«Curo i bambini palestinesi e loro mi insegnano a vivere» - Cronaca - il Tirreno

LUCCA. Ci sono viaggi che cambiano la vita e consentono di vedere il mondo con occhi diversi. “L’ultima cosa di cui si accorge un pesce è l’acqua in cui vive”. Il dottor Andrea Carobbi, chirurgo dell’ospedale San Luca, da tempo ha imparato questa verità. A partire dal 2010 ogni anno stacca la spina della sua vita normale per immergersi nei dolori secolari della Palestina con l’obiettivo di dare una mano a chi ha bisogno. Come? Facendo quello che gli riesce meglio, ovvero operare. Gli interventi chirurgici di una certa delicatezza e la formazione dei medici del posto sono la sua missione in Terra Santa. Un luogo dove regnano povertà e conflitti, in cui il confine tra la vita e la morte è assai più labile di quello a cui siamo abituati nel fazzoletto di mondo in cui viviamo. «Anche quest’anno – racconta Carobbi –, dal 2 al 9 novembre sono stato in Palestina. Un viaggio che ho fatto con il collega chirurgo plastico Pietro Massei: siamo stati al Rafidia Hospital di Nablus in Cisgiordania e all’European general hospital nella Striscia di Gaza, nell’ambito dei programmi della Palestinian children relief fund. Si tratta di un’associazione che ogni anno organizza tra le 80 e le 100 missioni in questi territori, per la maggior parte con medici pediatri».Quello di Carobbi e Massei è tutto fuorché un viaggio di piacere: «Siamo andati per dare una mano – spiega il medico lucchese –Lì si lavora dalle 8 del mattino alle 22 di sera: ci occupiamo degli interventi più complessi su cui veniamo informati e relazionati prima ancora di partire dall’Italia, mentre quando non siamo in sala operatoria facciamo formazione ai medici del posto. Il tema di quest’anno è la chirurgia mininvasiva che faticosamente sta arrivando anche in Palestina. Ho portato loro anche alcuni strumenti».
Chi si lamenta della sanità pubblica italiana o lucchese, proprio non immagina cosa c’è dall’altra parte del mondo. «La cosa complicata è operare in situazioni di indigenza ed estrema povertà – racconta –Gli ospedali hanno pochi mezzi e i medici del posto si adattano, ad esempio riutilizzando centinaia di volte strumenti che in teoria sarebbero monouso. E poi mancano l’acqua, l’elettricità e non dimentichiamo il problema della guerra. È un’area di grande instabilità: ci sono stati più di duemila morti e ventimila feriti. Nelle missioni degli anni passati ci siamo trovati a curare molte di queste persone. Una situazione pesante che per fortuna quest’anno abbiamo trovato un po’ migliorata. Inoltre c’è una forte incidenza di tumori perché manca qualunque tipo di prevenzione. Molti interventi sono di chirurgia plastica per malformazioni o ferite di guerra. In molti casi si tratta di bambini».

La domanda che ci si fa ascoltando questa storia è semplice: perché un medico che conduce una vita serena nella placida Lucca è spinto in contesti di questo genere, che ovviamente presentano dei rischi. La risposta di Carobbi è quella di chi ha impostato la sua vita più sul dare che sull’avere: «Aiutare qualcuno – dice – è un’esperienza che arricchisce umanamente, soprattutto quando davanti ti trovi dei bambini: nonostante le sofferenze riescono sempre a trovare la forza di sorridere. Guardando la loro resistenza e il loro attaccamento alla vita, impariamo a dare il giusto peso alle cose e a relativizzare i problemi di tutti i giorni». 




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