Nella
Striscia di Gaza e nel sud di Israele una nuova ondata di ostilità ha
provocato l’uccisione di cinque palestinesi, tra cui una donna incinta e
sua figlia di 18 mesi; altri 50 palestinesi e 28 israeliani sono
rimasti feriti.
L’8 agosto,
due membri dell’ala armata di Hamas sono stati uccisi dal fuoco dei
carri armati israeliani. A partire da quella sera e fino al 9 agosto,
gruppi armati palestinesi hanno lanciato circa 180 razzi ed hanno
sparato con mortai contro le comunità israeliane che circondano Gaza;
alcuni razzi hanno colpito aree abitate, causando il ferimento di
israeliani e danni a diversi edifici, tra cui un asilo nella città di
Sderot. L’aviazione israeliana ha effettuato numerosi attacchi aerei su
Gaza, lanciando oltre 110 missili, uno dei quali, a Deir al Balah, ha
ucciso la donna palestinese e sua figlia [vedere ad inizio paragrafo];
inoltre sono state danneggiate sei strutture idriche che rifornivano
oltre 30.000 persone, dozzine di case e diversi veicoli.
Successivamente, il 9 agosto, una fazione palestinese ha lanciato un
razzo a medio raggio verso la città israeliana di Beersheba, senza
provocare feriti o danni. In risposta, Israele ha completamente
distrutto, nel centro della città di Gaza, un edificio di cinque piani
che ospitava un centro culturale; secondo l’esercito israeliano, la
struttura era utilizzata anche dalla sicurezza interna di Hamas. Questi
due ultimi attacchi sono stati i primi del loro genere dalle ostilità
del 2014. La sera del 9 agosto è stato raggiunto un cessate il fuoco
informale.
A Gaza,
nell’ambito della “Grande Marcia del Ritorno”, sono continuate le
dimostrazioni e gli scontri del venerdì: quattro palestinesi sono stati
uccisi dalle forze israeliane; tra essi un operatore di primo soccorso e
un minore. Oltre 580 i feriti. Altri tre palestinesi sono morti per le
ferite riportate nelle precedenti proteste. L’operatore [di cui sopra]
è stato ucciso durante una dimostrazione del 10 agosto: è il terzo
operatore sanitario ucciso in servizio in simili circostanze. Circa il
60% dei feriti (338 di 580) sono stati ricoverati in ospedale; tra loro,
165 colpiti con armi da fuoco. Non sono state segnalate vittime
israeliane. L’11 agosto, nel contesto delle proteste, un raduno di 40
battelli ha tentato di rompere il blocco navale: sono stati fermati
dalla marina israeliana che ha aperto il fuoco verso le barche ferendo
un palestinese.
Il 2
agosto, le autorità israeliane hanno ripristinato il divieto di ingresso
di carburante nella Striscia di Gaza, portando i servizi essenziali
sull’orlo del collasso; il 12 agosto è ripresa l’importazione di
carburante d’emergenza. Secondo quanto riferito, il divieto era
stato adottato in risposta alla prosecuzione del lancio di aquiloni e
palloncini incendiari verso Israele. In una dichiarazione rilasciata l’8
agosto, il Coordinatore Umanitario ha invitato le autorità israeliane a
consentire immediatamente l’ingresso del combustibile di emergenza
acquistato dall’ONU per assicurare il funzionamento dei principali
ospedali e dei servizi essenziali: acqua potabile, trattamento reflui e
servizi igienici. Già dal 9 luglio, Israele aveva rafforzato il blocco
su Gaza, vietando l’ingresso di una gamma di materiali, inclusi
materiali da costruzione, mobili, legno, elettronica e tessuti, oltre a
proibire l’uscita di ogni tipo di merce.
Dopo il
cessate il fuoco del 9 agosto, è stata segnalata una significativa
riduzione di lanci di aquiloni e palloncini incendiari da Gaza verso
Israele. Secondo le autorità israeliane, dalla fine di aprile sono
stati registrati 1.364 incendi che, pur non provocando vittime
israeliane, hanno bruciato coltivazioni e riserve naturali.
Dal 5
agosto, un nuovo accordo ha permesso l’importazione di gas da cucina
dall’Egitto verso Gaza, attraverso la Porta di Salah ad Din [in Rafah].
Questo accordo compensa la possibile penuria di tale gas, determinata
dalle restrizioni israeliane. Durante il periodo di riferimento [31 luglio – 13 agosto], sono entrate in Gaza circa 830 tonnellate di gas.
Nella
Striscia di Gaza, in Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare,
in almeno 17 casi non riferibili alle manifestazioni di massa, le forze
israeliane hanno aperto il fuoco, causando il ferimento di tre
palestinesi e costringendo agricoltori e pescatori a lasciare l’area.
In un caso, le forze navali israeliane hanno intercettato un
peschereccio e detenuto per un breve periodo cinque pescatori, tra cui
un minore. Dal 16 luglio, Israele ha ridotto la zona di pesca
accessibile ai palestinesi da 6 a 3 miglia nautiche dalla costa,
riducendo ulteriormente i proventi della pesca.
In Cisgiordania, in più scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 55 palestinesi, tra cui nove minori.
Diciassette palestinesi sono rimasti feriti negli scontri con le forze
israeliane che, nella città di Nablus, stavano scortando un gruppo di
coloni israeliani in visita ad un sito religioso. Altri tre feriti sono
stati registrati presso il villaggio di Bardala, nella parte
settentrionale della Valle del Giordano, nel corso di una protesta
palestinese contro la scarsità d’acqua per uso agricolo nella zona.
Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 100 operazioni di
ricerca-arresto, tre delle quali hanno provocato scontri: feriti nove
palestinesi e tre soldati.
Il 9
agosto, nella città di Al Eizariya (Governatorato di Gerusalemme),
durante scontri seguiti ad un’operazione di polizia, un palestinese è
stato ucciso dalle forze dell’Autorità Palestinese (PA). Ulteriori
scontri tra palestinesi e Forze di polizia (senza feriti) sono stati
registrati l’11 agosto, nel Campo profughi di Balata (Nablus), durante
le proteste seguite alla morte, avvenuta in un carcere dell’Autorità
Palestinese, di un residente del Campo.
In Area C
e in Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, sono
state demolite o sequestrate 13 strutture palestinesi, provocando lo
sfollamento di 12 palestinesi. Otto di queste strutture, incluse sei
abitazioni, si trovavano in Gerusalemme Est, nei quartieri di Sur
Bahir, Jabal al Mukkaber, Shu’fat e Beit Hanina. Nel Campo di Al Aroub
(Hebron), in un’area compresa in zona C, le autorità israeliane hanno
demolito diverse tombe costruite senza permesso (qui contate come
un’unica struttura).
Nel
Complesso colonico di Beit al Barakeh, vicino al Campo di Al Aroub
(Hebron), coloni israeliani hanno demolito due strutture residenziali
sfollando una famiglia di quattro rifugiati palestinesi che vivevano nel
complesso da 45 anni. La demolizione è avvenuta nonostante
l’ingiunzione di un Tribunale israeliano che impediva lo sfratto della
famiglia. Nel 2012 un’organizzazione di coloni aveva acquisito
segretamente da una organizzazione cristiana svedese la terra e gli
edifici di questo complesso e nel 2015 l’area fu annessa al Consiglio
Regionale dell’insediamento [colonico] di Gush Etzion.
Il 6
agosto, nella Valle del Giordano settentrionale, per consentire
esercitazioni militari, le forze israeliane hanno sfollato, per sette
giorni, quattro famiglie palestinesi della Comunità di pastori di
Khirbet Yarza. La comunità si trova in un’area designata come “zona
per esercitazioni a fuoco”. Insieme alle demolizioni ed alle restrizioni
di accesso, questa pratica accresce la pressione sulla Comunità,
ponendola ad elevato rischio di trasferimento forzato.
Per
effetto dei procedimenti in corso presso l’Alta Corte di Giustizia
israeliana, la demolizione della comunità palestinese beduina di Khan al
Ahmar-Abu al Helu è ancora sospesa. In una presentazione alla
Corte, le autorità israeliane hanno confermato il loro proposito di
demolire le strutture della Comunità e spostare i residenti. Si
impegnano comunque a [individuare e] proporre un sito di
trasferimento alternativo vicino a Gerico a condizione che i residenti
accettino di trasferirsi, pacificamente, nel sito temporaneo attualmente
indicato dalle autorità israeliane (Jabal Ovest). Poiché tale sito si
trova vicino a un impianto di depurazione, l’avvocato della Comunità ha
chiesto alla Corte di accogliere, prima di emettere la sentenza, una
valutazione dei rischi ambientali e sanitari del sito in questione.
Il 2
agosto, nel villaggio di Ein Yabrud (Ramallah), coloni israeliani hanno
vandalizzato dieci veicoli di proprietà palestinese, spruzzando su uno
dei veicoli la scritta: “Questo è il prezzo”. I residenti della
Comunità di Ein al Hilwe, nella Valle del Giordano settentrionale, hanno
riferito che sono stati rubati due pannelli solari che fornivano
elettricità alla Comunità, attribuendone la responsabilità ai residenti
del vicino insediamento colonico di Maskyiot. Inoltre, sono stati
segnalati ulteriori episodi di intimidazioni e molestie da parte di
coloni israeliani, senza danni alle proprietà.
In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, vicino a Hebron, Betlemme e Ramallah, in almeno sei occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani causando danni a tre veicoli privati; a Ramallah, in uno di questi episodi, è stato ferito un colono israeliano.
Durante
il periodo di riferimento, il valico di Rafah (tra Gaza e l’Egitto,
sotto controllo egiziano) è stato aperto per sette giorni in entrambe le
direzioni e per altri cinque giorni in una sola direzione; ciò ha
consentito l’uscita dei pellegrini per svolgere l’Hajj [il quinto dei pilastri dell’Islam: il pellegrinaggio alla Mecca, da compiere nell’ultimo mese dell’anno islamico].
1.934 persone sono state autorizzate ad entrare in Gaza e 5.492 ne sono
uscite (compresi 3.216 pellegrini). Dal 12 maggio 2018, il valico è
stato aperto quasi continuativamente.
¡
Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)
Il 15
agosto, Israele ha revocato le restrizioni imposte il 9 luglio al valico
di Kerem Shalom, al confine con Gaza; ha inoltre portato da 3 a 6-9
miglia nautiche dalla costa (variabile a seconda dell’area) la zona di
pesca consentita.
nota 1:
I
Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua
inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati
statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei
civili nei territori palestinesi occupati.
sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians
L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.
la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:
https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali
nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]
sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti
a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.
nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.
Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it
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