By Umberto De Giovannangeli L'Italia chiederà una missione Nato ai confini sud della Libia


'Italia chiederà una missione Nato ai confini sud della Libia (di U. De Giovannangeli)



La frase è scivolata via, tra una polemica con la Francia e l'ennesima bordata contro le Ong. Ma è in quella frase, pronunciata ieri da Matteo Salvini nel corso del Question time alla Camera, che c'è il salto di qualità dell'impegno italiano sul fronte Sud. A partire dalla Libia. Che Roma intendesse rafforzare il rapporto con Tripoli, attraverso un sostegno, in mezzi e uomini, alla Guardia costiera, l'HuffPost lo aveva anticipato da tempo. Varia, a rialzo, solo il numero delle motovedette che l'Italia fornirà alla Guardia libica: non 10 ma 12.
"In Consiglio dei ministri, se il tempo lo consentirà – ha annunciato il vice premier leghista - doneremo altre 12 motovedette alla Libia con conseguente formazione degli equipaggi per continuare a proteggere vite nel Mediterraneo". Solo che il tempo è tiranno, e il regalo alla Guardia costiera libica deve attendere. "Secondo dati dell'Oim in Libia sono presenti 662mila migranti, il 10% minori, provenienti da 40 Paesi, prevalentemente africani. I richiedenti asilo registrati dall'Unhcr sono 152mila". "Sono 19 i centri ufficiali per migranti gestiti dal Dipartimento per il controllo dell'immigrazione illegale, mentre non è noto il numero dei centri non ufficiali gestiti spesso dagli stessi trafficanti. Secondo l'Unhcr che ha accesso a tutti i centri ufficiali, nel 2018 sono state condotte più di 660 visite di monitoraggio", ha precisato Salvini nel suo intervento. Il ministro ha riferito di aver visitato lunedì scorso a Tripoli "un centro la cui costruzione è stata possibile grazie alla decisiva attività svolta dal Governo italiano, destinato ad ospitare entro luglio 160 persone per arrivare entro fine anno a 1.000. La struttura è dotata di cliniche, centri sportivi e assistenza psicologica".
La prende da lontano, il titolare del Viminale, sforna numeri e cerca di riequilibrare un po' la linea iper securista. Ma poi si avvicina al punto: Salvini sottolinea la "necessità di un radicale cambio di passo nella gestione dei flussi migratori, che vanno intercettati nei paesi di partenza e transito", e ribadisce l'intenzione del Governo di "verificare la fattibilità dell'apertura di centri ai confini esterni della Libia che sono la principale porta d'ingresso per i migranti destinati poi ai barconi". E qui c'è la frase che apre uno scenario finora inedito. Prima, però, Salvini ricorda che l'Italia ha "formato 213 addetti della Guardia costiera libica ed altri 300 potrebbero essere addestrati nell'ambito della missione Ue Sophia".
Oltre il pattugliamento di mare, ecco il passaggio cruciale, il ministro dell'Interno propone anche quello su terra lungo i confini a sud della Libia. Sta in questo il "radicale cambio di passo nella gestione dei flussi migratori che vanno intercettati nei Paesi di partenza e transito".
In altri e più concreti termini, Salvini ipotizza una missione boots on the ground nelle aree ai confini sud della Libia, quelle dove più forti sono le organizzazioni dei trafficanti di esseri umani, spesso unite in un patto d'azione con tribù locali e milizie jihadiste. Resta da capire chi dovrebbe far parte di questo corpo di spedizione e sotto quale egida dovrebbe agire. C'è chi ipotizza l'Onu, ma fonti bene informate guardano a Bruxelles, direzione Nato. Perché è nell'ambito dell'Alleanza atlantica che il governo italiano può contare sul suo più potente sostenitore: Donald Trump. Il 30 luglio il presidente Usa riceverà il premier italiano alla Casa Bianca. "L'Italia è un importante alleato Nato" degli Stati Uniti e "un partner di primo piano in Afghanistan e in Iraq", ha sottolineato la Casa Bianca ufficializzando la visita, evidenziando, e questo è il punto cruciale, "il ruolo cruciale dell'Italia per portare stabilità nella regione del Mediterraneo".
Prima del bilaterale a Washington, di grande importanza, dicono fonti diplomatiche all'HuffPost, sarà il vertice Nato, a livello di capi di Stato e di Governo, in programma a Bruxelles i prossimi 11 e 12 luglio. Sarà questa l'occasione per entrare nel merito di un impegno sul campo dell'Alleanza alla frontiera sud della Libia. Il sostegno di Trump non è dovuto alle simpatie "sovraniste" verso il governo giallo-verde. Un impegno Nato alle frontiere sud della Libia, sollecitato da Roma, è un "risarcimento" per il mantenimento dell'impegno italiano in Afghanistan.
