Umberto De Giovannangeli Omicidio Khashoggi, la Cia accusa il Principe e inguaia Trump in Medio Oriente

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Ora fingere, ridimensionare, pensare di cavarsela con sanzioni accessorie (un solletico per i petromiliardari del Regno) o con qualche testa sinistramente staccata dal collo, non bastera più. Ora per Donald Trump si fa davvero dura. Perché difendere il suo pupillo saudita, l'erede al trono del Regno Saud, il principe Mohammed bin Salman (MbS per i media internazionali) appare come una "mission impossible". Ora che la Cia sostiene che fu MbS ad ordinare il brutale assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi nel consolato di Riyadh a Istanbul, lo scorso 2 ottobre. E' il Washington Post, la testata con cui collaborava Khashoggi, a riportare la notizia. Tra le prove esaminate dall'intelligence americana anche una telefonata tra lo stesso giornalista ucciso e il fratello del principe nonché ambasciatore saudita a Washington, Khalid bin Salman. Il diplomatico aveva invitato Khashoggi a recarsi in tutta sicurezza presso il consolato saudita di Istanbul per ritirare i documenti necessari al matrimonio con la sua fidanzata turca, assicurandogli che non gli sarebbe accaduto nulla di male. Pur non essendoci prove certe che Khalid fosse a conoscenza del piano per uccidere Khashoggi, la telefonata fu sollecitata dal principe. Entrambe le circostanze sono state categoricamente negate sia dal governo saudita e sia da Khalid.
Gina Haspel, direttrice della Cia, è stata in missione in Turchia dopo il brutale assassinio e ha poi informato il presidente americano Donald Trump sulle conclusioni. Il governo saudita ha sempre negato ogni coinvolgimento della casa reale. In un primo momento aveva negato anche la morte di Khashoggi. La posizione accettata è che non c'è modo che questo sia accaduto senza che lui lo sapesse o fosse coinvolto", afferma un dirigente Usa a conoscenza delle conclusioni della Cia. Per ora la Casa Bianca non ha commentato. Prima della notizia sulla conclusione della Cia diffuse del Wp, ha annunciato sanzioni contro 17 funzionari sauditi, compreso Saud al-Qahtani, potentissimo stretto collaboratore del principe Salman rimosso dall'incarico dopo l'omicidio di Khashoggi. L'omicidio Khashoggi può rappresentare, non nell'immediato forse ma in un futuro non lontano, l'89 dell'Arabia Saudita. Con ricadute strategiche sullo scenario mediorientale. Annota in proposito, in un articolo su Haaretz, Daniel B. Shapiro, visiting fellow presso l'Institute for National Security Studies di Tel Aviv (Shapiro è stato anche ambasciatore degli Usa in Israele e senior director per il Medio Oriente e il Nord Africa nell'amministrazione Obama):
"Per Israele, questo sordido episodio solleva le prospettive che l'ancora delle nuove realtà del Medio Oriente che ha cercato di promuovere – una coalizione araba sunnita-israeliana, sotto l'egida degli Stati Uniti, per controllare i jihadisti iraniani e sunniti – non può essere presa in considerazione. Il prezzo potrebbe includere restrizioni significative sulle vendite di armi che erano state previste. Sta già portando importanti investitori statunitensi a prendere le distanze dai principali progetti di sviluppo promossi da MbS. Come minimo, non ci sarà nessuna replica della visita intensa e piena di riconoscimenti da parte di MbS a più città statunitensi lo scorso marzo, non più il sostegno della stampa americana che lo aveva raccontato come riformatore che rimodellerà il Medio Oriente". Prosegue Shapiro: "Israele, che ha un chiaro interesse a mantenere l'Arabia Saudita nell'alveo degli alleati degli Stati Uniti per massimizzare l'allineamento strategico sull'Iran, dovrà evitare di diventare lobbista di MbS a Washington. Il coordinamento di Israele con i suoi partner nella regione è ancora necessario e auspicabile. La semplice realpolitik lo richiede. Ma c'è un nuovo rischio di danno alla propria reputazione da una stretta associazione con l'Arabia Saudita. Per Israele non sarà facile navigare in queste acque, poiché l'establishment della politica estera di Washington si è rapidamente frammentato in campi anti-Iran e anti-sauditi.
L'idea che gli Stati Uniti debbano opporsi ugualmente alla brutalità iraniana e saudita nei confronti dei loro popoli, e non lasciare che i crimini di MbS portino a una diminuzione della pressione sull'Iran per le sue maligne attività regionali, rischia di essere persa. Per gli israeliani, quello potrebbe essere il più grande colpo nel fallout dell'omicidio di Khashoggi. MbS, nella sua ossessione di mettere a tacere i suoi critici, ha in realtà minato il tentativo di costruire un consenso internazionale per esercitare pressioni sull'Iran... Questa è la più grande evidenza della cecità strategica di MbS, e il danno probabilmente persisterà fino a quando governerà il Regno". Da ministro della Difesa, Mohammed bin Salman ha spinto per l'intervento militare in Yemen, la linea dura nei confronti dell'Iran e il blocco nei confronti del Qatar, sospettato di finanziare i movimenti jihadisti legati ai Fratelli musulmani. Il cambiamento dà al principe Mohammed maggiore autorità nel mettere a punto il suo piano, "Vision 2030", per ridurre la dipendenza del regno saudita dal petrolio. Il piano prevede fra le prime mosse importanti la vendita di una partecipazione del gigante petrolifero Saudi Aramco e l'inclusione di altre attività sotto il controllo del fondo sovrano nazionale. L'obiettivo è più che ambizioso: cambiare totalmente il volto della nazione più importante del mondo arabo nei prossimi tredici anni. Cambiarlo quanto meno sul piano economico se non nell'introduzione di riforme politiche e di costume (in particolare sul ruolo delle donne nella vita pubblica e nella sfera familiare).
