Muhammad Shehada L'Europa ha smesso di preoccuparsi se i palestinesi di Hebron vengono massacrati dai coloni?
Ora i Palestinesi di Hebron potrebbero rischiare un altro massacro.
Opinion Has Europe Stopped Caring if Hebron’s Palestinians Are Massacred by Settlers?
Haaretz, 7 febbraio 2019-02-07
La settimana scorsa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha improvvisamente messo fine al mandato della Presenza Internazionale Temporanea a Hebron (TIPH), violando gli Accordi Oslo II del 1995 e la risoluzione 904 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La settimana scorsa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha improvvisamente messo fine al mandato della Presenza Internazionale Temporanea a Hebron (TIPH), violando gli Accordi Oslo II del 1995 e la risoluzione 904 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Quella
missione, ora di fatto espulsa,
era composta da osservatori civili di Svizzera, Svezia, Norvegia,
Italia e Turchia ed era stata istituita in seguito al massacro del
1994 alla Tomba dei Patriarchi –in cui 29 Palestinesi furono uccisi
dal colono israeliano di estrema destra Baruch Goldstein– per
cercare di garantire la sicurezza (e il senso di sicurezza) dei
civili palestinesi di Hebron.
Le
motivazioni del gesto anti-pace di Netanyahu sono state spiegate
molto chiaramente: basta con il controllo sul comportamento di
Israele in questa parte dei territori occupati o in qualunque altra
parte. “Non permetteremo la presenza di una forza internazionale
che opera contro di noi,” ha dichiarato Netanyahu.
Ma
non dovete credere che la decisione di Natanyahu di espellere di
fatto quelli che stavano sorvegliando sui diritti umani dei
Palestinesi di Hebron sia stata motivata da una mancanza di recenti
minacce alla vita e alla sicurezza dei Palestinesi.
La
decisione è stata presa pochi giorni dopo che un agricoltore
palestinese era
stato ucciso e
altri dieci feriti da un colono israeliano armato nel villaggio
cisgiordano di Al-Mughayyir; dopo che il convoglio dell’ex primo
ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah era stato presa
a sassate dai coloni e
alcune guardie del corpo erano stati ferite; e dopo che 5 soldati
israeliani erano stati incriminati per aver gravemente malmenato
e tormentato
un uomo bendato di
fronte al figlio ammanettato. E l’elenco potrebbe continuare.
È
proprio in periodi di tensione come questo che le missioni di pace
in Cisgiordania sono più necessarie. Ma la netta decisione di
Netanyahu di eliminare l’unica fragile barriera alle infinite
tensioni tra gli 800 superprotetti coloni di estrema destra e i
residenti palestinesi di Hebron, vuol dire che ormai a lui non
importa un accidente del processo di pace o della costruzione della
fiducia e non si preoccupa più di non provocare la comunità
internazionale.
Dopo
tutto, i coloni non hanno bisogno della protezione internazionale: ci
pensa l’esercito israeliano. I civili palestinesi, invece, sono
indifesi.
La
comunità internazionale, dal canto suo, a prestato poca o nessuna
attenzione ai recenti avvenimenti in Cisgiordania, non ultima la
soppressione degli osservatori di Hebron.
La
risposta dell’UE –un attore centrale nel processo di pace– è
stata tutt’altro che combattiva. L’UE ha dichiarato che
l’espulsione “rischia di peggiorare ulteriormente la fragile
situazione sul campo,” e ha sottolineato “gli obblighi che la
legge internazionale impone ad Israele di proteggere il popolo
palestinese ad Hebron.”
I
vari stati europei che partecipavano al TIPH hanno rilasciato una
blanda dichiarazione in cui esprimono “dispiacere”
per la decisione di Netanyahu, ma non la contestano, e aggiungono di
“sperare” che qualche governo israeliano, chissà quando nel
futuro, voglia rinnovare il mandato per il TIPH. L’unico paese che
ha usato l’espressione “condanna
fortemente”
è stato, forse non a caso, la Turchia.
La
non sorprendente posizione dell’UE testimonia purtroppo
la perdurante
paralisidell’Unione
quando si tratta del conflitto israelo-palestinese.