Un passo, breve, indietro nel tempo. Il 20 giugno scorso si è tenuta la sesta conferenza su "Shared Awareness and De-confliction in the Mediterranean" organizzata dal comando della missione europea Eunavfor Med-Operazione Sophia e dal Comando marittimo alleato della Nato. Lo scopo di "Shade Med" è quello di una sempre maggiore collaborazione tra le numerose organizzazioni militari e civili che devono affrontare il fenomeno migratorio in mare. Nel Mediterraneo non c'è solo il traffico di esseri umani, ma anche quelli di armi, droga e petrolio. La Nato, già presente con Sea Guardian, "si sta trasformando cercando di essere più resiliente e più adattabile", ha spiegato il vice ammiraglio Hervé Bléjean, vicecomandante di Marcom, il comando marittimo dell'Alleanza con sede a Northwood, specificando che si punta ad acquisire un sempre maggiore numero di informazioni di intelligence nell'attività di antiterrorismo. Molto è cambiato in quell'area chiamata Mediterraneo allargato ed è uno dei motivi della costituzione a Napoli dell'hub Nato per sud. Dalla conferenza è emersa una linea chiara, impegnativa: per la Nato la Libia è una priorità assoluta. Concetto ribadito dal segretario generale dell'Alleanza, Jens Stoltenberg, l'11 giugno, nel corso della sua missione a Roma che l'ha portato a incontrare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la ministra della Difesa Elisabetta Trenta. Con l'aggiunta, importante per gli sviluppi futuri, che in Libia "la Nato è pronta ad aiutare l'Italia". "Siamo pronti a nuove sfide- ha sostenuto Stoltenberg - Lo strumento migliore di lotta al terrorismo è l'addestramento delle forze locali".
Ora, però, Roma sembra chiedere altro e di più: un impegno sul campo della Nato sul fronte Sud. Limitato, ma sul campo. Siamo a una fase istruttoria, avvertono fonti diplomatiche impegnate h24 sul dossier Libia, ma il tema è sul tavolo. Nella sua recentissima missione a Tripoli, di fronte a un vicepremier libico, Ahmed Maitig, che ha chiuso in maniera categorica alla proposta di installare questi centri, gestiti dall'Europa, in territorio libico, il vicepremier italiano non solo non ha mollato la presa ma ha rilanciato: gli hotspot collochiamoli in corrispondenza delle frontiere esterne del paese del Nord Africa. Alla base di questa decisione, la consapevolezza che è dai paesi a Sud della Libia che parte il maggior numero di migranti destinati ai barconi nel Mediterraneo. Il controllo della frontiera a Sud è dunque cruciale, anche perché attualmente gli accordi con i paesi limitrofi non funzionano e non riescono a controllare i flussi di migranti. "Noi abbiamo proposto centri di accoglienza posti ai confini a Sud della Libia per evitare che anche Tripoli diventi un imbuto, come Italia", aveva sostenuto in quel frangente Salvini. L'idea è di aprirli in paesi come il Niger, il Mali, il Chad e il Sudan. Ma anche in questa ottica, resta decisivo l'intervento in Libia, paese chiave tra quelli di transito.
Per questo, il premier Conte, deve portare a casa un risultato tangibile dal Consiglio europeo di Bruxelles: non solo un incremento delle risorse finanziare dell'Africa Fund Ue da destinare alla Libia (se non si decide in questo senso, Roma è pronta a esercitare il veto sui fondi destinati alla Turchia di Erdogan, fortemente voluti dalla Germania per "tappare" la rotta balcanica), in un piano di "institution building" che prevede non solo interventi nel campo della sicurezza ma anche per lo sviluppo di istituzioni democratiche. Per condurre questa operazione, Roma chiede di avere la cabina di regia dell'azione Ue in Libia.
Intanto, oggi è iniziato un primo sopralluogo per individuare le opere di consolidamento da realizzare nei presidi di frontiera della Libia meridionale per bloccare i flussi. Una missione tecnica, puntualizzano da Roma, nell'ambito degli accordi bilaterali, Italia-Libia, ma quel consolidamento chiama maggiori impegni di varia natura, compresa quella militare. Per l'Italia, non è solo un problema di sicurezza. Perché in ballo c'è anche la "torta petrolifera". Una torta miliardaria. L'Italia ha scelto di rafforzare il governo guidato da Fayez al-Serraj. Nel farlo, si è messa contro l'uomo forte di Bengasi, il generale Khalifa Haftar. Lunedì, dopo aver riconquistato i terminal petroliferi in Cirenaica, da Bengasi, Haftar ha annunciato che il governo dell'Est, guidato da un suo sottoposto, avrebbe iniziato a vendere il petrolio autonomamente dalle autorità di Tripoli. L'obiettivo è di mettere le mani, attraverso la Noc di Bengasi, su circa 400 mila barili di produzione giornaliera, vendere il petrolio direttamente e finanziare in questo modo le sue milizie. Il rischio è che sottraendo il controvalore di 400 mila barili al giorno si ridurrebbero di circa il 40% le entrate del bilancio statale condannando quindi il governo Tripoli alla sicura bancarotta e all'inevitabile divisione del Paese tra Tripolitania e Cirenaica. Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres è intervenuto per condannare la mossa di Haftar e confermare che per le Nazioni Unite "tutte le risorse naturali, la loro produzione e i loro introiti devono rimanere sotto il controllo delle autorità libiche riconosciute" ovvero il Consiglio presidenziale libico guidato da al-Serraj. Ma la "partita del petrolio" non si è affatto conclusa. E per l'Italia è suonato l'allarme: per il momento sembrano ancora al riparo le attività Eni nel Fezzan con contratti che arrivano al 2046, ma se si dovesse allargare ancor di più la frattura tra Tripoli e Bengasi, tra l'"uomo di Roma", al-Serraj, e quello di Parigi, Haftar, allora le cose si complicherebbero di molto per l'Italia, perché i giacimenti petroliferi più ricchi sono nelle terre di Haftar, in Cirenaica. Una ragione, e che ragione, in più per puntellare la nostra influenza in Libia. Direttamente, o con l'aiuto della Nato.

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