In questo scenario, la decisione di eliminare il giornalista dissidente poteva sembrare un atto ostile a MbS e alla sua spinta riformatrice. Ma c'è chi contesta decisamente questa lettura. "Consentire alle donne di guidare rientra nel progetto del principe ereditario Mohammed bin Salman finalizzato alla conquista del sostegno popolare attraverso la modernizzazione di alcuni aspetti della vita quotidiana. Dare l'impressione di arrendersi alle pressioni popolari di sicuro non rientra nel suo programma. Il cambiamento deve sembrare piuttosto una concessione elargita, non un cedimento di fronte alle proteste. L'idea che Mohammed bin Salman stia aprendo il sistema saudita è una fantasia. Dopo aver messo da parte in modo spietato tutti i pretendenti al trono – suo padre, re Salman, ha 82 anni ed è malato – ha centralizzato il potere come mai in passato. L'Arabia Saudita era una monarchia tradizionale, profondamente conservatrice che ha sempre garantito alle élite la possibilità di esprimersi. Adesso è una dittatura", rimarca su Internazionale Gwynne Dyer. Per dirla con l'ex ambasciatore Usa a Tel Aviv: "L'omicidio di Khashoggi, oltre a cancellare le linee rosse dell'immoralità, indica anche l'inaffidabilità fondamentale dell'Arabia Saudita sotto MbS come partner strategico. Quello che è successo nel consolato saudita a Istanbul riecheggia le parole usate una volta per descrivere l'eliminazione di un avversario da parte di Napoleone: 'È peggio di un crimine, è un errore'. Si potrebbe aggiungere, un errore strategico. Un errore che può terremotare le alleanze mediorientali e i rapporti di forza nel campo sunnita. Di certo, mette a rischio l'alleanza dal presidente Trump che nel maggio del 2017, nel suo primo viaggio a Riyadh, aveva firmato accordi di fornitura di armi per oltre 110 miliardi di dollari, facendo del principe ereditario il partner in una strategia antii-raniana finalizzata ad isolare la Repubblica islamica.
Le rivelazioni della Cia rafforzano indubbiamente il "sultano di Ankara": Recep Tayyp Erdoğan . Più volte il preidente turco ha affermato che "l'ordine di uccidere è arrivato dai più alti livelli del governo saudita" e ha accusato implicitamente Bin Salman. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha ribadito l'altro ieri che l'assassinio era premeditato, perché nel commando c'era anche un medico legale munito di strumenti da autopsia per fare a pezzi il corpo: "Non è stata una cosa improvvisata". Tre giorni fa fonti turche hanno rivelato che un uomo del commando ha telefonato a Riyadh subito dopo la morte di Khashoggi: "Missione compiuta. Dillo al capo", era il messaggio. E il "capo" sarebbe Mohammed bin Salman. L'affaire Khashoggi rappresenta uno spartiacque, nei rapporti di forza in campo sunnita e nelle relazioni con l'Occidente, tra il "prima" e il "dopo". Oggi è Erdoğan ad avere le carte migliori per condurre il gioco. E alzare la posta. . Ankara sa che oggi può chiedere agli Usa molto più di quanto avrebbe potuto fare, e in parte ha fatto, prima di quel fatidico due ottobre. Erdoğan, concordano analisti e fonti diplomatiche ad Ankara e nelle più influenti capitali arabe, vuole approfittare di questa crisi di immagine, e non solo, di MbS e della monarchia saudita per rilanciare la centralità della Turchia (che può contare sul massiccio sostegno finanziario del Qatar) nel mondo sunnita e nella determinazione dei nuovi equilibri di potenza nel Grande Medio Oriente. A partire dalla Siria. Ankara punta alla creazione di una "zona cuscinetto", una sorta di protettorato gestito attraverso l'Esercito libero siriano, dipendente dalla Turchia, nella zona di confine siro-turca. Una richiesta che Erdoğan ha riproposto più volte ai suoi partner nella guerra in Siria, Russia e Iran, ma che acquisterebbe ancora più forza e possibilità di realizzazione se fosse sostenuta dagli Stati Uniti. E oggi ottenerlo, dopo le rivelazioni della Cia, per Erdoğan è più facile, molto più facile. Restando sul tormentato scenario mediorientale, potrebbe incrinarsi il sostegno americano - politico e indirettamente militare – a Riyadh sulla guerra in Yemen, divenuta la catastrofe umanitaria più grave del 2018. Brindano ad Ankara, ed anche a Teheran. In rapida successione, i due grandi nemici regionali dell'Iran, Arabia Saudita e Israele, sono, per ragioni diverse, in ripiegamento, con Riyadh che deve far quadrato, neanche troppo saldo viste le congiure a Palazzo, attorno al principe ereditario, e con Gerusalemme alle prese con una cisi di governo determinata dalle dimissioni di Avigdor Lieberman da ministro della Difesa; dimissioni che aprono la strada ad elezioni anticipate che potrebbero portare all'uscita di scena di Benjamin Netanyahu. Trump ha puntato decisamente su MbS e "Bibi". Ora rischia di pagarlo caro.

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