The Listening Post ha intervistato la giornalista israeliana Amira Hass sulle sue riflessioni circa La fabbrica del consenso
di Noam Chomsky. Hass ha passato gran parte della sua carriera a vivere
e fare reportage da Gaza e dalla Cisgiordania - una dei pochi
giornalisti israeliani ad averlo fatto. Di seguito è riportata la
trascrizione integrale dell'intervista.
The
Listening Post: “La popolazione in generale non sa che cosa sta
accadendo e non sa neanche di non saperlo”. Questo è il sunto conciso di
Noam Chomsky circa la comprensione che ha il pubblico in generale
riguardo alle decisioni che vengono prese a nome loro. Come le sembra
giusto oggi?
Amira Hass: E’ un’affermazione molto
umanistica e molto ottimista. La convinzione che la gente voglia avere
accesso all’informazione e con questo possano agire, possano cambiare.
Posso dire che questo principio ha guidato molte persone come me.
In ebraico, le parole conoscenza, informazione e consapevolezza
hanno tutte la stessa radice. Ed è così che ho iniziato a lavorare a
Gaza nei primi anni ’90 e a scrivere su Gaza, pensando che il pubblico
israeliano non sapesse nulla dell’occupazione e di cosa significasse, e
sulla vita di Gaza.
Mi aspettavo che i miei resoconti giornalistici avrebbero raggiunto
gli altri e avrebbero cambiato la loro consapevolezza. Mi sono resa
conto molto presto che non era così.
Noam Chomsky stesso ha detto che quando scrive riguardo alle
politiche di Israele fa affidamento sulle informazioni pubblicate sulla
stampa israeliana che non ha mai realmente trattato dell’importanza
delle politiche e della repressione israeliane.
Fino agli accordi di Oslo c’è stata una relativa esposizione dei
fatti in Israele anche sui media ordinari. Questo non ha, però,
cambiato, la coscienza delle persone. E questo è anche peggio oggi che
abbiamo una pletora di media nell’era di internet. Questa informazione è
lì fuori e arriva dagli attivisti, dalle organizzazioni per i diritti
umani; è tutta lì, alla luce del sole, la gente non la prende. Ha acceso
a questa, ma sceglie di non accedervi.
Chomsky
ha affermato che i giornalisti non sono normalmente tenuti sotto
controllo tramite un intervento dall’alto verso il basso, ma “dalla
selezione di personale giusto e dall’internalizzazione dei direttori ‘e
dei giornalisti che operano,’ delle priorità e delle definizioni del
valore della notizia che si adegua alla politica dell’istituzione”.
Nella sua esperienza, come si svolge questo quando si copre
l’occupazione israeliana?
Questo è ciò che ogni scrittore sente. Ogni giornalista capisce
molto rapidamente di avere una catena di filtri mentre scrivi il tuo
pezzo. Potrebbero essere elementi molto innocui. Come, la lunghezza, il
tempo, la scadenza. Hai 300 parole. No, hai 400 parole.
Qualcuno, però, decide quante parole avrai per un argomento.
Qualcuno deciderà se l’articolo è sulla prima pagina o da qualche parte
nella cantina del giornale. O alla fine della lettura delle notizie alla
radio o alla televisione.
Quindi chi decide la gerarchia? Che cosa è importante? Che cosa non
è importante? Chi decide quale è giornalismo investigativo e quale non
è?
Molto spesso mi rendo conto che se si hanno informazioni ufficiali,
si chiama giornalismo investigativo; se invece si hanno le informazioni
dalla gente stessa – per esempio riguardo ai pericoli di una
contaminazione dell’acqua a Gaza, queste non sono considerate serie come
quando arrivano da un funzionario.
“La
censura è in gran parte autocensura” – i giornalisti accettano e
interiorizzano le limitazioni imposte loro dal mercato e dai potenti. Ci
parli di quando si è resa conto che questo è vero e in che modo il
saperlo l’ha influenzata, ispirata, frustrata.
In Israele, i giornalisti non subiscono ancora la censura statale.
C’è una censura militare, ma questa non ha mai seriamente compromesso il
mio lavoro. Ma c’è socializzazione. Si vede nei media israeliani che
dedicano sempre meno spazio e attenzione alle realtà dell’occupazione.
Questo è peggiorato fin dagli accordi di Oslo. Ha permesso alle
persone di pensare che l’occupazione fosse non-esistente. “Oh, hanno gli
Accordi ora. C’è un governo palestinese. Non c’è occupazione. In
realtà, c’è solo il terrore palestinese contro di noi. ” Quindi le
persone sono ancora meno disponibili ad accedere alle informazioni che
esistono e la maggior parte dei mass media israeliani ascolta il
pubblico, da retta a questo desiderio di non sapere.
Nel
suo libro, Chomsky ha sostenuto che “lo scopo sociale dei media è di
inculcare e difendere l’agenda economica, sociale e politica dei gruppi
privilegiati che dominano la società nazionale e lo stato” e lo fanno
attraverso la selezione di argomenti, l’inquadratura dei problemi, il
filtraggio delle informazioni e mantenendo il dibattito entro “i limiti
dell’accettabile” sui media. Può parlarci dello scontrarsi con i
“limiti dell’accettabile” nel contesto in cui lavora?
Sono
stata fortunata ad aver lavorato a un giornale israeliano il cui
editore e proprietario è liberale nel vero senso della parola, un
giornale che è anche fortemente contro l’occupazione israeliana. Ho
quindi la libertà di pensare che i miei colleghi che trattano questo
argomento su altri giornali e su altri media, che potrebbero essere
anche contro le politiche israeliane, non hanno la libertà che ho io.
Penso che venendo dalla sinistra, dalla mia famiglia, dal mio
background, mi sono abituata a essere rifiutata, ma ho persistito, e
sono anche fortunata perché c’è una comunità molto importante, non
troppo grande, ma molto determinata, di attivisti e di attivisti
israeliani contrari all’occupazione e contrari alle politiche israeliane
in generale e a quelle colonialiste; forse questo è un termine migliore
che occupazione.
Sono passati 30 anni da quando è stato pubblicato Manufacturing Consent* Perché è ancora rilevante?
Sono rilevanti, il libro e il concetto, perché offrono a ogni
giornalista una specie di faro. Sono rilevanti perché vediamo in che
modo i magnati, nel corso degli anni, hanno acquisito sempre più media e
società di media.
Le notizie ritenute idonee per la stampa non sono necessariamente
le notizie a beneficio delle persone e del pubblico. Quindi il libro si
appella allo scetticismo delle persone e questo è sempre importante.
Anche se, come ho detto prima, il problema oggi è che le persone non
sono interessate a ciò che non soddisfa immediatamente il loro
interesse. E questa è una consapevolezza molto triste.
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