L’unica cosa che rimane da fare ai palestinesi è lottare per uno Stato democratico e laico.
In
Palestina stiamo affrontando una situazione complicata: abbiamo un
progetto di colonialismo di insediamento che nega di esserlo, sostiene
di essere una democrazia ed abbiamo le sue vittime, la cui persecuzione è
stata ignorata per decenni e la cui lotta di liberazione nazionale è
stata diffamata.
I
colonizzatori sono riusciti a manipolare la narrazione su quello che
sta avvenendo, riscrivendo la storia e occultando i propri crimini.
Molti Paesi al mondo hanno creduto alle loro menzogne e adottato un
atteggiamento “neutrale”, sostenendo di avere una posizione
“equilibrata”.
Cosa
c’è di equilibrato, quando una parte possiede uno degli eserciti più
avanzati al mondo, finanziato e rifornito da una superpotenza alleata, e
l’altra è stata abbandonata sia da alleati che da sostenitori e si può
basare solo sulla determinazione e sulla forza del proprio popolo?
Ma
queste professioni di “neutralità” ed “equidistanza” non sono più
sostenibili. Israele ha smesso di giocare al gioco della finta
democrazia e si è dimostrato per quello che è veramente: uno Stato di
apartheid. Il 19 luglio la Knesset [parlamento] israeliana ha approvato
la cosiddetta “legge per lo Stato-Nazione”, che dichiara Israele “la
patria del popolo ebraico”. Ora è ufficialmente uno Stato esclusivamente
etno-religioso.
Smascherare lo Stato etno-religioso di Israele
Per
noi palestinesi questa legge ribadisce quello che è scontato, ossia che
l’ideologia sionista è intrinsecamente razzista e antidemocratica.
L’obiettivo
politico del sionismo era determinare artificialmente un cambiamento
demografico in Palestina, rendendo maggioranza la minoritaria
popolazione ebraica (che nel 1914 costituiva solo il 7,6% della
popolazione) per mezzo di una massiccia immigrazione ebraica, la
costruzione di insediamenti e l’espulsione dei palestinesi.
Inevitabilmente
l’espropriazione di terre venne accompagnata dalla violazione dei
diritti della maggioranza palestinese. I sionisti hanno sempre guardato
ai palestinesi come invisibili, se non assenti, o piuttosto “presenti
assenti” [definizione israeliana di una parte dei palestinesi rimasti o
tornati nel territorio del nuovo Stato, ndtr.]. L’identità di quanti
rimasero all’interno dei confini di quello che era diventato Israele
venne cancellata con il termine “arabo-israeliani” e i loro diritti
vennero negati da una miriade di leggi (di cui la “Legge per lo
Stato-Nazione” è solo l’ultima riproposizione).
Ciò
è dovuto al fatto che, contrariamente al pensiero liberale moderno, in
Israele la cittadinanza e la nazionalità sono concetti separati,
indipendenti. In altre parole, Israele non è lo Stato dei suoi
cittadini, ma lo Stato del popolo ebraico. Quindi i palestinesi in
Israele hanno passaporto israeliano ma non hanno gli stessi diritti dei
cittadini ebrei.
Con
la nuova “Legge per lo Stato-Nazione”, i palestinesi in Israele ora
sono considerati “immigrati nativi” o stranieri nella loro stessa
patria, perché Israele viene definito da questa legge “la patria storica
del popolo ebraico”, ovvero non lo Stato di tutti i suoi cittadini.
Questo è il risultato diretto del sionismo e della sua ideologia
razzista.
È
anche il risultato diretto del prevalere di opinioni antidemocratiche
tra gli ebrei israeliani. La contraddizione tra ideali professati e
comportamenti concreti, che è stato il meccanismo del cambiamento
politico in molti luoghi nel mondo, non esiste in Israele perché nella
società israeliana la fede democratica o la democrazia civica sono
assenti.
Nella
cultura politica e nella prassi israeliane non c’è un impegno per
l’uguaglianza di tutti i cittadini. E non c’è tradizione di libertà
civili in Israele perché una simile tradizione è incompatibile con il
sionismo.
