Il vice premier non ha fatto una mossa per spingere
il nostro governo a dire qualche cosa di contrario alle sanzioni verso
Mosca. Neppure un’astensione. Ci pensano infatti gli israeliani ad
accogliere gli oligarchi russi sotto sanzioni del dipartimento al Tesoro
americano come Roman Abramovich (di origini ebraiche), patron del
Chelsea e accreditato di una fortuna di 9 miliardi di dollari da Forbes,
che ormai è diventato cittadino dello stato ebraico. Non è certo il
primo caso e non sarà l’ultimo perché gli oligarchi di Mosca sono da
qualche decennio di casa in Israele e lì si sono rifugiati quando si
trovavano nei guai
I)n Italia tutto cambia perché nulla
cambi, si potrebbe dire parafrasando Tomasi di Lampedusa. Cambiano le
stagioni e i governi ma la nostra politica estera rimane ancorata alla
usuale retorica mai seguita dai fatti e all’acquiescenza alle vecchie e
consunte alleanze coltivate dagli esangui governi precedenti. Quello che
accade oggi è illuminante sulla marginalità in cui il Paese è
precipitato nell’ultimo decennio.
Il caso che ci interessa sono i nostri rapporti con la Russia, l’Iran e Israele.
“Saremo fautori di un’apertura verso la Russia e ci faremo promotori di
una revisione delle sanzioni”, aveva annunciato con enfasi il
neo-premier Giuseppe Conte presentando il suo programma in Senato
accolto da appalusi scroscianti della maggioranza, soprattutto della
Lega.
Ed ecco invece dove siamo miseramente approdati poche settimane dopo questi proclami mentre il ministro degli Interni Matteo Salvini
faceva la voce grossa con le Ong straniere in mare (forse qualcuna
anche un po’ sospetta) e molto meno in politica estera. Al Consiglio
europeo del 28 giugno, in contemporanea con il fallimento Ue sul dossier
immigrazione, sono state rinnovate di altri sei mesi le sanzioni
imposte alla Russia nel 2014 in seguito alla crisi dell’Ucraina.
Dalla Lega però non è venuta un
parola al riguardo, neppure un vagito. Gli affari con la Russia li fanno
i tedeschi, con il Nordstream 2 (mentre l’Italia dovette rinunciare al
Southstream con Mosca), ma li fanno anche anche protagonisti meno
tracciabili come Israele e l’Austria del bellimbusto Sebastian Kurz _
colui che minaccia di chiudere il Brennero _il capo di una sorta di
paradiso fiscale alle porte di casa nostra.
Il governo austriaco vuole prendere a
pedate gli immigranti illegali e respingerli in Italia ma accoglie con
un ben sorvegliato segreto bancario e passaporti fiammanti gli oligarchi
russi e tutti coloro che devono riciclare denaro ed evadere il fisco. I
cittadini austriaci sono legalmente autorizzati a mantenere “conti
bancari anonimi e strutture legali in Liechtenstein”, altro paradiso
fiscale dove i servizi finanziari costituiscono un quarto del Pil.
“L’amico fraterno di Israele” Salvini, come lui stesso si definisce, non
ha fatto una mossa per spingere il nostro governo a dire qualche cosa
di contrario alle sanzioni verso Mosca. Neppure un’astensione.
Ci pensano infatti gli israeliani ad
accogliere gli oligarchi russi sotto sanzioni del dipartimento al
Tesoro americano come Roman Abramovich (di origini ebraiche), patron del
Chelsea e accreditato di una fortuna di 9 miliardi di dollari da
Forbes, che ormai è diventato cittadino dello stato ebraico. Non è certo
il primo caso e non sarà l’ultimo perché gli oligarchi di Mosca sono da
qualche decennio di casa in Israele e lì si sono rifugiati quando si
trovavano nei guai: una vicenda che tempo fa era diventata in Israele
persino un serial televisivo di successo.
Adesso sono gli accordi tra Putin e il premier israeliano Benjamin Netanyahu
a portare gli oligarchi di origine ebraica sulle spiagge di Tel Aviv.
Messo sanzioni il leader del Cremlino è assediato dalla grandi famiglie
che gli chiedono una via di uscita alla black list americana. Tra questi
c’è anche Oleg Deripaska, azionista di Rusal (alluminio) e Glencore
(gigante energetico e minerario), passaporto cipriota ma anche, guarda
caso, cittadino austriaco “honoris causa”.
Netanyahu, ospite d’onore sulla
Piazza Rossa il 9 maggio scorso per l’anniversario dalla vittoria nella
seconda guerra mondiale, ha offerto a Putin un escamotage: da Israele
gli oligarchi protetti dal Cremlino possono girare capitali e fare
operazioni su tutte le piazze del mondo, contando sul ramificato network
internazionale della finanza ebraica. Certo Netanyahu avrà chiesto in
cambio alla Russia di fermare l’Iran e gli Hezbollah in Siria ma questi
fa parte di un copione sul quale Mosca e Tel Aviv dialogano e dibattono
animatamente da tempo, comprese le forniture di missili russi S-400 a
Iran e Turchia.
L’importante è che i bravi ragazzi come Salvini stiano al loro posto seguendo il canovaccio e piegando la testa.
Qualche cosa verrà in tasca anche a loro, forse. Vedremo come si
comporteranno i nostri governanti al momento di discutere come opporsi
alle sanzioni Usa all’Iran, un aspetto sul quale, teoricamente, tuti gli
europei sono d’accordo dopo che gli Stati Uniti che sono usciti
dall’accordo sul nucleare firmato con Teheran dalla comunità
internazionale nel 2015. Qualche indicazione verrà tra breve
dall’incontro Putin-Trump. Ma il tempo stringe: da novembre fare
operazioni finanziarie con l’Iran diventerà un rompicapo perché le
banche occidentali che lavorano con Teheran sanno sanzionate dal Tesoro
Usa.
Una cosa è interessante da
sottolineare: l’Italia in Iran ha firmato commesse per 27 miliardi di
dollari, ben più di quanto si perda con le sanzioni alla Russia. E
Salvini, nonostante le nostre imprese _ anche piccole medie _ facciano
affidamento sul promettente mercato iraniano, non ha ancora proferito
verbo sulla questione, forse perché è “un amico fraterno di Israele” e i
bravi ragazzi non disturbano il manovratore.
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