (dal 26 al 30 gennaio) in Israele e in Palestina". Essere a Varsavia per non scontentare Washington in un momento in cui su altri fronti caldi, in primis il Venezuela, l'equilibrismo italiano non è visto di buon occhio dall'amministrazione statunitense, schierata apertamente a sostegno dell'autoproclamato presidente ad interim, Juan Guaidò. Una presenza, quella del titolare della Farnesina, tanto più significativa se rapportata alla freddezza con cui la Conferenza è stata vissuta dalla maggioranza dei partners europei: oltre all'Italia, solo la Gran Bretagna ha inviato a Varsavia il suo ministro degli Esteri, Jeremy Hunt. Altri Paesi europei hanno deciso di esserci ma con delegazioni di più basso profilo. Significativa è l'assenza dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Federica Mogherini.
Presenza low profile e assenza di Lady Pesc hanno una spiegazione ben precisa: l'Europa è impegnata in una difficile trattativa per salvare quel che resta dell'accordo sul programma nucleare firmato nel luglio del 2015. Le tensioni con Teheran sono sempre più forti e una presenza massiva di ministri a Varsavia le avrebbe aggravate. La Repubblica islamica, impegnata nelle celebrazioni del 40esimo anniversario della rivoluzione, ha cercato di minimizzare l'impatto dell'iniziativa americana, un "disperato circo anti-iraniano" secondo il ministro degli Esteri Javad Zarif. Il fronte anti-ayatollah è meno partecipato di quanto sperasse Washington, ma non fino al punto di oscurare l'importanza della Conferenza. Racchiudibile in un dato politico che va ben oltre la photo opportunity di gruppo: il consolidamento dell'alleanza tra Israele e una parte significativa dei Paesi arabi sunniti, guidati dall'altro grande alleato di Trump in Medio Oriente: l'Arabia Saudita. Trump ha inviato a Varsavia, tra gli altri, Jared Kushner e Jason Greenblatt, che hanno contribuito alla stesura del piano di pace su cui punta il presidente Usa. Un piano - hanno annunciato fonti governative a Fox News - oramai "pronto" e di cui Trump "è soddisfatto". La presentazione avverrà dopo le elezioni politiche del 9 aprile in Israele. La bozza del piano sarebbe di 200 pagine e al momento - hanno spiegato a Fox News le stesse fonti - sarebbe nelle mani di non più di cinque persone. A Varsavia Kushner e Greenblatt dovrebbero illustrare ai Paesi arabi gli aspetti economici del piano, ma potrebbero anche filtrare alcune linee di fondo dell'"accordo del secolo". Ma per uno dei destinatari del piano, Benjamin Netanyahu, Varsavia significa in primo luogo mettere in campo una linea d'azione che mire a contenere l'espansionismo della mezzaluna rossa sciita sulla direttrice Damasco-Baghdad-Beirut. In questa direzione va anche la conferma di Netanyahu che Israele ha attaccato in Siria lo scorso lunedì. "Operiamo ogni giorno, anche ieri contro l'Iran e i suoi tentativi di stabilire la sua presenza nell'area", ha detto il premier la notte scorsa prima di partire per la Conferenza di Varsavia. Finora Israele non aveva confermato l'attacco di cui aveva parlato invece l'agenzia ufficiale siriana Sana. Secondo questa fonte artiglieria israeliana aveva colpito nella città di Quneitra, proprio al di là della frontiera delle Alture del Golan.
Tra gli obiettivi - ha spiegato la Sana - un ospedale abbandonato e una postazione militare. L'annuncio da parte del premier è un'ulteriore conferma che Israele, a differenza del passato, non esita ora a rendere noti i suoi interventi in Siria contro obiettivi Hezbollah e iraniani. Netanyahu ha più volte ribadito di considerare l'Iran una minaccia mortale non solo per lo Stato ebraico ma per la stabilità del Medio Oriente e la sicurezza mondiale, ancor più grave dello Stato islamico. Una convinzione che allinea Gerusalemme a Riyadh. D'altro canto, concordano analisti e fonti diplomatiche di Gerusalemme, Israele non può assistere passivamente al continuo riarmo, via Teheran, di Hezbollah. Secondo un recente rapporto dell'intelligence militare dello Stato ebraico, attualmente Hezbollah disporrebbe di oltre 100mila missili, rispetto ai circa 12mila che aveva prima della guerra dell'estate 2006. Lo stesso premier israeliano ha liquidato il nuovo esecutivo libanese, guidato da Saad Hariri e formatosi dopo oltre otto mesi di stallo, come il "governo di Hezbollah, e dunque l'Iran". Dalla due giorni polacca Netanyahu non uscirà con l'obiettivo massimo: un "Patto" anti-Iran, o se si vuole occidentalizzare il concetto, di una "Nato" anti-Teheran, ma il punto di caduta che non il premier israeliano potrebbe portare a casa da Varsavia non è di poco conto. Tutt'altro. Perché la Conferenza, al di là delle dichiarazioni ufficiali e dei documenti finali, renderà pubblico, sancendolo ufficialmente, l'asse Gerusalemme-Riyadh-Abu Dhabi.
Forse per gli Usa non sarà il massimo, ma per un premier israeliano in piena campagna elettorale, è una carta spendibile sul piano interno e nell'offensiva diplomatica avviata da "Bibi" nei Paesi musulmani sunniti, con visite in Oman, in Ciad e a fine marz, a pochi giorni dal voto, anche in Marocco. Least but not last, un'annotazione geopolitica riguarda la scelta di Varsavia operata dagli Usa. Un segnale rivolto all'Europa e alla Russia di "zar Vladimir". Gli Stati Uniti prevedono di aumentare significativamente gli effettivi del loro contingente militare in Polonia in una situazione in cui l'amministrazione Trump sta rafforzando l'impegno in Europa centrale. Ad affermarlo è l'ambasciatrice statunitense a Varsavia, Georgette Mosbacher, in un'intervista al Financial Times ripresa dai media polacchi. L'ambasciatrice ha detto che la disponibilità della Polonia a svolgere un ruolo nel rafforzamento dei meccanismi di difesa europei è di fondamentale importanza per le relazioni polacco-statunitensi. "I polacchi sono un importante alleato che investe il 2 per cento del Pil nella difesa senza bisogno di sollecitazioni. Sono pronti a modernizzare il loro esercito con investimenti 35 miliardi di euro", ha sottolineato Mosbacher, confrontando la Polonia con i Paesi della Nato che non forniscono una quota adeguata del Pil al settore militare. E tra questi Paesi, c'è l'Italia.

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