In rapporti
confidenziali e
a porte chiuse, i funzionari UE esprimono spesso preoccupazione per
la “sistematica discriminazione legale” verso i Palestinesi sotto
occupazione, per le sofferenze subite dai Palestinesi e per i
pericoli ancora in agguato che si affacciano uno dopo l’altro nei
territori occupati.
Ma
quelli stessi funzionari si guardano bene dall’agire secondo le
loro convinzioni. Come disse una volta un ambasciatore europeo
all’ONU a un mio amico: “La mia simpatia va ai Palestinesi, ma il
mio sostegno va a Israele.”
In
pubblico, è tutta un’altra storia. La maggior parte dei
funzionari europei è troppo distaccata per rendersi conto di quale
sia la realtà sul terreno o per opporsi a chi mette ostacoli alla
pace. Questo autodistruttivo silenzio è dovuto spesso a carrierismo
personale e ad un malinteso senso di neutralità che allontana
ulteriormente ogni prospettiva di pace.
Senza
alcuna concreta strategia per la pace, senza una chiara prospettiva e
senza una forte posizione sul conflitto, la politica dell’UE, in
pratica, si riduce alla rassegnazione di fronte all’incontrollato
esercizio del potere sui territori palestinesi da parte di Israele.
L’unico suo compito consiste nel far di tutto per prevenire
un’esplosione della rivolta palestinese, addormentando pesantemente
i Palestinesi in una dipendenza passiva dagli aiuti.
Molto
educatamente, un importante funzionario UE mi spiegò una volta: “La
nostra politica non è quella di sostenere la soluzione a due stati,
ma piuttosto di evitarne la scomparsa.” E questo, secondo l’UE,
si ottiene con progetti
di aiuto economico,
ad esempio infrastrutture nelle zone palestinesi in difficoltà,
soprattutto nell’area C, a Gerusalemme Est e a Gaza.
Tuttavia,
nell’imminenza della campagna
elettorale per
la Knesset, con l’estrema destra israeliana che si contende il
primato di chi respinge più decisamente la formazione di uno stato
palestinese autonomo, e tutta una corsa elettorale tesa a tormentare,
attaccare e aizzare
contro i Palestinesi,
la passività dell’UE –mentre prosperano i suoi scambi culturali
ed economici con Israele– la rende complice dell’interminabile
sofferenza palestinese.
Alla
domanda se l’UE avrebbe mai considerato soluzioni
alternative per
il conflitto, come la soluzione a uno stato –visto che la
possibilità di realizzare un accordo per due stati sta diventando
sempre meno realistica– un altro importante funzionario UE mi ha
detto: “Solo se un governo israeliano accettasse la soluzione a
uno stato, l’UE adotterebbe e sosterrebbe questa opzione.”
Ma
fino a che la destra israeliana al governo sceglie di non risolvere
il conflitto e continua a rendere impossibile uno stato palestinese
autonomo, l’UE cercherà solo, in pratica, di contenere e
sopprimere la rabbia in ciò che resta di una futura entità
palestinese.
Sarebbe
ora che l’UE cambiasse la sua strategia riguardo ai Palestinesi,
adottando un comportamento più accettabile dal punto di vista morale
e legale. E se una politica di intervento è al di là delle capacità
dell’UE, il minimo che essa può offrire agli isolati, impoveriti e
sempre più disperati Palestinesi è il costante sostegno, la
solidarietà e il riconoscimento della loro tragica situazione.
Se
l’UE continua nel suo abituale silenzio, è possibile che i
Palestinesi debbano presto assistere all’annessione ufficiale della
Cisgiordania, un’azione sostenuta
recentemente dallo
stesso presidente della Knesset, Yuli Edelstein.
E Gaza sotto
blocco? C’è meno appetito in Israele per sua annessione, ma questa
è una ben piccola clemenza. Gaza è già
molto avanti sulla
strada che la porterà ad essere un territorio invivibile.
Muhammad
Shehada è uno scrittore e un attivista della Striscia di Gaza.
Studia presso il dipartimento di Development Studies all’Università
di Lund, Svezia. È stato portavoce dell’ufficio di Gaza
dell’Euro-Med Monitor for Human Rights. Twitter: @muhammadshehad2
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