Quindi
si può comprendere l’opposizione dell’establishment alle richieste per
la creazione di un unico Stato per palestinesi ed ebrei, uno Stato
democratico e laico governato con elezioni parlamentari e il governo
della maggioranza nella Palestina storica. Questa idea è stata
categoricamente rifiutata dalla società degli ebrei israeliani perché
significherebbe di fatto la fine del sionismo.
E,
dato che Israele si trasforma concretamente in uno Stato esclusivamente
etno-religioso, dobbiamo porre delle domande scomode: ciò significa che
anche l’Islam, il Cristianesimo, l’Induismo etc. possono essere la base
di Stati moderni? E se noi insistiamo ancora che la religione dovrebbe
essere separata dallo Stato, dov’è l’indignazione internazionale? Perché
i principali mezzi di comunicazione non sono ossessionati dallo Stato
ebraico allo stesso modo in cui lo sono dello “Stato islamico”? In cosa
Israele è diverso dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che
intendeva costruire uno Stato solo per i musulmani attraverso la
violenza e la spoliazione?
La lotta contro l’apartheid è in corso
L’approvazione
della “Legge sullo Stato-Nazione” dovrebbe eliminare qualunque dubbio
che ci possa ancora essere tra gli osservatori “neutrali” che Israele è,
di fatto, uno Stato dell’apartheid.
Proprio
come il Sudafrica dell’apartheid diede la cittadinanza ai sudafricani
bianchi e relegò i neri in “bantustan indipendenti” [enclave con
limitato autogoverno della popolazione nera, ndtr.], il sionismo concede
a tutti gli ebrei il diritto di cittadinanza nello Stato di Israele,
mentre nega la cittadinanza ai palestinesi – i suoi originari abitanti.
Mentre
il Sudafrica dell’apartheid utilizzava la razza per determinare la
cittadinanza, lo Stato di Israele utilizza l’identità religiosa per
definire la cittadinanza. Proprio come l’apartheid sudafricano emanò
leggi che criminalizzavano la libertà di movimento dei neri sulla loro
terra ancestrale, Israele controlla ogni aspetto della vita dei
palestinesi attraverso le strutture di un’occupazione militare fatta di
posti di blocco, strade e colonie solo per gli ebrei e il Muro, insieme a
una rete di norme giuridiche.
I
paralleli tra Israele e il Sudafrica dell’apartheid sono infiniti. E
probabilmente l’unica significativa differenza tra i due è che Israele,
con un’impunità senza precedenti, non paga mai per i suoi delitti, come
messo in rilievo dagli ultimi crimini di guerra a Gaza.
Cosa
rimane al popolo palestinese dopo l’approvazione di questa legge
palesemente razzista? Bene, non siamo sicuramente tanto sciocchi da
aspettarci qualcosa dalla cosiddetta “comunità internazionale”. Anni di
“negoziati” hanno creato solo bantustan in Cisgiordania e un campo di
concentramento a Gaza. I palestinesi fanno ancora le spese di attacchi
spietati da parte delle truppe razziste israeliane nascoste nei loro
elicotteri ed F16 costruiti negli USA.
Quello
che gli inviati USA nella regione hanno cercato di fare è arrivare ad
una “soluzione” in linea con le condizioni di Israele, ignorando
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza [dell’ONU] e leggi
internazionali. Né l’attuale amministrazione USA di destra né la codarda
UE hanno un piano equo su come risolvere la crisi in Palestina.
L’unica
cosa su cui noi palestinesi possiamo contare è la forza della gente,
proprio come i sudafricani hanno fatto quando, attraverso una lunga
campagna globale, hanno obbligato i governi a boicottare il loro regime
di apartheid.
Continueremo
ad estendere il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le
sanzioni (BDS) e a marciare verso la barriera a Gaza finché porremo fine
a questa follia. Continueremo anche a lavorare a un modello
alternativo, democratico e laico, che garantisca uguaglianza e abolisca
apartheid, bantustan e separazione in tutta la Palestina. Non
abbandoneremo la lotta.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al-Jazeera.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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